[as] radici
Tu mi fai girar.
di Andrea Ghigo
a.
L’elettrosincrotrone di Frascati e il suo iniettore Van de Graaff (in alto a sinistra nella foto) al termine dell’installazione.
L’elettrosincrotrone di Frascati è stato il primo acceleratore di particelle di alta energia realizzato in Italia, precedendo la serie di collisori di particelle-antiparticelle che ha avuto il suo primo esemplare al mondo proprio nei Laboratori Nazionali di Frascati.L’elettrosincrotrone di Frascati e il suo iniettore Van de Graaff (in alto a sinistra nella foto) al termine dell’installazione.
Nell’immediato dopoguerra Enrico Fermi, che si era recato in America per evitare le persecuzioni razziali, suggerì a Edoardo Amaldi di costruire un acceleratore di particelle per produrre “in casa” in maniera più sistematica i fenomeni che venivano studiati con i raggi cosmici. Nonostante le insistenti richieste al governo di Amaldi e di Gilberto Bernardini, le ristrettezze economiche di quegli anni resero possibile solo la costruzione di un laboratorio in alta quota, per studiare meglio i raggi cosmici, sulla Testa Grigia nel massiccio del Cervino, nel quale fisici di diverse sedi universitarie crearono forti legami scientifici e personali che favorirono la nascita e lo sviluppo dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn).
Nei primi anni ’50, nei neocostituiti Infn e Comitato Nazionale per le Ricerche Nucleari (Cnrn poi divenuto Cnen), si discusse la realizzazione di un acceleratore di elettroni con energia compresa fra 500 e 1000 MeV. Grazie al supporto del ministro dell’industria Pietro Campilli, dopo una disputa sul luogo che avrebbe ospitato la nuova infrastruttura, fu deciso il sito di Frascati anche grazie a una donazione di un appezzamento di terreno da parte del comune alla “Sezione Acceleratore” romana. A Giorgio Salvini (che aveva appena 33 anni!) fu dato l’incarico di dirigere e formare una squadra di bravi giovani fisici e ingegneri reclutandoli nelle diverse università italiane.
L’elettrosincrotrone di Frascati venne costruito per accelerare elettroni fino a un’energia massima di 1 GeV, inviati poi su un bersaglio per produrre un fascio di raggi gamma (γ) di energia massima pari all’energia degli elettroni che li avevano generati. L’interazione di questi fasci γ con la materia permetteva di studiare le forze nucleari ed elettromagnetiche fra particelle elementari.
Era chiaro che occorreva avere un fascio γ ad alta intensità per studiare anche i fenomeni più rari. Bisognava quindi decidere quale acceleratore costruire. Un acceleratore lineare avrebbe fornito alte intensità ma con durate temporali dei fasci γ molto brevi (qualche microsecondo), mentre il più consolidato betatrone era troppo grande e costoso per quelle energie. Alla fine si optò per il sincrotrone, che portava la durata dei fasci γ a qualche millisecondo e permetteva di condurre più agevolmente gli esperimenti previsti.
Il sincrotrone ha un principio di funzionamento abbastanza semplice concettualmente, ma la sua realizzazione è di una complessità spettacolare: un fascio di elettroni viene preaccelerato a energia moderata da un acceleratore elettrostatico e poi inviato in una camera a vuoto di forma anulare posta dentro il traferro di un elettromagnete a campo periodico. In particolare, la macchina di Frascati era costituita da quattro settori magnetici spaziati da sezioni dritte nelle quali venivano poste le cavità a radiofrequenza che acceleravano gli elettroni.
Dal ’53 al ’56 si studiarono e realizzarono le varie componenti dell’acceleratore mentre a Frascati venivano costruiti gli edifici che avrebbero ospitato il sincrotrone e i suoi impianti: nel 1958, finalmente, il sincrotrone entrò in funzione con successo.
I fisici, gli ingegneri e i tecnici che costituivano lo staff si cimentarono con problematiche e apparecchiature mai viste prima e così il personale delle ditte, in gran parte italiane, che parteciparono alla costruzione (Ansaldo S. Giorgio, C.G.E., Ducati, Galileo, Guffanti, Passoni e Villa). Si stabilì uno spirito di collaborazione al di là delle normali relazioni commerciali, che proseguì fino al raggiungimento dell’energia prevista e un’intensità cinque volte superiore rispetto ai sincrotroni esistenti di pari dimensioni.
