Sotto-pressione
Come si crea e si misura il vuoto

di Fulvio Ricci

esperimento delle due semisfere di Magdeburgo condotto da Otto von Guericke nel 1654a.
L’esperimento delle due semisfere di Magdeburgo condotto da Otto von Guericke nel 1654. L’esperimento consiste in due grandi emisferi di rame, sigillati ai bordi. L’aria veniva pompata fuori, creando così il vuoto all’interno della sfera. Nonostante due squadre di cavalli tentassero di separare i due emisferi, la pressione dell’aria agente sulla sfera, non bilanciata da una pressione all’interno della sfera in cui c’era il vuoto, non permise ai cavalli di separare le due parti. Solo facendo entrare aria all’interno della sfera attraverso un’apposita valvola fu possibile separare facilmente le due parti. Gli emisferi di Magdeburgo furono ideati da von Guericke per dimostrare il funzionamento della pompa d’aria da lui inventata e il concetto di pressione atmosferica.

Come si crea e come si misura il vuoto? In entrambi i casi, non si tratta affatto di un’impresa semplice.
“Praticare” il vuoto è una espressione tecnica che implica l’operazione di estrazione dell’aria da un recipiente chiuso. In termini più corretti significa abbassare la pressione all’interno del recipiente. Il processo di estrazione del fluido dall’interno del recipiente può essere più o meno efficace e la pressione residua caratterizza la qualità del vuoto prodotto.
Attribuire la paternità della prima produzione di vuoto in un recipiente è un esercizio dai contorni poco definiti. Si potrebbe infatti arguire che anche l’antica e semplice operazione di travasare il vino da un recipiente a un altro tramite un semplice processo di aspirazione possa essere classificata come una pratica di vuoto. Il vuoto lo ha certamente praticato Torricelli con un tubo di vetro chiuso a una estremità, riempito di mercurio e poi capovolto, con l’estremità aperta immersa in un recipiente di mercurio (vd. Breve storia del nulla, ndr). Nello stesso periodo storico il fisico tedesco Otto von Guericke (1602–1686), modificando un modello di pompa sviluppata nel III sec. a. C. da Ctesibio d’Alessandria, provò a vuotare prima botti piene d’acqua, poi bidoni in metallo. I primi tentativi furono fallimentari: durante la generazione del vuoto i bidoni metallici si schiacciavano. Infine costruì due semisfere unite insieme da guarnizioni in cuoio e, pompando via l’aria al loro interno, finalmente ottenne il vuoto.
Ai nostri giorni la tecnologia utilizzata per produrre e misurare il vuoto cambia significativamente a seconda degli intervalli di pressione residua presente nel contenitore. Si parla quindi di “basso vuoto”, “medio vuoto”, “alto vuoto”, “ultra-alto vuoto” e “vuoto estremo” a seconda del livello di pressione residua (vd. fig. b).
In natura, una condizione di ultra-alto vuoto si ha ad esempio sulla superficie della Luna. La bassa forza di gravità della Luna non trattiene a sufficienza le molecole attorno alla crosta solida e nella notte lunare i valori di pressione sono dell’ordine di 3x10-12 mbar, corrispondenti a circa centomila particelle in un centimetro cubo. Produrre e misurare questo tipo di vuoto in laboratorio non è cosa semplice. La misura di valori così bassi di pressione è ottenuta monitorando la corrente elettrica generata dagli ioni delle molecole del gas residuo nel recipiente.
Gli strumenti basati su questo principio sono divisi in sistemi a “catodo caldo” e “catodo freddo”. Nel caso del catodo caldo, lo strumento include un filamento che ionizza il gas per effetto termoionico. Nei misuratori a catodo freddo gli ioni sono generati naturalmente grazie all’effetto dei raggi cosmici. L’elemento a catodo freddo più diffuso è il Penning, con il quale si misurano pressioni da 10-4 a 10-11 mbar. In esso è presente un magnete, la cui funzione è di aumentare il cammino libero medio degli ioni ottenendo misure più accurate.

