[as] traiettorie
Parola alle emulsioni nucleari.
di Giuliana Galati
Tra i rivelatori di particelle che hanno fatto la storia ci sono le emulsioni nucleari, speciali lastre fotografiche che consentono di ricostruire e misurare la traiettoria delle particelle in 3D con precisione inferiore al micron. Se potessero parlare ci racconterebbero oltre 75 anni di scoperte, e così abbiamo provato a interrogarle.
[as]: Partiamo dalle origini: quali sono stati i vostri primi successi?
[emulsioni nucleari]: Dobbiamo tantissimo alla scienziata Marietta Blau, che all’inizio del ’900, insieme a Hertha Wambacher, mostrò come potevano essere usate le emulsioni nucleari per rivelare particelle cariche. Avrebbe meritato il Nobel, lo diceva anche Schrödinger… ma erano tempi difficili per le donne, ancora più difficili per le donne ebree come lei.
Nel 1946 Cecil Frank Powell decise di puntare su di noi per le ricerche sui raggi cosmici e sulle particelle elementari. Fu da subito un successo: nel giro di un anno, insieme a Cesare Lattes e Giuseppe Occhialini, furono scoperti il pione e il decadimento del muone. Powell vinse anche il premio Nobel per la fisica nel 1950 per le sue ricerche sulle emulsioni e per le scoperte fatte!
Grazie a noi si sono aperte tante strade…
[as]: Tante strade? Per esempio?
[e]: Eh sì, ci sono molti vantaggi nell’usarci! Ci si può portare ovunque, senza bisogno di elettricità, possiamo tenere traccia di particelle con vita media brevissima…
Nel 1955 l’Europa era ancora devastata dalla seconda guerra mondiale. La voglia di ricominciare e di ricostruire una solidarietà tra i vari paesi europei era tanta, ma i mezzi pochi. Bisognava unirsi in gruppi più grandi, che andassero oltre i confini nazionali. Il G-Stack (G per Giant, “gigante”) era l’esperimento perfetto: un grande pallone aerostatico con un unico blocco di emulsioni nucleari, del volume di 15 litri, per risolvere il cosiddetto paradosso τ − θ, in modo da chiarire se le particelle τ e θ fossero diverse o la stessa con decadimenti differenti. Grandi anni quelli!
[as]: E come andò a finire?
[e]: Un’ansia! Al termine dell’esperimento avevamo paura che il paracadute non si aprisse e il carico andasse distrutto. E infatti il paracadute non si aprì! Ma per fortuna cademmo su un albero e dei contadini segnalarono la nostra presenza, così che qualcuno poté venire a recuperarci. Con i dati raccolti si capì che alcune particelle che sembravano diverse solo per i modi di decadimento erano in realtà uguali fra loro. Ma quello scientifico non fu l’unico risultato importante: per la prima volta si passò dalla “little science” alla “big science” a cui siamo abituati oggi, fatta da collaborazioni internazionali.
[as]: E oggi? Siete ancora presenti nel panorama della fisica?
[e]: Certamente! Da poco si è concluso l’esperimento Opera, il più grande che abbia fatto uso di emulsioni nucleari: eravamo in 9 milioni, racchiuse in 150.000 mattoncini che, insieme a rivelatori elettronici, formavano un rivelatore grande quanto un palazzo di quattro piani, posto al riparo dai raggi cosmici nei Laboratori Nazionali del Gran Sasso. Eravamo l’unico rivelatore in grado di vedere il leptone tau, la cui vita media è dell’ordine di 10-13 secondi, prodotto da neutrini tauonici. Vedere il leptone tau indicava ai fisici che un neutrino, partito di tipo muonico dal Cern, si era trasformato in neutrino di tipo tauonico durante il tragitto per arrivare al rivelatore. In questo modo è stato confermato che i neutrini si possono trasformare da un tipo all’altro, scenario già ipotizzato da altri esperimenti.
Ma non è tutto: ci piace anche viaggiare!
[as]: Viaggiare? In che senso?
