L’anello delle meraviglie
I successi del Large Hadron Collider
di Nadia Pastrone

Uno dei 1232 dipoli superconduttori a.
Uno dei 1232 dipoli superconduttori che permettono di curvare fino a 7 TeV di energia la traiettoria dei protoni, che circolano lungo tutti i 27 km dell’anello di Lhc. Dall’esterno verso l’interno sono visibili il tubo da vuoto (in blu), lo schermo termico cilindrico, al cui interno è collocato il criostato vero e proprio, che permette di raggiungere la temperatura dell’elio liquido. All’interno del criostato si trova il giogo di ferro dentro il quale sono integrati i due avvolgimenti superconduttori che creano il campo magnetico dipolare (nella foto non visibili, in quanto coperti dal coperchio metallico). All’interno dei due avvolgimenti corrono le due camere da vuoto parallele, in cui circolano i fasci di particelle. Nella foto sono visibili solo i terminali delle due camere del fascio, che escono dal tappo del criostato, e una serie di tubi per l’ingresso e dei cavi dei sistemi di alimentazione e ausiliari.
Nel luglio 2012 si raccontò a tutto il mondo l’impresa straordinaria e globale che aveva portato alla scoperta del bosone di Higgs. Poche persone avevano ben chiaro perché fosse tanto importante qualcosa di così lontano dalla nostra vita di tutti i giorni. Per i fisici delle particelle rappresentava invece una meta cruciale, anzi l’inizio di una nuova era: non solo avevano catturato il segnale dell’esistenza di una nuova particella, ma avevano anche trovato l’anello mancante nella teoria del modello standard delle particelle elementari: la particella speciale prevista dai fisici teorici quasi cinquant’anni prima, tanto da guadagnare il premio Nobel per la Fisica già nel 2013! Ma non solo…
Questa storia affascinante è stata scritta, giorno per giorno, per almeno due decenni, da migliaia di donne e uomini: giovanissimi alle prime armi e grandi esperti, fisici e ingegneri di nazionalità diverse, che hanno lavorato insieme per pensare, disegnare, costruire e mettere in funzione lo strumento di indagine più sofisticato costruito dal genere umano: il Large Hadron Collider (Lhc) del Cern di Ginevra. L’acceleratore di particelle più potente al mondo progettato appunto per indagare i costituenti fondamentali della materia e comprendere le forze della natura che ne governano le interazioni e hanno creato l’universo in cui viviamo.
Raggiungere in laboratorio la frontiera dell’energia ci permette di ricreare lo stato di materia dell’universo primordiale fino a un millesimo di miliardesimo di secondo dal Big Bang e di ripercorrerne la storia all’indietro nel tempo. Due fasci di particelle – protoni o ioni (particelle o nuclei pesanti) – vengono accelerati da potenti campi elettromagnetici fino a raggiungere velocità prossime a quelle della luce nell’anello sotterraneo di 27 chilometri (a circa 100 metri di profondità) di Lhc, costruito con tecnologia d’avanguardia in continuo potenziamento. Migliaia di miliardi di protoni, guidati sulle loro orbite da magneti superconduttori ad alto campo collidono al centro di quattro giganteschi apparati sperimentali che ne rivelano e misurano i segnali prodotti dalle collisioni.
La sfida è raggiungere nella collisione un’energia (E=mc2) tale da generare particelle massive in numero sufficiente da poterne studiare le loro caratteristiche: ad esempio “vedere” il bosone di Higgs, che ha la probabilità di essere formato in una collisione protone-protone una sola volta ogni mille miliardi di interazioni. In realtà, alle energie altissime raggiunte in Lhc, l’interazione avviene tra i costituenti fondamentali dei due protoni: i quark e i gluoni. Questo consente di studiare la composizione intima della materia sulla scala di un miliardesimo di miliardesimo di centimetro. Un’altra importante conferma ottenuta con questi straordinari strumenti è che anche a queste scale (altissime energie ovvero piccolissime distanze) i costituenti fondamentali della materia sono i quark, da cui è formato il protone e tutti gli adroni, e i leptoni, come l’elettrone. A queste particelle cosiddette “di materia”, si aggiungono i portatori delle forze fondamentali, come il fotone per la forza elettromagnetica, e i gluoni tramite i quali la forza forte confina i quark all’interno del protone.
I fasci di Lhc sono costituiti da alcune migliaia di “pacchetti” in cui i protoni sono raggruppati e che circolano in due tubi a vuoto (uno per fascio) circa dodicimila volte al secondo e si consumano nelle collisioni in una decina di ore, prima di essere scartati per poi estrarne di nuovi dal sistema di acceleratori di iniezione. Questo complesso altamente sincronizzato prende il via da una semplice, piccola bombola di idrogeno da cui i protoni vengono estratti e via via accelerati da anelli sempre più grandi, prima di essere iniettati in Lhc, dove raggiungeranno l’ultimo stadio di accelerazione (da 0 a 6,8 teraelettronvolt). Lhc ha il più grande sistema di vuoto al mondo e, in particolare, nel tubo in cui circolano i fasci si lavora con pressioni così rarefatte come solo si hanno sulla superficie della Luna – questo per impedire qualsiasi perturbazione al percorso delle particelle. Il vuoto inoltre è un buon isolante e permette di garantire il sistema di refrigerazione dell’elio superfluido a 1,9 kelvin (-271,3°C) necessario al funzionamento delle migliaia di magneti superconduttori che indirizzano le traiettorie dei fasci lungo l’anello. Lhc è infatti il più grande sistema criogenico del mondo, ed è con questa temperatura eccezionale addirittura più freddo dello spazio. Per la prima volta, dopo anni di studio e svariati prototipi, sono stati costruiti migliaia di magneti unici al mondo: i 1232 dipoli lunghi 15 metri che permettono di mantenere il fascio su una traiettoria curva, i 392 quadrupoli di 5-7 metri che mantengono compatte le particelle nel loro “pacchetto”. Solo prima della collisione i fasci vengono “strizzati” per massimizzare la possibilità di collisione: sono come due aghi distanti 10 chilometri, che si devono attraversare a metà strada!
 