Gli esperimenti si susseguirono fino alla metà degli anni ’70 con lo sviluppo di nuovi rivelatori adeguati alla copiosa produzione di eventi e lo studio di una grande varietà di processi e fenomeni: fotoproduzione di pioni carichi e neutri, processi elementari di elettrodinamica quantistica, studio dei fattori di forma nucleari, produzione elettromagnetica di coppie particella-antiparticella, fotoproduzione di particelle strane.
La nuova metodologia di lavoro fra fisici, ingegneri e tecnici fu la vera rivoluzione nel campo della fisica sperimentale che portò i Laboratori di Frascati a intraprendere negli anni a seguire la costruzione di acceleratori sempre innovativi rispetto al panorama mondiale: Ada, il primo collisore di materia e antimateria al mondo, Adone, il collisore elettrone-positrone di più alta energia all’epoca, Lisa, uno dei primi acceleratori superconduttori, Dafne, la prima “factory” di mesoni φ; e ancora l’innovativo fotoiniettore Sparc e, per il prossimo futuro, Eupraxia, un laser a elettroni liberi per lo sviluppo di acceleratori al plasma.
Era chiaro che occorreva avere un fascio γ ad alta intensità per studiare anche i fenomeni più rari. Bisognava quindi decidere quale acceleratore costruire. Un acceleratore lineare avrebbe fornito alte intensità ma con durate temporali dei fasci γ molto brevi (qualche microsecondo), mentre il più consolidato betatrone era troppo grande e costoso per quelle energie. Alla fine si optò per il sincrotrone, che portava la durata dei fasci γ a qualche millisecondo e permetteva di condurre più agevolmente gli esperimenti previsti.
Il sincrotrone ha un principio di funzionamento abbastanza semplice concettualmente, ma la sua realizzazione è di una complessità spettacolare: un fascio di elettroni viene preaccelerato a energia moderata da un acceleratore elettrostatico e poi inviato in una camera a vuoto di forma anulare posta dentro il traferro di un elettromagnete a campo periodico. In particolare, la macchina di Frascati era costituita da quattro settori magnetici spaziati da sezioni dritte nelle quali venivano poste le cavità a radiofrequenza che acceleravano gli elettroni.
Dal ’53 al ’56 si studiarono e realizzarono le varie componenti dell’acceleratore mentre a Frascati venivano costruiti gli edifici che avrebbero ospitato il sincrotrone e i suoi impianti: nel 1958, finalmente, il sincrotrone entrò in funzione con successo.
I fisici, gli ingegneri e i tecnici che costituivano lo staff si cimentarono con problematiche e apparecchiature mai viste prima e così il personale delle ditte, in gran parte italiane, che parteciparono alla costruzione (Ansaldo S. Giorgio, C.G.E., Ducati, Galileo, Guffanti, Passoni e Villa). Si stabilì uno spirito di collaborazione al di là delle normali relazioni commerciali, che proseguì fino al raggiungimento dell’energia prevista e un’intensità cinque volte superiore rispetto ai sincrotroni esistenti di pari dimensioni.
Gli esperimenti si susseguirono fino alla metà degli anni ’70 con lo sviluppo di nuovi rivelatori adeguati alla copiosa produzione di eventi e lo studio di una grande varietà di processi e fenomeni: fotoproduzione di pioni carichi e neutri, processi elementari di elettrodinamica quantistica, studio dei fattori di forma nucleari, produzione elettromagnetica di coppie particella-antiparticella, fotoproduzione di particelle strane.
La nuova metodologia di lavoro fra fisici, ingegneri e tecnici fu la vera rivoluzione nel campo della fisica sperimentale che portò i Laboratori di Frascati a intraprendere negli anni a seguire la costruzione di acceleratori sempre innovativi rispetto al panorama mondiale: Ada, il primo collisore di materia e antimateria al mondo, Adone, il collisore elettrone-positrone di più alta energia all’epoca, Lisa, uno dei primi acceleratori superconduttori, Dafne, la prima “factory” di mesoni φ; e ancora l’innovativo fotoiniettore Sparc e, per il prossimo futuro, Eupraxia, un laser a elettroni liberi per lo sviluppo di acceleratori al plasma.
b.
Un ricercatore (Giampaolo Murtas) con un tecnico controlla i poli del magnete prima dell’installazione della camera da vuoto.
Un ricercatore (Giampaolo Murtas) con un tecnico controlla i poli del magnete prima dell’installazione della camera da vuoto.