[e]: Funzionare senza elettricità ha molti vantaggi e ci permette di visitare posti bellissimi. C’è una tecnica chiamata “tomografia muonica” che sfrutta i muoni che arrivano dallo spazio per fare speciali radiografie. Siamo state alle pendici di vulcani come lo Stromboli oppure in Egitto a vedere la piramide di Cheope (vd. Attraverso la roccia, ndr). Grazie a questa tecnica, all’interno della Piramide è stata scoperta una camera segreta!
[as]: Cosa si prospetta nel vostro futuro?
[e]: Per ora stiamo partecipando a un esperimento chiamato Foot, che mira a ottenere dati per migliorare i piani di trattamento in adroterapia (vd. [as] intersezioni: La fisica va dal medico., ndr), tecnica molto promettente per la cura di alcuni tumori. Nel giro di un anno, invece, inizieremo a prendere dati per un esperimento al Cern: Snd@Lhc. Cercheremo neutrini e materia oscura ad alte energie e siamo molto emozionate all’idea di essere il nono esperimento che fa uso del grande acceleratore Lhc. Ma non è tutto! Stiamo anche cercando di evolverci e superare i nostri limiti.
[as]: Quali limiti?
[e]: Con una precisione inferiore al micron siamo già sul podio dei rivelatori più precisi dal punto di vista spaziale. Ma volevamo andare oltre e raggiungere la precisione del nanometro. Così sono state sviluppate delle emulsioni chiamate Nit. Ma non basta… Per vedere le tracce lasciate dalle particelle cariche al nostro interno bisogna usare appositi microscopi, e la risoluzione che i microscopi possono raggiungere è limitata dal criterio di Rayleigh: due punti troppo vicini tra loro non si riescono a distinguere e appaiono come un punto unico. Perciò, per analizzare le Nit sono state sviluppate nuove tecniche che fanno uso di luce polarizzata: i punti che con i microscopi standard non riescono a distinguersi sembrano accendersi uno per uno come lampadine!
[as]: Cosa si potrà fare con queste Nit?
[e]: L’obiettivo è cercare tracce di materia oscura. Chissà, se ci riuscissimo potremmo vincere un nuovo premio Nobel!
[as]: Partiamo dalle origini: quali sono stati i vostri primi successi?
[emulsioni nucleari]: Dobbiamo tantissimo alla scienziata Marietta Blau, che all’inizio del ’900, insieme a Hertha Wambacher, mostrò come potevano essere usate le emulsioni nucleari per rivelare particelle cariche. Avrebbe meritato il Nobel, lo diceva anche Schrödinger… ma erano tempi difficili per le donne, ancora più difficili per le donne ebree come lei.
Nel 1946 Cecil Frank Powell decise di puntare su di noi per le ricerche sui raggi cosmici e sulle particelle elementari. Fu da subito un successo: nel giro di un anno, insieme a Cesare Lattes e Giuseppe Occhialini, furono scoperti il pione e il decadimento del muone. Powell vinse anche il premio Nobel per la fisica nel 1950 per le sue ricerche sulle emulsioni e per le scoperte fatte!
Grazie a noi si sono aperte tante strade…
[as]: Tante strade? Per esempio?
[e]: Eh sì, ci sono molti vantaggi nell’usarci! Ci si può portare ovunque, senza bisogno di elettricità, possiamo tenere traccia di particelle con vita media brevissima…
Nel 1955 l’Europa era ancora devastata dalla seconda guerra mondiale. La voglia di ricominciare e di ricostruire una solidarietà tra i vari paesi europei era tanta, ma i mezzi pochi. Bisognava unirsi in gruppi più grandi, che andassero oltre i confini nazionali. Il G-Stack (G per Giant, “gigante”) era l’esperimento perfetto: un grande pallone aerostatico con un unico blocco di emulsioni nucleari, del volume di 15 litri, per risolvere il cosiddetto paradosso τ − θ, in modo da chiarire se le particelle τ e θ fossero diverse o la stessa con decadimenti differenti. Grandi anni quelli!
[as]: E come andò a finire?
