L’assenza del tutto
Il vuoto in cosmologia
di Luca Amendola
Immagine nei raggi X del resto della Supernova 1572 (la Nova di Tycho), una supernova di tipo Ia osservata già nel 1572 dall’astronomo danese Tycho Brahe (vd. anche [as] radici: I dati di Tycho., ndr).
Dal vuoto veniamo, al vuoto torneremo. Questo aforisma dal sapore orientale potrebbe essere il motto della cosmologia moderna. La formidabile serie di eventi che ha portato alla formazione di galassie, stelle, pianeti ed esseri viventi potrebbe essere stata solo un interludio tra due eterni “non-luoghi, non-tempi”, uno prima del Big Bang e uno che seguirà la rarefazione completa della materia alla fine dell’evoluzione cosmica. Ma la scienza non è fatta di aforismi: sebbene molte evidenze osservative possono essere addotte a supporto di queste ipotesi, è bene chiarire subito che gli argomenti che tratteremo in questo articolo, ovvero l’infinito passato e l’infinito futuro, non sono direttamente accessibili. La narrazione che segue deve essere dunque cosparsa del sale della probabilità, non della certezza. Iniziamo questa storia dalla fine, perché possiamo vederne con ragionevole sicurezza i segni premonitori (spoiler: non c’è nessun pericolo imminente, né oggi né nei prossimi dieci miliardi di anni). Sin da circa cento anni (l’anniversario ricorrerà nel 2029), sappiamo che l’universo si espande, ovvero che le distanze tra le galassie aumentano nel tempo. Ad esempio, una galassia distante 100 megaparsec dalla nostra Via Lattea, pari a circa 330 milioni di anni-luce, si allontana alla velocità di circa 7000 km/s. Nel 1998 due diversi gruppi di ricerca hanno scoperto però che l’universo non solo si espande, ma che si espande in maniera accelerata. Questa scoperta fu resa possibile da accurate osservazioni di stelle supernovae di un tipo particolare detto Ia, dotate di una luminosità universale, come fari della stessa potenza fabbricati in serie. Dal flusso luminoso che riceviamo possiamo quindi risalire alla loro distanza. Combinando questo dato con lo spostamento verso il rosso del loro spettro, da cui possiamo determinare l’epoca in cui la luce è stata emessa, ne deduciamo una relazione velocità-distanza che, infine, traccia la traiettoria dell’espansione.
La rivoluzionaria scoperta dell’accelerazione ha costretto i cosmologi a ridisegnare le fondamenta della loro scienza. Un movimento accelerato richiede infatti una forza repulsiva, mentre la gravità, l’unica tra le forze fondamentali che agisce a distanze cosmologiche, è intrinsecamente attrattiva. Cosa può causare l’accelerazione cosmica?
Nonostante la scoperta fosse del tutto inaspettata, la risposta era già pronta da qualche decennio, in attesa che qualcuno la ritirasse fuori dal cassetto delle grandi idee. L’aveva proposta, tanto per cambiare, Albert Einstein già nel 1917, in una delle più prodigiose false partenze della storia del pensiero umano. In quell’anno Einstein ipotizzò infatti l’esistenza di una “costante cosmologica”, ovvero una forma di energia potenziale completamente uniforme distribuita in tutto lo spazio, al solo fine di riconciliare le sue equazioni della relatività generale con la sua filosofica propensione per uno spaziotempo statico. Ma Georges Lemaître ed Edwin Hubble scoprirono pochi anni dopo che il cosmo è tutt’altro che statico, e la costante di Einstein rimase un espediente ingegnoso ma piuttosto inutile, e perfino un poco imbarazzante. Eppure, la costante di Einstein, detta anche Lambda, possedeva un’insolita proprietà: la sua energia, del tutto uniforme, non muove le cose (le forze nascono dalle variazioni dell’energia potenziale), ma contribuisce comunque alla gravità così come ogni altra forma di energia. E seguendo le regole della relatività generale scopriamo che la costante Lambda e la pressione ad essa associata contribuiscono come una massa negativa, ovvero esercitando una repulsione, anziché un’attrazione. Proprio il deus ex machina di cui le scoperte del 1998 avevano bisogno.
