Vedere oltre la luce
Occhi speciali per tutte le frequenze
di Francesca Cavallari
Cristalli scintillanti di tungstato di piombo utilizzati per il calorimetro elettromagnetico di Cms.
I rivelatori per le microonde sono utilizzati dai ricercatori dell’Infn principalmente per misurare la radiazione di fondo cosmico (vd. Un'intuizione spettacolare, ndr). Misurarne l’energia e la provenienza ci permette di studiare l’evoluzione iniziale dell’universo.
Una piccola parte del rumore che si vedeva nei vecchi televisori, quando si cercava di sintonizzare un canale, era dovuto alla radiazione di fondo cosmico. Ciò nonostante, non è facile rivelare le microonde, perché tutti gli oggetti a temperatura ambiente emettono un po’ di microonde, quindi i rivelatori devono essere raffreddati a temperature prossime allo zero assoluto. Inoltre, l’umidità dell'atmosfera assorbe le microonde: di conseguenza, la rivelazione della radiazione di fondo deve essere realizzata o in zone secche di alta montagna o in palloni aerostatici (esperimento Boomerang) o su satelliti (esperimenti Cobe, Wmap e Planck). I sensori sono di due tipi: “bolometri” e “transistor ad alta mobilità elettronica” (chiamati Hemt dall’inglese “high electron mobility transistors”).
I bolometri sono termometri molto sensibili: la radiazione incidente riscalda leggermente un materiale assorbitore, facendo registrare una piccola variazione nella resistenza del rivelatore ad esso connesso. Gli Hemt, invece, sono dei transistor che amplificano il segnale e lo convertono in un segnale elettrico.
I rivelatori per la luce visibile sono di due tipi: a vuoto e a stato solido. I fotomoltiplicatori sono i più comuni rivelatori a vuoto. Sono costituiti da un tubo sotto vuoto, con una finestra trasparente da cui entra la luce. Nel tubo c’è uno strato in cui la luce viene convertita in elettroni per effetto fotoelettrico. Gli elettroni prodotti vengono poi accelerati da un campo elettrico e spinti verso altri strati metallici e, sbattendoci contro, estraggono altri elettroni. Combinando vari stadi successivi si può raggiungere un fattore di amplificazione fino a un milione: si tratta quindi di strumenti in grado di rivelare anche segnali molto piccoli. Per gli studi sui neutrini, l’esperimento subacqueo Km3net, in fase di installazione nel Mediterraneo, utilizza dei fotomoltiplicatori molto grandi che misurano la luce emessa al passaggio nell’acqua dalle particelle cariche prodotte dai neutrini.
Negli ultimi decenni c’è stato un grande sviluppo dei rivelatori a stato solido, cioè fatti di silicio, spinto dalla richiesta sempre maggiore di rivelatori di luce per i mouse, le telecamere di sicurezza, i telefonini e da qualche anno anche per le automobili, nello sviluppo della guida autonoma. Esistono dispositivi di silicio di vario tipo, più o meno sensibili a determinati colori, con amplificazione interna, suddivisi o meno in cellette dette pixel, di grande o piccola superficie, che garantiscono una risposta al segnale da rivelare più o meno veloce, ecc. Il principio di funzionamento si basa sulla capacità di trasformare un segnale luminoso in uno elettrico. Alcuni di questi dispositivi hanno un'amplificazione interna, data da un campo elettrico molto forte che permette, a partire da un elettrone, di estrarre una piccola valanga di elettroni, formando così un segnale elettrico più grande. Nei dispositivi suddivisi in cellette ogni raggio di luce ne attiva una e, contando il numero di cellette attive, si può risalire a quanta luce è passata.
Negli esperimenti di fisica delle particelle negli acceleratori e nello spazio, per i fotoni di altissima energia si impiegano i calorimetri elettromagnetici. Si tratta di strumenti realizzati con materiali pesanti che assorbono completamente i fotoni e ne misurano l’energia. I fotoni di alta energia, infatti, attraversando un materiale possono produrre coppie di elettroni e positroni che a loro volta possono rimbalzare sugli atomi del materiale emettendo fotoni e così via, generando una cascata di particelle chiamata sciame elettromagnetico. Lo sciame può cominciare con un fotone, un elettrone o un positrone. I calorimetri elettromagnetici possono essere realizzati con un materiale omogeneo oppure essere a campionamento. I materiali omogenei più utilizzati sono i cristalli scintillanti. Si tratta di materiali che, quando vengono attraversati da una particella carica, emettono luce. Dispositivi simili sono impiegati per esami diagnostici come ad esempio la Pet (tomografia a emissione di positroni, vd. Antimateria al lavoro per la salute, ndr). La luce emessa dai cristalli è misurata da sensori per la luce visibile.
