Radiazioni che ci circondano
Il monitoraggio della radioattività ambientale
di Michele Colucci e Flavia Groppi
Dose di radioattività dovuta alle principali fonti cui sono esposti gli esseri umani. La dose totale è di 2,4 mSv (media mondiale) in un anno. Dati UNSCEAR, 2008.
È comune ritenere che la radioattività e le radiazioni ionizzanti siano principalmente legate ad attività umane e in particolare alle armi e ai reattori nucleari. Nonostante il crescente utilizzo delle radiazioni per la produzione di energia e per attività industriali, la principale fonte di esposizione umana resta, in realtà, la radioattività naturale (nelle sue due componenti terrestre e cosmica), seguita da quella impiegata in medicina nucleare (diagnostica e radioterapia metabolica) (vd. fig. a). Quando si parla di radioattività ambientale si fa riferimento ai radionuclidi presenti nella biosfera, comprendendo oltre alla componente naturale anche quella dovuta ad attività antropiche. Fanno parte della prima categoria, ad esempio, il radon-222 (222Rn), il potassio-40 (40K), il berillio-7 (7Be), l’uranio-238 (238U) e il torio-232 (232Th). Nella seconda classe, tra gli altri, troviamo lo iodio-131 (131I) e il cesio-137 (137Cs), che generalmente vengono rilasciati nell’ambiente a seguito di gravi incidenti nucleari. Le radiazioni ionizzanti sono radiazioni in grado di rendere ioni gli atomi della materia con la quale interagiscono. Uno degli aspetti che rende misteriose le radiazioni nucleari e in generale ionizzanti, è il fatto che sono invisibili: nell’interazione con il sistema biologico, in particolare, possono arrivare a danneggiare il nucleo delle cellule o addirittura la doppia elica del DNA, dando luogo a effetti negativi e che si evidenziano spesso quando è troppo tardi per proteggersi. Esse sono generate quando un nucleo radioattivo, che si trova in una condizione di eccesso di energia rispetto a una condizione di stabilità, decade emettendo particelle α, β+/β- e raggi gamma (γ), per raggiungere uno stato di maggiore equilibrio. Questo processo è noto come radioattività.
Nella fattispecie, i raggi γ sono un tipo di radiazione elettromagnetica analoga alla luce visibile, ma vi differiscono per l’origine nucleare: hanno un’energia che in questo caso è sufficiente a ionizzare la materia con la quale interagiscono e per rivelarli servono particolari tipi di rivelatori.
Le emissioni di diseccitazione gamma di un nucleo radioattivo sono caratteristiche dello stesso e ne costituiscono un’impronta digitale. Quindi, utilizzando opportuni rivelatori che sono in grado di immagazzinare l’energia dei fotoni emessi in quello che viene definito “spettro di energia”, è possibile identificare e quantificare i radionuclidi presenti in un campione. Questa tecnica di rivelazione va sotto il nome di “spettrometria gamma”. Esistono diversi tipi di rivelatori che differiscono per caratteristiche come l’efficienza di rivelazione e la risoluzione energetica.
Quest’ultimo parametro permette di discriminare due emissioni caratteristiche rivelate a energie molto prossime tra loro: i rivelatori HPGe – High Purity Germanium – sono tra quelli che presentano una migliore risoluzione energetica e per questo sono spesso impiegati in misure di radioattività ambientale. Uno schema stilizzato e semplificato è riportato nella parte destra della fig. b, in cui si evidenzia la forma della testa del rivelatore, che contiene la parte attiva del rivelatore e sul quale vengono posizionati i campioni da misurare. La distribuzione dei radionuclidi nell’ambiente non è uniforme, né costante. Risulta quindi di particolare importanza e interesse il loro monitoraggio nel tempo attraverso la spettrometria gamma.
Vediamo ora le potenzialità di tale tecnica mediante due esempi in applicazioni ambientali.