Schema delle macchine acceleratrici presenti e pianificate per il prossimo futuro al Cern b.
Schema delle macchine acceleratrici presenti e pianificate per il prossimo futuro al Cern di Ginevra. Il complesso di acceleratori del Large Hadron Collider (Lhc) porta i protoni all’energia massima di 7 TeV per fascio tramite una catena costituita da un acceleratore lineare (Linac4, fino a 160 MeV), da due anelli più piccoli, Proton Synchrotron Booster (fino a 2 GeV) e Proton Syncrotron (Ps, che accelera da 2 a 26 GeV), seguiti dal più grande Super Proton Syncrotron (Sps), in grado di iniettare un fascio da 450 GeV per l’accelerazione finale in Lhc. I possibili acceleratori per il futuro sono molto diversi tra loro: il Future Circular Collider (Fcc) sarebbe un ulteriore anello, lungo 100 km (rispetto ai 27 di Lhc), che riceve il fascio dalla catena di macchine esistenti per portarlo a qualche decina di TeV, mentre il Compact Linear Collider (Clic) sarebbe costituito da due macchine lineari, di lunghezza tra gli 11 e 50 km, a seconda dei tre possibili stadi di accelerazione a 380 GeV, 1,5 TeV e fino a 3 TeV.
 
 
Ed è proprio attorno al punto di collisione che si sono costruiti i giganteschi apparati sperimentali: Atlas, più alto di un palazzo di sei piani e Cms, con il magnete solenoide più grande al mondo, costruito dall’Italia (vd. fig. c), hanno scoperto prima e continuano a studiare le proprietà del bosone di Higgs. L’esperimento Alice è invece dedicato allo studio del plasma di quark e gluoni della materia primordiale, mentre Lhcb è specializzato a capire le anomalie dei quark più pesanti. Tutti i principali esperimenti stanno ora completando il rinnovo dei loro apparati sperimentali, per adattarsi all’incremento delle prestazioni dell’acceleratore (la cosiddetta “luminosità”) grazie alle recenti modifiche e miglioramenti apportati a Lhc. Ciascun esperimento tratta milioni di segnali da rivelatori sofisticati che permettono di rivelare le traiettorie, misurare l’energia e così ricostruire la particolare “firma” lasciata dagli eventi rarissimi che si producono nelle collisioni. Ciascun esperimento ha sviluppato tecniche innovative di rivelazione e di ricostruzione ed elaborazione dei dati, sfruttando una rete mondiale di calcolo senza precedenti. Gli innumerevoli risultati, frutto del lavoro di migliaia di persone, sono pubblicati in migliaia di articoli e hanno permesso di crescere scienziati che hanno applicato queste tecnologie alla medicina, ai beni culturali, alla nostra società.
Oggi e ancora per molti anni a venire Lhc resta il più potente acceleratore di particelle esistente al mondo, in attesa della prossima generazione di macchine che consentirà di lanciare la sfida al modello standard, cercando deviazioni inaspettate che segnalino nuovi fenomeni e nuove particelle, come l’anello lungo 100 km del progetto Fcc o il nuovo concetto del collisore lineare (Clic, vd. Megamacchine per il microcosmo, ndr). Sarebbe ancora più straordinario riuscire a far collidere per la prima volta particelle massive e instabili come i muoni che permetterebbero di aprire nuovi scenari di scoperta, consentendo al contempo misure di altissima precisione.
Le idee e la tecnologia per realizzarle sono in continuo sviluppo in questo campo di ricerca!
Lhc è quindi uno straordinario microscopio per studiare l’infinitesimamente piccolo e al tempo stesso un telescopio per capire il passato dell’universo e la sua evoluzione. Lhc contribuisce davvero a ricreare in laboratorio le condizioni dei primi istanti di vita dell’universo: come scrisse Milla Baldo Ceolin nel 1991, “è un nuovo modo di guardare il cielo, si porta il cielo in laboratorio”.
tecniche di soluzione delle equazioni di Einsteinc.
Vista dell’esperimento Cms senza i rivelatori “endcap” che coprono le due basi del cilindro che costituisce il rivelatore, disposto attorno alle camere da vuoto lungo cui corrono i fasci di protoni: dall’esterno verso l’interno sono visibili i grandi rivelatori per muoni, inframmezzati al ferro del ritorno del campo magnetico (settori rossi più esterni), il criostato del magnete superconduttore, all’interno del quale si trovano i calorimetri (adronico ed elettromagnetico), e i tracciatori al silicio (cilindro più sporgente interno).
 
 

Biografia
Nadia Pastrone è dirigente di ricerca alla sezione Infn di Torino. Dal 2001 lavora all’esperimento Cms a Lhc e alla preparazione della nuova fase ad alta intensità. Partecipa agli studi internazionali per il disegno del nuovo collisore a muoni ad alta energia.


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DOI: 10.23801/asimmetrie.2021.31.2
 

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