Molto rumore per il nulla
Il vuoto quantistico

di Marco Rossi

Simulazione delle fluttuazioni del vuoto nella teoria della cromodinamica quantisticaa.
Simulazione delle fluttuazioni del vuoto nella teoria della cromodinamica quantistica, responsabile delle interazioni forti. La figura mostra una porzione di spazio dal volume di 2,4 x 2,4 x 3,6 fm3, sufficiente a contenere un paio di protoni. Le zone colorate rappresentano bolle di varia densità di energia del vuoto.

Come possiamo descrivere il vuoto nel mondo subatomico? La descrizione migliore della realtà microscopica è attualmente basata sulla meccanica quantistica. L’oggetto fondamentale di cui si serve tale descrizione è il “campo quantistico”.
Vediamo allora innanzitutto cosa è un campo. Per i fisici un “campo” è una qualunque grandezza misurabile, il cui valore dipende dal punto dello spaziotempo in cui si fa la misura. Ad esempio, i valori di temperatura delle città che vediamo su una carta geografica sono i valori del campo di temperatura misurati nei diversi punti dello spazio (città) e in dati momenti (giorno, ora). Il campo temperatura è un campo “scalare”: ad ogni punto dello spaziotempo si associa solamente un numero.
In fisica sono importanti anche i campi cosiddetti “vettoriali”: in questo caso, ad ogni punto è associato un vettore. Ad esempio, il campo elettrico e il campo magnetico sono ciascuno descritti da un vettore con tre componenti, una per ogni direzione spaziale, che varia sia nel tempo che da punto a punto dello spazio. Questa descrizione, che fu utilizzata da Maxwell per codificare in un set di equazioni le leggi dell’elettromagnetismo classico, acquista un valore ancora più fondamentale nella successiva rivoluzione quantistica di inizio ’900. Ben presto si comprese che, analogamente all’elettricità e al magnetismo, tutte le forme di materia ed energia (particelle e interazioni) sono descritte da campi quantistici, che si chiamano così in quanto soggetti alle leggi della meccanica quantistica.
Questa visione unificata della realtà ha conseguenze importanti sul concetto di vuoto. Prendiamo ad esempio il campo elettromagnetico. Esso si propaga come un’onda elettromagnetica e può essere raffigurato come una collezione di “oscillatori armonici”. Un oscillatore armonico è la generalizzazione del concetto di una massa attaccata a una molla: grazie alla presenza della molla, la massa oscilla nel tempo. Se posiziono tante masse attaccate a tante molle, ho una collezione di oscillatori armonici che oscillano nel tempo, uno per ogni punto dello spazio. Il limite in cui questo numero di oscillatori armonici diventa enorme (tecnicamente infinito) può essere efficacemente descritto da un campo.
L’energia di un oscillatore armonico è la somma di due termini: l’energia cinetica (o di moto), che è proporzionale al quadrato della quantità di moto, e l’energia potenziale, che dipende dal quadrato di quanto la massa è spostata dalla sua posizione di equilibrio. Il valore minimo dell’energia è zero e si ottiene quando sia la quantità di moto che lo spostamento sono nulli. Questa configurazione, che è permessa dalla fisica classica, è impossibile da realizzare per un campo quantistico.

Illustrazione schematica di come funziona il meccanismo della produzione della radiazione di Hawking.b.
Illustrazione schematica di come funziona il meccanismo della produzione della radiazione di Hawking. Vicino all’orizzonte degli eventi di un buco nero, la distorsione dello spaziotempo induce le coppie di particella-antiparticella virtuali a diventare reali, spendendo energia a scapito dell’energia gravitazionale del buco nero. Una delle due particelle cade poi dentro il buco nero, mentre l’altra si allontana. Un osservatore a grande distanza dal buco nero vede quindi radiazione emessa dal buco nero. Il processo porta quindi alla lenta evaporazione del buco nero stesso.
 