Evoluzione dell’universo e delle sue componenti (materia ordinaria, materia oscura, energia oscura) dall’istante del Big Bang fino ad oggi.
Ecco dunque perché la costante cosmologica è così importante in cosmologia: mentre lo spazio si espande, la sua densità costante prende via via il sopravvento rispetto alla densità decrescente di materia raccolta in stelle, gas, polveri, galassie. Già oggi la costante Lambda rappresenta circa il 70% dell’energia complessiva, e questa percentuale è destinata a crescere fino a raggiungere asintoticamente il 100%. A quel punto, la materia rimasta, probabilmente interamente collassata in buchi neri, sarà formata solo da spente ceneri disperse a distanze infinite.
La costante Lambda è in realtà il prototipo di un’intera famiglia di “energie del vuoto” che i cosmologi hanno proposto per spiegare l’accelerazione cosmica e altre meno spettacolari osservazioni astrofisiche, tra cui la radiazione di fondo cosmico e la distribuzione delle galassie. Queste nuove forme ipotizzano l’esistenza di “energia oscura”, una sostanza che condivide gli aspetti essenziali della Lambda, ma è un po’ meno costante, presentando cioè leggere variazioni nel tempo e nello spazio. Se il nostro cosmo sia permeato dalla pura costante di Einstein o da energia oscura, lo diranno le grandi campagne osservative dei prossimi anni, come il satellite Euclid dell’ESA, lanciato nel 2023.
Una di queste transizioni potrebbe aver innescato la crescita esponenziale dello spazio nei suoi primissimi istanti di vita, la cosiddetta “inflazione”. Altre transizioni potrebbero essersi prodotte successivamente, a mano a mano che l’universo si espandeva e si raffreddava. Questi fenomeni hanno molto in comune con le transizioni di fase termodinamiche, come il passaggio da un liquido a un solido. Come il ghiaccio si forma mediante la crescita di cristalli che via via si agglomerano e solidificano il liquido, così le transizioni cosmiche potrebbero generare regioni della fase “nuova” con caratteristiche di densità, pressione e altre proprietà diverse dalla fase in cui si trovano immerse. Quando queste regioni gradualmente si raccordano e si fondono, si generano nuovi fenomeni potenzialmente osservabili. Esse potrebbero per esempio perturbare lo spazio e creare onde gravitazionali diffuse di intensità sufficiente a essere rivelate da futuri esperimenti come il satellite LISA dell’ESA. Oppure lasciare in giro per l’universo dei residui della transizione, detti “difetti topologici” che, come nodi inestricabili di un tessuto, sopravvivono ad ogni trasformazione e agiscono gravitazionalmente sulla materia ordinaria.
Cento anni dopo la costante di Einstein, stiamo ancora scoprendo la ricca fenomenologia del vuoto. Come l’invenzione dello zero ha rivoluzionato la matematica antica, così la scoperta del vuoto come ente dinamico ha costretto la fisica e la cosmologia a rivedere le loro basi teoriche. La natura del vuoto, la sua evoluzione, le sue proprietà fisiche, sono oggi tra le principali motivazioni scientifiche di molti grandi progetti sperimentali.
Biografia
Luca Amendola si è laureato alla Sapienza Università di Roma, dove ha anche conseguito il dottorato. È stato ricercatore all’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) fino al 2009 ed è attualmente professore di fisica teorica presso l’Università di Heidelberg in Germania. Ha pubblicato più di 200 articoli scientifici e diversi libri divulgativi, tra cui l’ultimo, “L’algoritmo del mondo”, per le Edizioni Il Mulino.