[as] intersezioni
Vuoti di memoria
di Sergio Della Sala
professore di neuroscienze cognitive
“Vuoto di memoria” è un’espressione colloquiale che identifica episodi in cui una persona non riesce a recuperare conoscenze che aveva, ricostruire eventi precisi del proprio passato o ricordare cosa deve fare in un dato momento. Il “vuoto” è una metafora per descrivere occasioni in cui i ricordi che riteniamo di avere non affiorano quando richiesti. Poeti e letterati hanno usato altre metafore simili per descrivere una difficoltà di accesso alla nostra memoria: nebbia che fa svanire i ricordi, memorie come foglie che volano via in autunno o che si rifugiano in un villaggio remoto senza telefono e, ancora, tele con dipinti dai dettagli affievoliti, sabbia che si disperde al vento, puzzle con frammenti mancanti, vetri appannati che nascondono la realtà, fiumi che trasportano lontano le nostre impressioni.
I vuoti di memoria sono un espediente narrativo ricorrente in letteratura, nei fumetti e nei film, soprattutto nei gialli, poiché rappresentano un’esperienza universale che permette di creare suspense e mistero e intrigare lettori e spettatori, facendoli riflettere su questioni complesse legate all’identità, alle diverse possibili ricostruzioni della realtà, alla funzione della memoria e alla sua perdita nelle nostre attività quotidiane.
Nella pratica clinica però si tratta di un termine non specifico, che abbraccia condizioni e situazioni molto diverse tra loro. Non esiste “la” memoria, ma molti diversi tipi di memoria che formano un modello cognitivo complesso. Entro questo modello, le varie declinazioni della memoria sono indipendenti l’una dall’altra; in termini tecnici che i due tipi di memoria “dissociano”, cioè occupano uno spazio diverso nel sistema cognitivo e sono verosimilmente generate da percorsi neurali diversi.
Se dovesse capitare di esperire vuoti di memoria, bisogna resistere alla tentazione di diventare preda di scorciatoie fittizie, come quelle offerte da costosi programmi computerizzati per migliorare la memoria, che sono di moda ma non sono sostenuti da dati sperimentali. Tramite questi programmi si impara a svolgere meglio solo il particolare compito stimolato: l’abilità non si generalizza. E non può che essere così, dato che, come abbiamo visto, non esiste “la memoria”, esistono molti sistemi diversi, molte memorie fra loro distinte e dissociabili.
Però si può migliorare la propria strategia di apprendimento, la capacità di catalogare e di ragionare, studiando, leggendo, frequentando gli amici, praticando sport, ridendo e piangendo. Se si vive bene, si pensa bene, se si pensa bene la memoria ne giova e, invece di subire vuoti, li riempiremo di nuovi ricordi.