[e]: Un’ansia! Al termine dell’esperimento avevamo paura che il paracadute non si aprisse e il carico andasse distrutto. E infatti il paracadute non si aprì! Ma per fortuna cademmo su un albero e dei contadini segnalarono la nostra presenza, così che qualcuno poté venire a recuperarci. Con i dati raccolti si capì che alcune particelle che sembravano diverse solo per i modi di decadimento erano in realtà uguali fra loro. Ma quello scientifico non fu l’unico risultato importante: per la prima volta si passò dalla “little science” alla “big science” a cui siamo abituati oggi, fatta da collaborazioni internazionali.
[as]: E oggi? Siete ancora presenti nel panorama della fisica?
[e]: Certamente! Da poco si è concluso l’esperimento Opera, il più grande che abbia fatto uso di emulsioni nucleari: eravamo in 9 milioni, racchiuse in 150.000 mattoncini che, insieme a rivelatori elettronici, formavano un rivelatore grande quanto un palazzo di quattro piani, posto al riparo dai raggi cosmici nei Laboratori Nazionali del Gran Sasso. Eravamo l’unico rivelatore in grado di vedere il leptone tau, la cui vita media è dell’ordine di 10-13 secondi, prodotto da neutrini tauonici. Vedere il leptone tau indicava ai fisici che un neutrino, partito di tipo muonico dal Cern, si era trasformato in neutrino di tipo tauonico durante il tragitto per arrivare al rivelatore. In questo modo è stato confermato che i neutrini si possono trasformare da un tipo all’altro, scenario già ipotizzato da altri esperimenti.
Ma non è tutto: ci piace anche viaggiare!
[as]: Viaggiare? In che senso?
[e]: Funzionare senza elettricità ha molti vantaggi e ci permette di visitare posti bellissimi. C’è una tecnica chiamata “tomografia muonica” che sfrutta i muoni che arrivano dallo spazio per fare speciali radiografie. Siamo state alle pendici di vulcani come lo Stromboli oppure in Egitto a vedere la piramide di Cheope (vd. Attraverso la roccia, ndr). Grazie a questa tecnica, all’interno della Piramide è stata scoperta una camera segreta!
[as]: Cosa si prospetta nel vostro futuro?
[e]: Per ora stiamo partecipando a un esperimento chiamato Foot, che mira a ottenere dati per migliorare i piani di trattamento in adroterapia (vd. [as] intersezioni: La fisica va dal medico., ndr), tecnica molto promettente per la cura di alcuni tumori. Nel giro di un anno, invece, inizieremo a prendere dati per un esperimento al Cern: Snd@Lhc. Cercheremo neutrini e materia oscura ad alte energie e siamo molto emozionate all’idea di essere il nono esperimento che fa uso del grande acceleratore Lhc. Ma non è tutto! Stiamo anche cercando di evolverci e superare i nostri limiti.
[as]: Quali limiti?
[e]: Con una precisione inferiore al micron siamo già sul podio dei rivelatori più precisi dal punto di vista spaziale. Ma volevamo andare oltre e raggiungere la precisione del nanometro. Così sono state sviluppate delle emulsioni chiamate Nit. Ma non basta… Per vedere le tracce lasciate dalle particelle cariche al nostro interno bisogna usare appositi microscopi, e la risoluzione che i microscopi possono raggiungere è limitata dal criterio di Rayleigh: due punti troppo vicini tra loro non si riescono a distinguere e appaiono come un punto unico. Perciò, per analizzare le Nit sono state sviluppate nuove tecniche che fanno uso di luce polarizzata: i punti che con i microscopi standard non riescono a distinguersi sembrano accendersi uno per uno come lampadine!
[as]: Cosa si potrà fare con queste Nit?
[e]: L’obiettivo è cercare tracce di materia oscura. Chissà, se ci riuscissimo potremmo vincere un nuovo premio Nobel!
b.
Ricercatori e ricercatrici dell’Infn sul vulcano Stromboli, in Sicilia, alle prese con l’installazione di un rivelatore basato su emulsioni nucleari per effettuare una “tomografia muonica”.
Ricercatori e ricercatrici dell’Infn sul vulcano Stromboli, in Sicilia, alle prese con l’installazione di un rivelatore basato su emulsioni nucleari per effettuare una “tomografia muonica”.