Bolle spaziali
L’irregolare struttura dell’universo

di Alice Pisani

Margaret Geller e John Huchra ripresi mentre studiano i dati che hanno portato a evidenziare la struttura a grande scala dell’universoa.
Margaret Geller e John Huchra ripresi mentre studiano i dati che hanno portato a evidenziare la struttura a grande scala dell’universo, formata da addensamenti, filamenti e vuoti. L’immagine a forma di ventaglio in alto mostra una porzione di universo in cui le galassie (i punti colorati) si distribuiscono proprio a formare questa struttura a spugna, detta la “rete cosmica”.

Osservando il cielo con i grandi telescopi moderni è possibile studiare la distribuzione delle galassie nell’universo. Il ramo della cosmologia che studia le grandi strutture dell’universo ha subito uno sviluppo incredibile negli ultimi cinquant’anni. All’inizio, le prime mappe della distribuzione di galassie a grande scala suscitarono un grande stupore tra gli scienziati: lungi dal mostrare una distribuzione uniforme, queste prime mappe suggerivano l’esistenza di una struttura disuniforme, con regioni piene di galassie e regioni con pochissime galassie. Vi fu quindi grande scetticismo nei riguardi di queste osservazioni: come potevano esserci dei buchi nella distribuzione di galassie? Perché non si osservava una distribuzione uniforme? Le osservazioni erano forse incomplete? Nel 1986, un fondamentale articolo di Valérie de Lapparent, Margaret Geller e John Huchra mostrò la prima mappa dell’universo a grandi scale, grande abbastanza da fornire un’evidenza schiacciante: la distribuzione a grandi scale delle galassie non è uniforme! Questa struttura a “schiuma” fu chiamata la “rete cosmica”. Il ramo della cosmologia che si occupa di studiare la distribuzione delle galassie nell’universo aveva appena compiuto un enorme passo avanti. Mentre in alcune zone ammassi di galassie e filamenti delineavano una struttura ben definita, la maggior parte del volume osservato mostrava regioni con pochissime galassie, i cosiddetti “vuoti cosmici”.
I vuoti, enormi regioni dalle forme e taglie variegate, possono essere considerati le strutture più vaste dell’universo. Con dimensioni che vanno dalle decine alle centinaia di megaparsec, dominano il volume dell’universo. All’inizio, i vuoti non furono considerati strumenti utili per studiare il nostro universo nel suo insieme, mentre interessava di più comprendere come potessero formarsi tali oggetti e come evolvessero. Anche più avanti, nel 1995, benché Barbara Ryden proponesse di usare i vuoti per estrarre informazioni cosmologiche, questo non fu ancora possibile: a quei tempi non si conoscevano ancora abbastanza vuoti per poter ricavare informazioni utili.

Ruota di assemblaggio degli elementi del telescopio spaziale Nancy Grace Romanb.
Ruota di assemblaggio degli elementi del telescopio spaziale Nancy Grace Roman, costituita da un centro conico a forma di stella circondato da dieci piccoli cerchi bordati di nero. La ruota è sorretta da un telaio, ciascuno degli elementi riflette la luce nei toni del blu e del turchese.
 
