La cassetta degli attrezzi
Strumenti per la fisica fondamentale
di Fernando Ferroni
La fisica contemporanea non sarebbe possibile senza le grandi infrastrutture, ed è da queste che partiamo per il nostro breve viaggio attraverso gli aspetti materiali della ricerca. Nel dopoguerra l’Italia si è subito impegnata a rimuovere quell’ostacolo che l’aveva resa periferica sul piano scientifico nei decenni precedenti (nonostante le straordinarie individualità che l’avevano illustrata nel mondo, come il celebre gruppo di via Panisperna), e cioè l’assenza di infrastrutture dove poter fare ricerca di punta e formare i giovani. Da qui la decisione, mai ricordata abbastanza, di avere un primo laboratorio nazionale, quello di Frascati, dove ospitare una macchina, l’elettrosincrotrone da 1000 MeV, che, quando entrò in funzione, nel 1959, era tra le più competitive al mondo (vd. [as] radici: Tu mi fai girar., ndr). Il successo di questa iniziativa, straordinario in sé, va poi messo nel contesto di quello che sarebbe stato il contributo dei Laboratori Nazionali di Frascati (Lnf) alla storia delle macchine acceleratrici di particelle: Ada (Anello di Accumulazione, 1960), la madre di tutti i collisori, nata da un’idea di Bruno Touschek (vd. fig. a); Adone (1969), il primo collisore elettrone-positrone, che per mera sfortuna (il 3% di energia massima mancante) mancò la scoperta delle particelle con quark charm nella cosiddetta “rivoluzione di novembre” del 1974; infine, Dafne (1997), il collisore che ha coperto una parte impressionante della fisica dei mesoni K.
Ada (Anello di Accumulazione) è stato il primo anello a far circolare elettroni e le loro antiparticelle, i positroni, in senso opposto lungo la stessa traiettoria, tra i poli di un unico elettromagnete. Costruito a Frascati nel 1960, è stato il capostipite di tutti i collisori, incluse le attuali, gigantesche macchine di alta energia, sia pure con un diametro di appena 1,3 m, che consentiva di raggiungere l’energia massima di 0,25 GeV, e con un fascio circolante costituito da soli 10 milioni di particelle.
L’idea delle grandi infrastrutture nazionali, concretizzatasi per la prima volta negli anni ’50 a Frascati, ha avuto in seguito ulteriori e importanti sviluppi, con la creazione nel 1961 dei Laboratori Nazionali di Legnaro (Lnl, nei pressi di Padova), con una forte caratterizzazione tecnologica, nel 1976 dei Laboratori Nazionali del Sud (Lns) a Catania, dove agli inizi degli anni ’90 fu installato un ciclotrone superconduttore costruito al Lasa ed è stata sviluppata la prima terapia a fasci di protoni per curare alcuni tipi di tumori, e, soprattutto, dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso (Lngs), la cui realizzazione nel 1988 di fatto coincide con la nascita della fisica delle astroparticelle. Ai Laboratori del Gran Sasso – gli unici in Italia in cui il numero di scienziati stranieri superi quello degli italiani – è stato osservato il neutrino tau grazie al fascio di neutrini proveniente dal Cern, si cerca attualmente la materia oscura e si prova a dimostrare l’ipotesi, formulata da Ettore Majorana, sulla natura del neutrino. Uno degli esperimenti condotti al Gran Sasso, Borexino, ha fornito un contributo mirabile alla comprensione del funzionamento del Sole (compreso l’elusivo ciclo Cno, vd. Luce dal buio, ndr) e del meccanismo delle oscillazioni di neutrino, e con un altro importante esperimento, Icarus, è stata sviluppata la tecnologia dell’argon liquido che sarà la base di un futuro gigantesco esperimento negli Usa (l’esperimento Dune del Fermilab di Chicago).
Borexino, esperimento dedicato allo studio delle proprietà dei neutrini, in particolare quelli di bassa energia provenienti dal Sole, è stato operativo nel Laboratorio sotterraneo del Gran Sasso a partire dal 2007. Nella sua sfera di acciaio erano contenute 300 tonnellate di scintillatore liquido radio-puro. All’interno della sfera sono visibili i fotomoltiplicatori utilizzati per rivelare la luce di scintillazione prodotta dall’interazione dei neutrini.
Dal metro e mezzo di diametro (e dai 250 MeV di energia) di Ada agli attuali 8 kilometri (e 7 TeV) di Lhc (Large Hadron Collider) del Cern, nella seconda metà del Novecento la fisica è assurta a “big science”, e una delle sue capitali mondiali è certamente il Cern di Ginevra. Sin dall’inizio il contributo dei fisici sperimentali italiani al Cern è stato enorme. Tre soli esempi: i rivelatori al silicio per la ricostruzione dei punti di decadimento delle particelle a vita media breve, che furono un marchio dell’esperimento italiano Na1 (lanciato negli anni ’70), ora ampiamente sfruttati in Lhc; i rivelatori a piatti resistivi, una tecnologia tutta italiana alla base dei rivelatori a muoni dei grandi esperimenti di Lhc; i calorimetri a liquidi nobili sviluppati per gli esperimenti del Lep (il predecessore di Lhc) e poi usati in diverse edizioni degli esperimenti per lo studio della violazione di CP nei mesoni K e ancora in Lhc. Stiamo facendo torto a tanti altri sviluppi, ma quello che è importante sottolineare è che una costante della partecipazione dei fisici, tecnologi e tecnici dell’Infn nei grandi esperimenti (negli anni ci siamo di molto allargati, frequentando i laboratori Fermilab e Slac, negli Usa, nel campo della fisica degli acceleratori, oggi anche Kek in Giappone e nel passato Dubna e Serpukhov in Urss) è di andare con le mani piene di tecnologia. Non solo nel campo dei rivelatori, ma anche in quello degli acceleratori: i dipoli superconduttori di Lhc rappresentano un altro settore in cui la collaborazione dell’Infn con l’industria nazionale è stata una chiave del successo del progetto (ma nulla nasce dal nulla e il terreno era stato preparato dall’impegno precedente nell’acceleratore tedesco Hera).
