[as] con altri occhi
Dissonanze.

di Umberto Petrin
pianista jazz, compositore, poeta


All’età di dieci anni decisi che sarei diventato un chimico. Mio cugino, più vecchio di me di qualche anno, preferiva l’astronomia. Parlava spesso dell’universo, delle orbite e di quei corpi celesti dai nomi il cui suono richiamava immagini ancestrali o avveniristiche. Leggeva testi di astronomia e il suo vocabolario comprendeva parole come quasar, pulsar, supernova, nana bianca. Ad ascoltarle mi accendevano l’immaginazione.
“Una stella di neutroni”, disse una volta, e io, anni dopo, presi in prestito quella definizione per indicare certe ragazze che ti sembrano irraggiungibili, ma del cui splendore avverti il segnale a distanza. Non le vedi ma ti martellano la mente con flussi di frequenze che non riesci a contrastare. Con una “stella di neutroni” la partita era persa. Almeno per me.
Quando mi iscrissi all’Istituto tecnico per Chimici, mio cugino si trasferì a Padova per frequentare la facoltà di Astronomia. Le nostre strade si divisero. In seguito mi diplomai come perito chimico e lui fu assunto all’Osservatorio di Pino Torinese, dove attualmente lavora.
Nel frattempo, però, per me cambiarono molte cose: mi appassionai all’arte, alla poesia, alla musica. Iniziai a scrivere, preparai gli esami al conservatorio, mantenendo intatto il mio interesse parallelo per le materie che studiavo a scuola. Mi accorgevo di quanto l’arte rispondesse alla legge di Lavoisier sulla conservazione della massa, quella che tutti conosciamo, secondo cui “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. Ne dedussi che in fondo nessun artista inventava davvero nulla, ma trasformava, riplasmava qualcosa di preesistente. Persino gli avanguardisti non distruggevano, ma trasformavano, nell’intento di forgiare un nuovo lessico. È eloquente la dedica che T.S. Eliot rivolge a Ezra Pound, definendolo “il miglior fabbro”. E come la scienza, anche l’arte è ricerca e percezione. E intuizione. Credo che uno scienziato debba inevitabilmente possedere una buona dose di intuito, quell’attitudine che ti permette di ricavare da un sogno la struttura del benzene, come pare che sia accaduto a Kekulé dopo la metà del XIX secolo.
Mi hanno sempre affascinato i libri di fisica e la mia materia preferita a scuola era la chimica fisica. Anche dopo aver terminato l’Istituto Tecnico ed essermi avviato decisamente verso la musica e la poesia contemporanea, conservai un libro, che in realtà in aula era la nostra penitenza: si tratta del volume Chimica Fisica di Gordon M. Barrow. Un’ossessione, quasi una calamità. Mi piaceva di tanto in tanto rileggerne alcune parti, perché riconoscevo in quel linguaggio scarno, essenziale ma estremamente preciso e denso una forma di poesia. Ogni parola era disposta in modo accurato, insostituibile, incontrovertibile. Possedeva un ritmo che rimandava alla musica contemporanea o a certo astrattismo analitico dell’arte visiva.
Nel linguaggio scientifico non c’è nulla di superfluo o di iperbolico, proprio come accade nelle sculture di Alberto Giacometti. Per rimanere in tema, quando mi appassionai alle opere dei grandi scultori contemporanei come Richard Serra o i nostri Giuseppe Spagnulo ed Eliseo Mattiacci, ritrovai nei loro lavori i concetti di materia, massa, spazio e gravità trasferiti a livello di forma e volume.
Più recentemente, a Venezia, ebbi l’occasione di ascoltare la resa sonora del segnale provocato dalla collisione di due buchi neri. Era ipnotico, ma mi fece riflettere sul fatto che molti suoni da noi prodotti sinteticamente con le tastiere elettroniche, in realtà sono già presenti nel cosmo allo “stato puro”, come si dice per gli elementi chimici.
A volte mi chiedo quanto sarebbe diversa la mia vita se avessi proseguito con la chimica; mi piace credere che in qualche modo abbia informato parte del mio pensiero estetico. E quando mi guardo indietro è come se il tempo trascorso fosse breve, probabilmente perché il tempo, quello fisico come quello poetico, in fondo non è mai assoluto.

 
Umberto Petrin al pianoforte durante l’evento “Di arte e di scienza” b.
Umberto Petrin al pianoforte durante l’evento “Di arte e di scienza”, una conferenza spettacolo organizzata dall’Infn come evento conclusivo della prima edizione di “Art&Science across Italy” (Napoli, Teatro Diana, 6 aprile 2017).
 
 

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