Ciò nonostante, almeno in linea di principio, abbiamo vari motivi per credere che i vuoti possano contribuire a rispondere alle grandi domande della cosmologia del nostro secolo. Sappiamo che l’universo è in espansione accelerata e postuliamo l’esistenza dell’energia oscura per spiegare le nostre osservazioni. Ad oggi non si sa cosa sia l’energia oscura e, per studiarla, grandi collaborazioni di scienziati lavorano assiduamente per sviluppare, costruire e utilizzare telescopi sempre più performanti. Primo fra tutti si può citare il telescopio Euclid, lanciato dall’ESA nel 2023, seguito da DESI, dal Roman Space Telescope, dalla missione Vera Rubin, dal telescopio PFS di Subaru e dalla missione SPHEREx. Oltre all’energia oscura, un’alternativa per spiegare l’accelerazione dell’espansione dell’universo è una modifica della teoria della relatività generale. Studiare la distribuzione delle galassie dell’universo a grandi scale può gettar luce anche su alcuni altri misteri della cosmologia moderna, quali la natura della materia oscura, che costituisce circa un quarto del nostro universo, e la massa dei neutrini. La vasta gamma di programmi scientifici negli anni a venire mira a costruire mappe dell’universo sempre più vaste e dettagliate per rispondere a questi quesiti. Ebbene, l’avvento di dati grazie ai telescopi moderni è proprio ciò che ci porta all’età d’oro per i vuoti: la cosmologia dei vuoti cosmici necessita di una combinazione di giganteschi volumi osservati (i vuoti sono grandi oggetti e ne servono numerosi per studi statistici) in parallelo con un’alta precisione dei sondaggi per osservare anche le galassie a bassa massa, riuscendo così a catturare la posizione delle galassie fin nell’interno dei vuoti, permettendoci di studiare la struttura interna di queste sotto-densità in dettaglio.
Ma perché studiare i vuoti? Perché cercare informazioni sul nostro universo proprio nelle regioni in cui c’è meno materia, meno galassie? Perché i vuoti sono regioni dell’universo dove regna l’energia oscura. Per definizione, nei vuoti vi sono poche galassie. Sappiamo che la materia oscura costituisce lo “scheletro” per la distribuzione delle galassie dell’universo; quindi, se nei vuoti vi sono poche galassie, c’è anche poca materia e quindi questi giganteschi oggetti si evolvono governati dall’energia oscura. Se vogliamo comprendere l’energia oscura, è del tutto ragionevole concentrare la nostra attenzione sulle regioni dell’universo che sono state le prime a “sentire” gli effetti dell’energia oscura, essendo dominati da questa componente: queste regioni sono i vuoti cosmici.
Grandi strutture nell’universo locale. Nella distribuzione di galassie si notano i vuoti cosmici.c.
Grandi strutture nell’universo locale. Nella distribuzione di galassie si notano i vuoti cosmici.
 
I vuoti sono quindi uno strumento importante per studiare la composizione e l’evoluzione dell’universo. Ma come possiamo estrarre vincoli sui modelli cosmologici dai vuoti? Sappiamo oggi che si possono utilizzare vari metodi.
Primo fra tutti è lo studio della forma dei vuoti, ovvero del loro profilo di densità. Benché i vuoti osservati abbiano forme variegate, ipotizzando che nell’universo non vi siano né una direzione né una posizione privilegiate, in media ci aspettiamo che la forma dei vuoti debba essere sferica. Le dimensioni dei vuoti osservate nel cielo possono essere ricondotte in distanze fisiche, ma per fare questo bisogna fare delle assunzioni sulla composizione dell’universo. Se supponiamo quindi che il nostro universo abbia una data composizione, si possono convertire le dimensioni osservate dei vuoti in distanze fisiche e ottenere una misura media delle dimensioni dei vuoti nelle varie direzioni in cielo. Se questa misura mostra che i vuoti in media sono sferici, allora significa che la nostra ipotesi iniziale sulla composizione dell’universo è corretta, altrimenti dobbiamo rivederla per rendere compatibile il modello teorico con le osservazioni. Questo metodo di studio delle strutture cosmiche è noto come il “test di Alcock-Paczynski”, dal nome degli scienziati che proposero l’utilizzo di “sfere standard” per studiare l’universo.
Simulazione della distribuzione di materia nell’universo. La materia si aggrega in filamenti e zone molto dense, circondate da grandi zone vuote. d.
Simulazione della distribuzione di materia nell’universo. La materia si aggrega in filamenti e zone molto dense, circondate da grandi zone vuote.
 
