Raggi mu
Successi e prospettive della radiografia muonica
di Giulio Saracino
Disegno della piramide di Cheope in cui sono rappresentate alcune delle strutture note, quali la camera del re, quella della regina e la grande galleria. In alto è evidenziato un vuoto chiamato Scan Pyramids Big Void e a destra uno chiamato Scan Pyramid North Face Corridor, una camera e un corridoio nascosti, rimasti sconosciuti per migliaia di anni e scoperti recentemente dal progetto Scan Pyramids grazie alla radiografia muonica.
Guardare dentro alle piramidi o a un vulcano oggi è possibile grazie alla radiografia muonica, a volte indicata anche con il termine “muografia”. Si tratta sostanzialmente di una tecnica di imaging che permette di ottenere informazioni su come è distribuita la materia all’interno di grosse strutture, anche quando queste strutture non possono essere studiate con metodi tradizionali. Concettualmente è simile alla radiografia a raggi X, dove al posto dei raggi X si utilizzano i muoni.
Ma cosa sono e da dove vengono i muoni? Il nostro pianeta è costantemente investito da un flusso di particelle, la radiazione cosmica primaria, composta prevalentemente da protoni e nuclei atomici più pesanti. Queste particelle possono arrivare a possedere energie anche superiori a quelle che l’uomo riesce a realizzare con gli acceleratori di particelle. Quando queste particelle di alta energia arrivano in contatto con gli strati più esterni dell’atmosfera, interagiscono con i nuclei degli atomi che la compongono, dando vita a un processo a cascata nel quale vengono prodotte tantissime altre particelle. Tra queste troviamo appunto i muoni, particelle elementari per molti aspetti simili agli elettroni, ma dotate di una massa circa 200 volte maggiore. I muoni di alta energia posseggono due proprietà che li rendono unici nel loro genere. Da una parte riescono ad attraversare enormi quantità di materia (sino ad alcuni km di roccia), dall’altra sono facilmente rivelabili utilizzando degli strumenti che i fisici delle particelle chiamano “tracciatori”, in quanto riescono a misurare non solo la presenza dei muoni ma anche la direzione dalla quale provengono.
Ma come funziona la radiografia muonica? Vi sono in realtà due tecniche diverse, basate su due principi fisici differenti. La prima tecnica, chiamata radiografia muonica “per assorbimento”, si basa sul fatto che il numero di muoni cosmici che riescono ad attraversare un certo corpo dipende dallo spessore e dalla densità di massa che i muoni incontrano nel loro percorso. Misurando tale numero, a valle dell’oggetto da investigare, possiamo risalire alla distribuzione della massa all’interno del corpo. Ad esempio, se ho un rivelatore all’interno di una piramide, il flusso di muoni che misuro nella direzione in cui vi sono dei vuoti, come delle camere o dei corridoi, sarà maggiore di quello che misurerei nella stessa direzione nel caso ci fossero solo blocchi di pietra. Grazie a questa tecnica il progetto Scan Pyramid ha evidenziato la presenza di alcuni vuoti non noti, presenti all’interno della piramide di Cheope, sulla scia di un’idea del premio Nobel per la fisica Luis Alvarez che per primo cercò di utilizzare la muografia verso la fine degli anni ’60.
Un’altra affascinante applicazione è lo studio dei vulcani. Proposto per la prima volta in Giappone, alla fine degli anni ’90, ha visto l’Italia protagonista sin dal 2010, con un progetto di ricerca e sviluppo INFN, chiamato MU-RAY, che permise di sviluppare un prototipo di tracciatore da utilizzare in ambienti esterni, adatto quindi per lo studio del Vesuvio. Questo ha portato alla realizzazione del primo osservatorio muonico di un vulcano attivo in Europa, grazie al progetto MURAVES, una collaborazione tra INFN, INGV, l’Università di Napoli Federico II, l’Università di Firenze e le due università belghe di Ghent e Louvain. L’osservatorio prende dati presso quello che è considerato uno dei vulcani attivi più pericolosi al mondo e sta cercando di realizzare una mappa della distribuzione del materiale vulcanico presente nel Gran Cono del Vesuvio.
I rivelatori di muoni installati presso il Vesuvio. Il progetto MURAVES è il più grande osservatorio muografico attivo in Europa.
La seconda tecnica, chiamata radiografia muonica “per deflessione multipla”, si basa sulla misura del cambio di direzione che un muone può subire nell’attraversare un materiale. Infatti, oltre a perdere energia, i muoni risentono anche delle interazioni con i nuclei degli atomi che, essendo molto più pesanti dei muoni, tendono a deviare la loro traiettoria. Maggiore è il numero di protoni che compone il nucleo, maggiore sarà in media la deflessione del muone. Tale tecnica risulta quindi particolarmente efficace nel rivelare la presenza di materiale radioattivo, come uranio e plutonio, che hanno rispettivamente 92 e 94 protoni. Per poter misurare la deflessione del muone bisogna però utilizzare due tracciatori, uno che misuri la direzione del muone prima che entri nel volume da investigare e l’altro dopo che lo ha attraversato. Questo limita il volume ispezionabile, sia per motivi costruttivi che per motivi economici.
Tale tecnica è utilizzabile, ad esempio, per contrastare il contrabbando di materiale nucleare, per ispezionare le barre di combustibile nucleare esausto conservato nei depositi (così da assicurarsi che non sia stato illecitamente sottratto) o per verificare il contenuto di fusti utilizzati per contenere materiale radioattivo.
Concludendo, i muoni cosmici sono utilizzati da anni per applicazioni di vario tipo. In genere, tali attività sono condotte da gruppi di ricerca provenienti perlopiù dal mondo della fisica delle particelle elementari. Negli ultimi anni si è registrato però un interessante incremento di start-up e spin-off che stanno scommettendo sulla possibilità di utilizzare la muografia fuori dall’ambito puramente accademico e di portarla all’interno della società civile e industriale.
Ancora una volta la ricerca di base, che a volte può sembrare così lontana dalle necessità pratiche delle persone, sa offrire nuove tecnologie utili ai fini produttivi e sociali.
Biografia
Giulio Saracino è professore di fisica subnucleare presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II e associato alla ricerca per l’INFN. Partecipa all’esperimento NA62 del CERN di Ginevra e si occupa di radiografia muonica come responsabile del progetto MURAVES e direttore tecnico della start-up universitaria MuonX.