Ciò che lo impedisce è il principio di indeterminazione di Heisenberg: in meccanica quantistica non è mai possibile avere l’oscillatore armonico quantistico fermo nella sua posizione di equilibrio, e quindi con energia nulla, e il campo, essendo una collezione di infiniti oscillatori armonici, è condannato a oscillare (o meglio “fluttuare”) sempre. In questo quadro ciò che si avvicina il più possibile all’idea intuitiva di “nulla” è lo stato di energia minima: per un campo quantistico questo è lo stato in cui non ci sono particelle, ovvero, nel caso del campo elettromagnetico, non vi sono fotoni. Tale stato, che chiamiamo “vuoto”, ha però un’energia residua per ognuna delle infinite frequenze del campo, dovuta appunto a quelle che vengono chiamate “fluttuazioni quantistiche del vuoto”.
La presenza di questo fondo di “energia del vuoto” non ha conseguenze per la maggior parte dei fenomeni con cui conviviamo, poiché essi dipendono da differenze di energie. La meccanica quantistica rende la situazione più interessante, però, poiché permette di prendere in prestito una parte della riserva virtualmente infinita di energia del vuoto per un tempo brevissimo, proprio grazie al principio di indeterminazione. Questa energia serve per creare particelle e antiparticelle in ogni punto dello spazio, ma solo per un tempo brevissimo, tanto più breve quanto più è grande l’energia presa temporaneamente in prestito. Queste particelle non possono essere rivelate sperimentalmente in modo diretto proprio per la loro esistenza effimera, vincolata dal principio di indeterminazione di Heisenberg, e sono quindi dette “virtuali”. Ne segue che, pur essendo globalmente uno stato privo di particelle reali, ossia rivelabili, il vuoto quantistico in porzioni ridotte dello spazio e del tempo mostra una grande dinamicità. Una conseguenza spettacolare di questa “effervescenza” locale è stata ipotizzata nel 1974 da Stephen Hawking e sorprendentemente riguarda alcuni degli oggetti più affascinanti dell’universo, i buchi neri, ovvero concentrazioni di massa capaci di intrappolare con la loro gravità qualunque oggetto all’interno di una sfera delimitata dal cosiddetto “orizzonte degli eventi”. Il fisico inglese si chiese cosa sarebbe successo, se dal vuoto si fosse prodotta una coppia composta da una particella e un’antiparticella virtuali in presenza di un buco nero, nelle vicinanze dell’orizzonte degli eventi. Mentre in assenza di gravità le particelle della coppia virtuale vengono prodotte dal vuoto e subito riassorbite senza spendere energia, la distorsione dello spaziotempo dovuta alla gravità crea uno “sbilanciamento” che può impedire il “riassorbimento” immediato delle particelle virtuali, rendendole reali. Una della due particelle cade all’interno del buco nero, attraversandone l’orizzonte, mentre l’altra può allontanarsi. Dal punto di vista di un osservatore distante, l’effetto netto è che il buco nero emette particelle, “evaporando” poco alla volta e quindi perdendo massa.
A sinistra, William Unruh nel 1986, a destra Paul Davies in una foto del 2002.c.
A sinistra, William Unruh nel 1986, a destra Paul Davies in una foto del 2002.
 
Questo processo si verifica con continuità e l’insieme delle particelle emesse costituisce una radiazione, detta “radiazione di Hawking”, che fa perdere massa ai buchi neri. L’aspetto affascinante di tale radiazione è che la sua intensità ha la stessa distribuzione in frequenza di quella emessa, secondo le leggi della termodinamica, da un corpo dotato di una temperatura, il cui valore dipende dalla gravità esercitata dal buco nero all’orizzonte degli eventi, che in ultima analisi dipende dalla massa del buco nero stesso. Ciò rende la radiazione di Hawking un fenomeno particolare, in cui si incontrano la meccanica quantistica, la relatività e la termodinamica, ossia teorie che di solito hanno ambiti di applicabilità diversi. Da un punto di vista più pratico, va detto che tale radiazione è trascurabile per buchi neri derivanti da collassi stellari, ma è dominante per gli ipotetici piccoli buchi neri formatisi nei primi istanti dell’universo, che quindi sono destinati a evaporare completamente. La piccolezza della radiazione di Hawking per buchi neri standard ha quindi reso finora impossibile una chiara conferma sperimentale di questo fenomeno. Ciò che rende possibile la radiazione di Hawking è la forte gravità del buco nero. Ora, uno dei tanti lasciti del lavoro di Einstein è il cosiddetto “principio di equivalenza” (vd. Mele, ascensori e buchi neri, ndr). Secondo questo assunto, che è alla base della teoria della relatività generale, la gravità è indistinguibile da una forza apparente osservata in un sistema di riferimento in accelerazione. Consistentemente con ciò, negli anni 1975/76, William Unruh e Paul Davies hanno indipendentemente predetto che anche un osservatore in moto accelerato rispetto al vuoto quantistico deve osservare una radiazione. Inoltre, lo spettro in frequenza dell’intensità di questa radiazione deve coincidere con quello della radiazione emessa da un corpo a una temperatura la cui espressione coincide con la formula di Hawking, a patto di sostituire l’accelerazione di gravità all’orizzonte del buco nero con l’accelerazione del sistema di riferimento. Questo fenomeno è detto “effetto Unruh”: anch’esso è molto piccolo e difficile da misurare con gli attuali apparati sperimentali. La cosa che accomuna i due fenomeni descritti è che un campo gravitazionale o un suo equivalente possono “estrarre”, rendendole osservabili, delle particelle dal vuoto quantistico. Questo, che è lo stato di minima energia possibile, è quindi lontano dall’essere un palcoscenico spoglio su cui operano le attrici della fisica fondamentale, ovvero le particelle e le loro interazioni: in esso, infatti, queste sono già presenti, seppur in forma virtuale. Verrebbe quasi da dire, adattando al vuoto quantistico una mirabile terzina dell’ultimo canto del Paradiso, che nel “suo profondo” “s’interna” tutto “ciò che per l’universo si squaderna”.
 

Biografia
Marco Rossi ha conseguito il dottorato a Pisa e ha lavorato in Francia (Lyon, Annecy), Regno Unito (Durham, Edinburgh) e Giappone (Kyoto). Ora è professore associato di teoria dei campi e meccanica quantistica presso l’Università della Calabria e la sua ricerca riguarda i sistemi integrabili.

 

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DOI: 10.23801/asimmetrie.2024.37.04
 

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