Classificazione delle tipologie di pompe da vuoto e di sensori di misura di pressioneb.
Un’estesa classificazione delle tipologie di pompe da vuoto e di sensori di misura di pressione. La linea tratteggiata indica la progressiva riduzione dell’efficienza di pompaggio del sistema. La pressione qui è indicata in millibar (mbar), ma esistono varie altre unità di misura: l’atmosfera (atm), pari a 1013,25 mbar, ma anche il Pascal (Pa), i millimetri di mercurio (mmHg o torr), la baria (Ba) e la psi.
 

Un modo più sofisticato di misurare la pressione in ambienti di ultra-alto vuoto è quello basato sull’utilizzo di “microbilance a cristalli di quarzo”: le variazioni di massa del cristallo di quarzo, dovute alla deposizione delle molecole del gas, determinano il cambiamento di frequenza di risonanza del cristallo.
La “spettroscopia di assorbimento laser a diodi modulabili” è un’altra tecnica ad alta sensibilità, che perturba poco dello stato del sistema: in questo caso il valore della pressione residua è ottenuto misurando l’assorbimento della luce laser che si propaga nell’ambiente di ultra-alto vuoto da parte delle molecole del gas residuo.
Per intervalli di pressione più alti (e quindi di minor vuoto), la strumentazione di misura cambia. L’effetto più sfruttato per ottenere la misura di pressione nel caso del medio vuoto, ad esempio, è lo scambio termico tra un filamento elettrico caldo e il gas residuo del recipiente. Lo scambio termico altera sia la temperatura che la resistenza elettrica del filamento e per questo si hanno due tipi di vacuometri: la “termocoppia”, ovvero un termometro saldato in un punto del filamento, e il Pirani, che misura la variazione di resistenza del filamento.
Affrontiamo ora il problema di come fare e mantenere vuoto un recipiente. Dopo aver aspirato a lungo il fluido dal recipiente si giunge a una condizione stazionaria nella quale all’azione di estrazione, che avviene grazie al sistema di aspirazione, ovvero una cosiddetta “pompa da vuoto”, si contrappone una continua immissione di molecole nel volume del recipiente, dovuto al distacco di molecole dalle pareti (un fenomeno noto come “degasaggio”) e all’esistenza di micro-perdite del recipiente.
c.
In alto, una pompa scroll, sotto le spirali (fissa e mobile), che si trovano al suo interno. Nella terza figura è mostrato il trascinamento del gas generato dal moto relativo delle due spirali: (a) Ingresso del gas. (b) Spostamento del gas. (c) Compressione del gas verso il centro. (d) Espulsione del gas dal centro della pompa.
 

Il sistema di pompaggio viene scelto in funzione dell’intervallo di pressione in cui deve operare, tenendo anche conto del pericolo di inquinamento che la pompa può generare nel recipiente.
Il basso vuoto è prodotto da “pompe volumetriche”, che sfruttano la variazione di volume di una camera per provocare l’aspirazione del fluido in un’altra. Possono essere “rotative” o “a pistone”, con olio lubrificante per le parti in moto o a secco. Nelle rotative la compressione avviene grazie al moto rotatorio di palette lubrificate che aprono e chiudono alternativamente la bocca d’ingresso e la bocca di uscita della pompa. La presenza di olio di lubrificazione può causare inquinamento, un effetto deleterio per varie applicazioni, come in microelettronica. Per ovviare a questo problema si usano le “pompe scroll”, nelle quali la compressione avviene grazie a due spirali contrapposte, una fissa e l’altra in movimento; il fluido da aspirare fluisce verso la zona centrale di evacuazione di questa sorta di labirinto in movimento (vd. fig. c).
Per ottenere condizioni di alto vuoto in genere si usano le “pompe a diffusione”. Con l’ausilio di pompe volumetriche, scaldando un fluido, si crea un cosiddetto “flusso motore” che si muove ad alta velocità (circa 500 m/s) e trascina per urto le particelle del gas da evacuare. Per ottenere vuoti fino a 10-7 mbar il fluido motore deve avere una bassa tensione di vapore alle alte temperature di esercizio e per questo si usano oli minerali di speciale composizione.
L’effetto di quella parte del fluido motore che torna all’indietro verso il recipiente, impedisce l’uso delle diffusioni in impianti dove è richiesto un basso inquinamento. Si usano allora le “pompe turbomolecolari” (vd. fig. d), dotate di un rotore costituito da una pila di dischi coassiali, ciascuno dei quali è costituito da alette angolate fuori dal piano del disco. Le orientazioni delle alette sono scelte in modo che le molecole del fluido da evacuare, colpite dalle palette in veloce movimento rotatorio, siano spinte in basso verso l’uscita della pompa.
Rotore di una pompa turbomolecolare d.
Nella foto è mostrato il rotore di una pompa turbomolecolare: si noti come cambiano gli angoli delle palette dei dischi del rotore andando da un disco al successivo. 
 

