C’è nessuno?
Il vuoto in LHC e Virgo
di Paolo Chiggiato
Foto del tunnel di LHC in uno dei tratti curvi (i cosiddetti “archi”). In blu si vedono i magneti superconduttori dipolari. Lo spaccato mostra l’interno del magnete con le due linee da vuoto dove circolano i fasci di protoni (blu e rosso). Il vuoto è presente dove circolano i fasci e all’interno dei grandi tubi blu (criostati) per garantire l’isolamento termico.
La ricerca scientifica ha stimolato radicali avanzamenti nella tecnologia del vuoto. Fra gli strumenti scientifici che richiedono l’ultra-alto vuoto (vd. Sotto-pressione, ndr), gli acceleratori di particelle e i rivelatori di onde gravitazionali sono stati motori di questo sviluppo, spingendo i limiti inferiori della rarefazione gassosa e adempiendo requisiti via via sempre più stringenti. Nei primi, elettroni, protoni o ioni vengono accelerati fino a velocità prossime a quella della luce. Gli acceleratori sono impiegati in una larga gamma di applicazioni, che va dall’utilizzo industriale, lo studio di opere d’arte e la cura dei tumori, fino alla ricerca subatomica fondamentale. Attualmente, il più grande acceleratore è il Large Hadron Collider (LHC) del CERN (27 km di circonferenza), nel quale due fasci di protoni che circolano in direzioni opposte collidono fra di loro in quattro punti dell’anello. Il vuoto è necessario per ridurre gli urti fra le particelle e le molecole del gas residuo, che altrimenti provocherebbero perdite eccessive e instabilità. Il vuoto negli acceleratori è anche necessario per evitare scariche elettriche in dispositivi ad alta tensione, per esempio le cavità acceleratrici, dove sono presenti campi elettrici di vari MV/m. Un’altra applicazione del vuoto negli acceleratori è l’isolamento termico di liquidi criogenici, essenzialmente utilizzati per raffreddare i materiali superconduttori di cui sono composti i magneti che guidano i fasci di particelle e la cavità acceleratrici.
I rivelatori di onde gravitazionali, come Virgo e LIGO, richiedono livelli di vuoto simili a quelli degli acceleratori moderni. Al fine di misurare con tecniche di interferometria laser segnali estremamente deboli provocati da onde gravitazionali (fino a 104 volte più piccoli del diametro del protone), i raggi laser non devono essere perturbati da interazioni con le molecole del gas residuo. A differenza degli acceleratori, non è solo il valore medio della pressione che conta, ma anche le fluttuazioni statistiche della densità di molecole nel volume occupato dal raggio laser. Queste fluttuazioni aleatorie determinerebbero uno sfasamento dei fotoni del laser simile a quello ottenuto durante il passaggio di un’onda gravitazionale. Il risultato sarebbe un eccessivo aumento del “rumore” misurato dal rivelatore. L’ultra-alto vuoto è necessario anche per preservare la riflettività degli specchi, riducendo la presenza di gas condensabili, in particolar modo idrocarburi pesanti e vapor acqueo.
Il raggiungimento dell’ultra-alto vuoto implica l’ottenimento di pressioni almeno 1012 volte inferiori a quella atmosferica. Il principale ostacolo non è il gas atmosferico, facilmente evacuabile, ma il degassaggio dei materiali che compongono il sistema da vuoto. Poiché i materiali utilizzati in ultra-alto vuoto sono essenzialmente metalli, le loro superfici sono ricoperte da ossidi parzialmente idrossilati che rilasciano vapore acqueo. Per giunta, l’idrogeno atomico intrappolato nei metalli può migrare sulla superficie e liberarsi come idrogeno gassoso. Il rilascio del vapore acqueo può essere ridotto molto efficacemente tramite riscaldamento a più di 100 °C per varie ore sottovuoto nella configurazione d’installazione finale (in situ). Questo riscaldamento è comunemente chiamato “bakeout” e deve essere ripetuto ogni qualvolta il sistema è esposto all’aria atmosferica. Il degassaggio di idrogeno si diminuisce rimuovendo l’idrogeno presente nel metallo con trattamenti termici a temperature superiori a 300 °C, sia nel vuoto che nell’aria. Questi trattamenti, detti rispettivamente di “vacuum firing” e “air firing” sono generalmente irreversibili e possono essere imposti ai materiali prima della fabbricazione delle camere da vuoto.
Foto del tunnel dell’esperimento Virgo a Cascina, nei pressi di Pisa. La camera da vuoto ha un diametro di 1,2 m ed è rivestita di isolante termico utilizzato durante il bakeout, per diminuire la dispersione termica e, durante il funzionamento, per limitare le escursioni termiche.
Camera da vuoto del rivelatore LHCb tenuta in posizione da corde in kevlar. Il pompaggio del gas residuo si basa su un film sottile di titanio-zirconio-vanadio, una pompa getter sviluppata al CERN.
Sebbene acceleratori e rivelatori di onde gravitazionali abbiano esigenze simili in termini di vuoto, entrambi hanno requisiti che differiscono significativamente. Le peculiarità dei rivelatori di onde gravitazionali derivano dall’estrema sensibilità dei loro sistemi ottici. Ogni forma di vibrazione ambientale deve essere ridotta al minimo. Le camere da vuoto con i loro supporti devono essere progettate per attenuare le vibrazioni del suolo. Inoltre, le specifiche per il contenuto di polveri e idrocarburi assorbiti sono rigorose per evitare alterazioni delle proprietà ottiche degli specchi. Dall’altro lato, la particolarità degli acceleratori sta nel fatto che, oltre alle sorgenti di gas già menzionate, i fasci di particelle possono causare in modo indiretto la liberazione di molecole gassose delle camere da vuoto tramite bombardamento elettronico, ionico e di luce di sincrotrone.
Sebbene abbiano requisiti diversi, i sistemi da vuoto di acceleratori di particelle e rivelatori di onde gravitazionali sono accomunati da un forte impatto sui costi dei futuri progetti. Tanto per l’Einstein Telescope (ET), il futuro rivelatore di onde gravitazionali europeo con più di 120 km di camere da vuoto, quanto per il Future Circular Collider (FCC), il futuro collisionatore circolare del CERN (91 km di circonferenza), i sistemi da vuoto figurano fra le prime linee di spesa. Per entrambi i progetti, il livello dei costi impone soluzioni tecnologiche alternative che coinvolgono materiali, fabbricazione, pompaggio, misura e controllo della pressione. Ancora una volta, gli strumenti scientifici che spingono i limiti della conoscenza umana contribuiranno sinergicamente allo sviluppo tecnologico dell’ultravuoto.
Biografia
Paolo Chiggiato ha conseguito la laurea in ingegneria nucleare presso il Politecnico di Milano e ha accumulato oltre trent’anni di esperienza lavorativa presso il CERN di Ginevra. Attualmente, ricopre il ruolo di responsabile del gruppo dedicato al vuoto, alle superfici e ai film sottili, mentre riveste anche la posizione di vicecapo nel dipartimento di tecnologia degli acceleratori. Inoltre, da circa cinque anni, è impegnato nel coordinamento del contributo del CERN per i sistemi da vuoto degli interferometri dell’Einstein Telescope (ET) e in tal ruolo è membro dell’Einstein Telescope Organization (ETO).