La sostenibile pesantezza del nulla
Una bilancia per misurare il vuoto

di Annalisa Allocca

Schema di una cavità di Casimir.a.
Schema di una cavità di Casimir. Le lunghezze d’onda dei fotoni virtuali all’interno delle due lamine sono “quantizzate” (sono possibili solo alcune lunghezze d’onda dipendenti dalla distanza tra le due lamine) e sono meno di quelle che si trovano all’esterno. Il risultato è che la pressione esercitata sulle lamine dall’interno sarà inferiore rispetto a quella esercitata dall’esterno, e le due lamine saranno spinte l’una verso l’altra. Questo effetto viene chiamato “effetto Casimir”.

Quanto pesa il vuoto? E, soprattutto, perché dovremmo misurare il peso di qualcosa a cui il senso comune associa il concetto di “nulla”?
La fisica classica dà una definizione abbastanza intuitiva del concetto di “vuoto”, che non è altro che “assenza di materia e di radiazione”. Secondo la fisica quantistica, invece, il vuoto è lo stato a più bassa energia possibile in cui un sistema fisico possa trovarsi, e questa energia non è nulla (vd. Molto rumore per il nulla, ndr). Questo equivale a dire che un sistema nel suo stato di energia più bassa fluttua incessantemente intorno alla sua energia minima, come un pendolo che continua a fare minuscole oscillazioni intorno alla sua posizione di equilibrio. Secondo questa descrizione, nel vuoto ogni oscillazione del campo elettromagnetico, che per comodità chiameremo “fotone virtuale”, ha un suo stato energetico minimo non nullo, e la somma dei contributi di tutti i fotoni virtuali possibili, che sono infiniti, fa sì che il vuoto sia permeato da un’energia infinita: la cosiddetta “energia del vuoto” o “energia di punto zero”.
Questa energia, che sembrerebbe solo una fantasiosa invenzione di qualche fisico teorico, in realtà trova riscontro in un effetto fisico macroscopico ben noto che è l’“effetto Casimir”: consideriamo due lamine metalliche non elettricamente cariche e molto vicine tra loro immerse in uno spazio vuoto (nel senso quantistico del termine). A causa della riflettività delle superfici, solo alcuni fotoni di vuoto “possono sopravvivere” nello spazio interno alle lamine. Per capire meglio questo punto, pensiamo a una corda di chitarra che è bloccata ai due estremi: il ponte da un lato e il dito dall’altro. Queste posizioni determinano il modo in cui la corda può vibrare e di conseguenza la nota che viene prodotta. Per produrre una nota diversa è necessario cambiare la posizione della mano sulla tastiera.
Una cosa analoga accade al campo elettromagnetico di punto zero intrappolato tra le lamine: data una certa distanza tra le lamine, il campo può “vibrare” solo in determinati modi, non in tutti i modi possibili. Si dice allora che i fotoni di vuoto vengono “quantizzati”. In questo quadro, la pressione esercitata sulle lamine dai fotoni virtuali interni (quantizzati) è inferiore rispetto alla pressione esercitata dai fotoni virtuali sulle pareti esterne delle stesse, e di conseguenza le due lamine vengono spinte l’una verso l’altra. Inoltre, se la distanza tra le lamine fosse tenuta fissa (immaginiamo una sorta di scatola metallica), potremmo parlare di una “densità” di fotoni di punto zero interni alla scatola inferiore rispetto alla densità di fotoni di vuoto esterni. Una scatola siffatta è una “cavità di Casimir”.
Ma, se il vuoto è “pieno” di un’energia infinita, come si comporta lo spaziotempo in presenza di questa energia? In altri termini: l’energia di punto zero è capace di interagire con il campo gravitazionale? Questa domanda tormenta i fisici da circa un secolo ed è anche la domanda alla base dell’esperimento Archimedes, che vuole misurare il peso (cioè, l’interazione con il campo gravitazionale) del vuoto (vale a dire, dell’energia di punto zero del campo elettromagnetico). Archimedes è una bilancia estremamente sensibile, costituita da un braccio sospeso alle cui estremità sono fissati due campioni identici. All’interno di uno dei campioni viene variata periodicamente la quantità di energia di vuoto sfruttando l’effetto Casimir. Per capire come, torniamo alla nostra cavità di Casimir immersa nel “mare di fotoni di punto zero”: con pareti trasparenti, la densità di fotoni virtuali interni alla cavità è uguale a quella dei fotoni virtuali esterni. Se però le pareti della cavità diventassero riflettenti, la densità interna dei fotoni di vuoto diverrebbe inferiore a quella esterna, e come un corpo immerso in un fluido che cambia densità, risentirebbe di una spinta dal basso verso l’alto pari al “peso del fluido” spostato, dove il fluido in questione è proprio l’energia di punto zero. Questo è quello che possiamo definire il “principio di Archimede per il vuoto”, da cui prende il nome l’esperimento.

Schema della bilancia dell’esperimento Archimedes.b.
Schema della bilancia dell’esperimento Archimedes. Agli estremi del braccio della bilancia (uno dei due parallelepipedi verdi) sono sospesi due campioni (i due dischi arancioni). Ogni campione è costituito da una serie di cavità di Casimir in successione e in una delle due viene periodicamente variata la quantità di energia di punto zero sfruttando l’effetto Casimir. L’intero esperimento è contenuto in una camera da vuoto che sarà, a sua volta, inserita in un grande criostato.
 
Per variare la riflettività, l’esperimento sfrutta un campione di materiale ceramico che, al di sotto di una certa temperatura detta “critica”, ha una transizione di fase, diventando così superconduttivo e trasformando da “trasparenti” a “riflettenti” le pareti delle cavità di Casimir da cui è costituito. È proprio per lavorare a temperature vicine a quella di transizione del campione che l’intero esperimento è immerso in un criostato raffreddato alla temperatura dell’azoto liquido, a circa -200°C. A questo punto, se l’energia di vuoto interagisce con il campo gravitazionale nel modo previsto dalla relatività generale, il campione che transisce periodicamente allo stato superconduttivo contiene “meno fotoni di punto zero” dell’altro, e questo risulta in un segnale periodico sul sistema di lettura della posizione della bilancia, che riscontra una differenza di peso tra i due campioni. Il segnale di cui si sta parlando è estremamente piccolo: l’effetto atteso è paragonabile a quello di un virus che salta sul braccio della bilancia! Per rivelare un segnale così piccolo è necessario ridurre al minimo qualunque fonte di rumore, ed è per questo che l’esperimento Archimedes è installato in uno dei luoghi sismicamente più silenziosi d’Europa: il laboratorio Sar-Grav situato presso la miniera di Sos-Enattos di Lula (NU), nel cuore della Sardegna.
Archimedes, esperimento unico nel suo genere, aggiungerà un tassello importante a uno dei problemi più discussi della fisica moderna, qualunque sarà il segnale che verrà fuori dalle sue misure.
 

Biografia
Annalisa Allocca è ricercatrice in fisica presso l’Università “Federico II” di Napoli. Oltre a occuparsi della realizzazione dell’esperimento Archimedes, lavora all’esperimento Virgo nell’ambito della cancellazione del rumore newtoniano, ed è membro della collaborazione Einstein Telescope, in cui si occupa della caratterizzazione del sito di Sos-Enattos. 

 

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DOI: 10.23801/asimmetrie.2024.37.06
 

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