Lo spettro della radiazione elettromagnetica. Da sinistra a destra, in ordine di frequenza crescente, si incontrano: le onde radio, le microonde, la radiazione infrarossa, la luce visibile, la radiazione ultravioletta, i raggi X e i raggi gamma. Nelle foto sono mostrati esempi di fenomeni e sistemi fisici che si studiano usando i vari tipi di onde elettromagnetiche e gli strumenti utilizzati per rivelarle: a sinistra la radiazione di fondo cosmico misurata dal satellite Planck con i bolometri; al centro segnali di neutrini nelle profondità del mare misurati con i fotomoltiplicatori dall’esperimento Km3net; a destra, il segnale di un bosone di Higgs che decade in due fotoni in un evento registrato dall’esperimento Cms in Lhc usando cristalli scintillanti. I rivelatori di luce visibile trovano applicazione, per esempio, nelle fotocamere (foto in basso).
Nei calorimetri a campionamento, invece, strati di materiale assorbitore pesante, che serve a far sviluppare lo sciame, sono alternati a strati che permettono di misurare l’energia. Ad esempio, il calorimetro elettromagnetico dell’esperimento Atlas di Lhc è fatto di piombo alternato a elettrodi immersi in argon liquido, che permettono di misurare la carica rilasciata dallo sciame, e quindi la sua energia. Altri esempi sono i calorimetri che alternano tungsteno con rivelatori di silicio o il piombo con scintillatore plastico a lastre o a fibre (il cosiddetto “calorimetro a spaghetti”). Ultimamente si stanno sviluppando calorimetri con strati di campionamento suddivisi in tante cellette, che permettono di ottenere immagini tridimensionali dettagliate dello sciame e di separare due sciami molto vicini (calorimetri a imaging). In genere si estende il calorimetro per contenere anche adroni (vd. approfondimento). È proprio questo tipo di calorimetri che è stato proposto per l’upgrade del calorimetro “in avanti” di Cms (ovvero posizionato in maniera da rivelare le particelle emesse a piccoli angoli rispetto alla direzione di collisione dei fasci) e per uno degli esperimenti del Future Circular Collider (vd. Megamacchine per il cosmo, ndr). I calorimetri elettromagnetici di Cms e Atlas sono strumenti di grande precisione e hanno avuto un ruolo fondamentale nella scoperta del bosone di Higgs, rivelandone il decadimento in due fotoni. Chissà quante altre scoperte ci permetteranno di fare in futuro i rivelatori per le radiazioni elettromagnetiche.
Calorimetri adronici
Un particolare delle procedure di assemblaggio di un modulo del calorimetro adronico dell’esperimento Atlas al Cern.
Gli adroni, come ad esempio i protoni e i neutroni, sono particelle costituite da quark. Negli esperimenti di fisica delle particelle che utilizzano acceleratori vengono prodotti molti adroni – alcuni dei quali sono stabili o a vita media lunga – che vengono rivelati utilizzando i calorimetri adronici. Quando un adrone entra in un materiale, urtando contro gli atomi, può produrre altri adroni di energia minore, i quali, dopo un breve percorso nel materiale, possono decadere o anch’essi urtare contro atomi e produrre altri adroni di energia via via inferiore. Si viene a creare quindi una specie di cascata di particelle chiamata “sciame adronico”. Gli sciami adronici penetrano nei materiali molto più in profondità degli sciami generati da elettroni o fotoni, e richiedono pertanto rivelatori molto più pesanti e voluminosi. I calorimetri adronici sono fatti alternando strati di un materiale assorbitore pesante, che permette di far sviluppare lo sciame, con strati sottili di rivelatore in cui si misura l’energia delle particelle prodotte. Ad esempio, vengono utilizzati materiali come ottone, acciaio, ferro o tungsteno come assorbitori, alternati a strati di scintillatore plastico o fibre di quarzo o scintillanti, rivelatori di silicio o rivelatori a gas.
Gli sciami adronici, anche se generati dallo stesso tipo di particelle, possono essere molto diversi fra loro, a causa del gran numero di possibili combinazioni di interazioni che si possono verificare. Inoltre, negli sciami adronici possono essere prodotte anche particelle instabili che decadono emettendo fotoni, i quali generano nel calorimetro uno sciame elettromagnetico contenuto dentro lo sciame adronico. Quindi, a causa delle molteplici possibilità di sviluppo degli sciami adronici e il diverso numero di fotoni in essi contenuto, i calorimetri adronici possono dare misurazioni molto diverse da sciame a sciame. Questo fattore limita notevolmente la precisione di misura dei calorimetri adronici.
Una buona precisione nella misura degli adroni viene ottenuta con la tecnica del “particle flow”, che combina l’informazione di tutti i rivelatori dell’esperimento, in particolare misurando l’impulso degli adroni carichi sulla base della curvatura delle tracce ricostruite nel tracciatore immerso nel campo magnetico, e l’energia degli adroni neutri nel calorimetro adronico. Per questa tecnica servono un tracciatore eccellente e un calorimetro adronico con una buona granularità, che permette di separare sciami adronici adiacenti.
Biografia
Francesca Cavallari è ricercatrice presso l’Infn di Roma. Ha collaborato a due esperimenti ai collisori del Cern: L3 al Lep e Cms di Lhc, ricoprendo anche il ruolo di project manager del calorimetro elettromagnetico di Cms.