Particolare del rivelatore Atlas, uno dei grandi esperimenti del Large Hadron Collider del Cern di Ginevra. Sono visibili i rivelatori dedicati alla rivelazione dei muoni, le particelle che riescono a raggiungere la parte più esterna dell’apparato, in particolare uno dei due “endcap”, ovvero la zona attorno alla camera da vuoto cilindrica nella quale vengono trasportati i fasci di protoni.
Un altro tema è stato posto dalla abbondanza e complessità di dati raccolti dai moderni esperimenti, soprattutto ma non esclusivamente ai collisori adronici come Lhc. Qui si è dovuto cambiare un paradigma del calcolo scientifico, affrontando la condivisione delle risorse su scala globale con il progetto pilota di Grid che si è evoluto poi nella Cloud, di cui oggi tutti fanno uso. Il calcolo parallelo, lo sguardo sul futuro del Quantum Computing disegna un sistema molto più complesso nel quale l’Infn, che colse sin dall’inizio i segni della trasformazione necessaria, oggi diviene protagonista anche con il suo supercentro (il Tecnopolo) a Bologna che sarà sinergico con il Cineca.
Se la fisica degli acceleratori ha costituito il mainstream fino agli anni ’80-’90, ci sono attualmente alcuni ambiti di frontiera che richiedono strumenti particolarmente innovativi e pongono formidabili sfide. Un esempio – cui abbiamo già accennato – è la fisica dei neutrini, che rappresenta un cavallo di battaglia storico per la scienza italiana: prima gli esperimenti al Cern, poi quelli al Gran Sasso e in Giappone, nel futuro prossimo a Dune negli Usa, sempre con un contributo tecnologico e di competenze importante. Non potevamo tirarci indietro dalla sfida di osservare i neutrini provenienti dalle profondità del cosmo, di enorme energia, che ci permetterebbero di identificare le loro sorgenti e confrontarle con quelle indicate dai fotoni. Ed ecco Km3net, un chilometro cubo di Mediterraneo profondo al largo della Sicilia attrezzato con “occhi” elettronici che ci permetteranno di osservare questi piccoli mostri (oltre che di spiare con opportuni microfoni le conversazioni delle balene).
L’esperimento Ams-02, installato a partire dal 2011 a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (visibile come forma approssimativamente cilindrica, di colore bianco, posizionato verticalmente sulla parte superiore del braccio del modulo della Iss). Lo scopo principale di Ams, guidato dal premio Nobel Samuel Ting, è quello di misurare il flusso di antiparticelle e investigare quindi il mistero dell’antimateria nel cosmo attraverso lo studio della composizione e della provenienza dei raggi cosmici.
Un secondo attualissimo esempio è rappresentato dagli interferometri gravitazionali: gli strumenti che veramente ci permettono di dire che studiamo tutte le interazioni fondamentali, gravità inclusa. Le ricercatrici e i ricercatori dell’Infn sono stati capaci, assieme ai colleghi francesi del Cnrs-In2p3, di costruire e far funzionare – nell’ambito del laboratorio internazionale Ego – l’interferometro Virgo (collocato vicino a Pisa) e di raccogliere i frutti di questa impresa con la scoperta delle onde gravitazionali (annunciata nel 2016) e del fantastico evento in cui due stelle di neutroni si sono fuse emettendo, oltre alle onde gravitazionali, un lampo gamma osservato in coincidenza da satelliti e osservatori astronomici: l’evento fondante dell’astronomia multimessaggera.
Insomma, bisogna essere protagonisti a livello mondiale. Lo si può essere solo se in casa si hanno le infrastrutture con cui prepararsi alle sfide globali in termini di formazione delle risorse umane e di sviluppo di tecnologie. L’Infn lo ha saputo fare, al di là delle difficoltà del sistema paese, perché è stato costruito con questo Dna e ha saputo mantenere, attraverso un sistema di selezione interna dei progetti, una qualità molto alta. I laboratori nazionali sono stati le chiavi vincenti, ma il legame con il Cern è stato altresì insostituibile. Il coinvolgimento dell’industria nazionale è anche da annoverare tra i fattori di successo. Alla fine, comunque, è la qualità delle persone che fa la differenza, e in questo dobbiamo riconoscere il valore del nostro sistema formativo.
Km3net rappresenta la prossima generazione di telescopi per neutrini: costituito da una serie di rivelatori di fotoni, disposti a intervalli regolari su lunghe colonne immerse verticalmente nelle acque profonde e limpide del Mar Mediterraneo, che diventa così un enorme rivelatore di diversi kilometri cubi e milioni di tonnellate di massa. Nella foto sono visibili i 31 grandi fotomoltiplicatori disposti nelle sfere di vetro che costituiscono i moduli del rivelatore, le quali devono essere in grado di sopportare l’enorme pressione del fondo del mare. I segnali di ciascun modulo vengono poi trasmessi da una rete di fibre ottiche a una stazione ricevente a terra.
Biografia
Fernando Ferroni è professore al Gran Sasso Science Institute e già presidente dell’Infn. È stato anche membro del Consiglio del Cern e del Governing Board di Science Europe. Ha partecipato a esperimenti di fisica delle particelle al Cern, allo Stanford Linear Accelerator Center e poi ai Laboratori sotterranei del Gran Sasso. È consigliere di amministrazione di PalaExpo a Roma e dal 2021 è alla direzione del progetto Einstein Telescope.