In parallelo, siccome le velocità delle (poche) galassie che compongono i vuoti avranno un impatto sulla forma misurata dei vuoti, dobbiamo modellizzarle, considerando la relatività generale. Quindi misurare il profilo di densità dei vuoti permette di porre dei vincoli alla composizione dell’universo e di testare la relatività generale su scale cosmologiche e in regioni a bassa densità, aprendo un nuovo regime dove validare la teoria di Einstein. Questo metodo permette così di ottenere vincoli stringenti sul nostro universo utilizzando i vuoti cosmici. Il secondo metodo per estrarre informazioni dai vuoti è contarli. Siccome i vuoti sono dominati dall’energia oscura, è facile comprendere come la dimensione e il numero dei vuoti sarebbero diversi se, ad esempio, il nostro universo fosse stato dominato dall’energia oscura a tempi diversi da quanto è previsto dal modello cosmologico standard, o se l’energia oscura avesse proprietà che variano con il tempo. Nel 2015 è stato infatti dimostrato che, utilizzando nei prossimi anni i telescopi Euclid e Roman per contare i vuoti, si potranno vincolare le proprietà dell’energia oscura. Inoltre, il conteggio dei vuoti permetterà anche di ottenere limiti alle proprietà dei neutrini e di districare gli effetti cosmologici prodotti dai neutrini dagli effetti indotti dell’energia oscura, cosa difficile da ottenere con altre tecniche. L’applicazione delle tecniche di conteggio dei vuoti sta incominciando a dare i primi frutti: recentemente è stato infatti possibile utilizzare per la prima volta il conteggio dei vuoti osservati dai dati del telescopio BOSS per vincolare la composizione dell’universo. Questa prima applicazione ai dati è un’importante prova di fattibilità e mostra le potenzialità di questo metodo.
Infine, benché possa sembrare contro-intuitivo (visto che nei vuoti c’è davvero poca materia), gli scienziati pensano d’aver trovato nei vuoti un nuovo strumento per vincolare le caratteristiche particellari della materia oscura. Infatti, se è vero che nei vuoti c’è poca materia oscura e che quindi si aspetta un segnale basso (ad esempio un segnale di radiazione gamma, prodotto dall’annichilazione o decadimento delle particelle di materia oscura), è anche molto basso il numero delle sorgenti astrofisiche che possono emettere radiazione, proprio perché i vuoti sono regioni con poche galassie. Quindi, benché il segnale per la materia oscura sia più debole nei vuoti, il rapporto tra segnale e rumore è in realtà più elevato che in altre regioni dell’universo, in cui c’è più materia oscura ma vi sono anche più sorgenti astrofisiche. In modo inaspettato i vuoti possono quindi essere anche un eccellente strumento per studiare le proprietà della materia oscura.
Grazie ai dati di grandi telescopi come Euclid, siamo entrati nell’età d’oro dei vuoti cosmici: queste gigantesche regioni dell’universo, fino a poco tempo fa inesplorate, saranno la chiave per risolvere alcuni tra i misteri più eccitanti della cosmologia moderna.
 

Biografia
Alice Pisani è una cosmologa italiana. Dopo aver studiato alla Sapienza Università di Roma, ha ottenuto un dottorato in astrofisica alla Sorbonne Université Pierre et Marie Curie. Ha poi lavorato per numerosi anni come ricercatrice e professoressa all’Università di Princeton, negli Stati Uniti, al Center for Computational Astrophysics dell’Istituto Flatiron e alla Cooper Union. È la principal investigator della borsa ERC COSMOBEST e, dal 2024, direttrice di ricerca del CNRS in Francia.

 

icon-pdf [scarica pdf]

 
DOI: 10.23801/asimmetrie.2024.37.08
 

 ©asimmetrie   Istituto Nazionale di Fisica Nucleare / via E. Fermi 40 / 00044 Frascati [Roma] Italia
Ufficio Comunicazione INFN / P.zza dei Caprettari 70 / 00186 Roma Italia
Registrazione del Tribunale di Roma n. 336/2012 del 7 dicembre 2012
powered by Multimedia Service e INFN-LNF servizio di calcolo
Informativa sulla Privacy e Cookie Policy