Per scendere al di sotto di 10-8 mbar, è necessario in via preliminare riscaldare le pareti del recipiente, mantenendolo sotto vuoto, a temperature dell’ordine di 150 °C. Questo facilita il degasaggio e, una volta riportato il sistema a temperatura ambiente, le pompe di ultra-alto vuoto e di vuoto estremo consentono di abbassare ulteriormente la pressione. In questo caso si devono utilizzare le “pompe a intrappolamento”: questa denominazione deriva dal principio fisico che ne determina il funzionamento, ovvero la creazione di legami molecolari tra le molecole residue del recipiente e il materiale con cui è fatta la pompa stessa.
Nelle “pompe a sublimazione di titanio” si sfrutta l’alta reattività chimica di questo elemento con le particelle residue nella camera da vuoto, formando un prodotto stabile che resta attaccato alle pareti. Negli impianti di ultra-alto vuoto, accanto alle pompe al titanio spesso convivono le “pompe ioniche”. In esse, grazie alla presenza di un forte campo magnetico e ad un’alta tensione applicata a un sistema anodo-catodo, si crea una nuvola elettronica che ionizza il gas da evacuare. Gli ioni positivi del gas sono poi proiettati ad alta velocità (sputtering) verso la piastra catodica in titanio, dove reagiscono chimicamente.
Per creare l’ultra-alto vuoto e il vuoto estremo vanno citate le “pompe a getter non evaporabili”: sono strati di materiale poroso la cui capacità di assorbimento si innesca previo riscaldamento: ad esempio si utilizzano combinazioni di titanio (30%), zirconio (30%) e vanadio (40%) attivati a 400 oC.
Citiamo infine le pompe criogeniche: in questo caso il processo di intrappolamento è conseguenza dell’abbassamento di temperatura delle pareti della pompa rispetto a quella delle pareti del recipiente da vuotare. A parità di pressione, più la temperatura della pompa si abbassa, più le particelle di acqua, azoto, idrogeno, argon ed elio condensano sulle pareti fredde.
In LHC sono prodotte zone di vuoto estremo e la densità residua arriva a ca. 25.000 particelle per cm3, un valore ancora lontano da quello dello spazio intergalattico, dove la densità residua è di circa una particella per m3. La strada verso il vuoto assoluto, quindi, è ancora lunga.

 

 

Biografia
Fulvio Ricci è professore emerito di Sapienza Università di Roma, affiliato INFN. Esperto di sistemi di rivelazione di onde gravitazionali, ha lavorato prima a Frascati e poi al CERN. A partire dal 1995 è membro della collaborazione internazionale Virgo, di cui è stato portavoce nel periodo della prima osservazione di un segnale di onda gravitazionale. Attualmente presiede la divisione Vacuum & Cryogenics dell’“Instrumental Science Board” del progetto Einstein Telescope.

 

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DOI: 10.23801/asimmetrie.2024.37.02
 

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