A sinistra, canestri al carbone attivo per la misura della concentrazione di radon in ambienti chiusi mediante le emissioni γ dei figli del radon. Nell’atto di chiudere il canestro, il cuscinetto bianco di gomma piuma nel coperchio permette di espellere l’aria dall’interno del canestro, in quanto questa andrebbe a incrementare il contributo di radon. Una volta chiuso il coperchio, il canestro viene sigillato con del nastro adesivo. Da quel momento finisce il periodo di esposizione del canestro e dell’assorbimento del radon da parte del carbone attivo. A destra, schema semplificato di un rivelatore di tipo HPGe per l’analisi di campioni γ emettitori. Questo particolare tipo di rivelatore necessita di essere raffreddato mediante l’uso di azoto liquido per un corretto funzionamento. La misura dei campioni liquidi e/o solidi avviene mediante l’uso di un beaker di Marinelli, che avvolge il rivelatore per una maggiore efficienza di rivelazione dei raggi γ emessi dal campione.
Per misurare la concentrazione del radon in aria si può sfruttare la radiazione α emessa dallo stesso oppure le radiazioni emesse dai suoi successori: in particolare, il piombo-214 e il bismuto-214 emettono raggi γ. Nel caso della catena del radon-222, si può mostrare che, lasciando il sistema isolato (senza perdite né incrementi dall’esterno) abbastanza a lungo, l’attività dei “figli” sarà in equilibrio (secolare) con l’attività del “padre”, permettendone la quantificazione.
Questo è quanto avviene nei “canestri a carbone attivo” (vd. fig. b a sinistra). Si tratta di rivelatori passivi costituiti da scatole metalliche cilindriche, provviste di coperchio e riempite in parte da grani di carbone attivo: micro-cristalli di grafite, che permettono l’assorbimento di gas e vapori, e quindi anche del radon, per via della struttura porosa ad ampia area superficiale interna. Quando il canestro viene chiuso e sigillato, il carbone attivo risulta isolato dall’aria e non assorbe ulteriore radon. Utilizzando la spettrometria gamma per il conteggio dei fotoni emessi dal piombo-214 e dal bismuto-214 si risale alla concentrazione media di radon nell’ambiente oggetto di studio.
La spettrometria gamma può essere utilizzata anche per la rivelazione di radioattività presente nell’ambiente dovuta ad attività umane, come i radionuclidi usati in medicina nucleare per esami diagnostici e radioterapia, o quelli generati nell’ambito dell’uso dell’energia nucleare per la produzione di elettricità.
La sensibilità di tale tecnica permette di individuare nuclei radioattivi rilasciati in aria a seguito di eventuali incidenti nucleari. Lo iodio-131 e il cesio-137 sono di particolare interesse per via della lunga vita media che permette loro di essere trasportati anche a lunghe distanze. Infatti, la presenza di radioattività legata all’incidente verificatosi presso la centrale nucleare di Fukushima Daiichi l’11 marzo 2011 è stata rivelata anche in Europa e in Italia, dove è arrivata trasportata dai venti, per poi precipitare a causa delle piogge. Il monitoraggio ambientale continuo è di fondamentale importanza, in quanto rivelare la presenza di nuclei radioattivi è indice di avvenuto evento incidentale. Il secondo esempio che riportiamo è un metodo per valutare la concentrazione di radioattività in aria, e consiste nell’aspirare il particolato atmosferico al quale i radionuclidi sono legati facendolo impattare su un filtro in grado di trattenerlo. L’attività accumulata sul filtro è misurata sfruttando le emissioni γ dei radionuclidi di interesse ed è legata alla concentrazione in aria, una volta nota la quantità di aria aspirata.
La radioattività è presente in tutto ciò che ci circonda, noi stessi siamo sorgenti radioattive, seppur di flebile intensità. La spettrometria gamma è una tecnica elettiva anche per misurare la concentrazione di radionuclidi presenti in matrici ambientali quali acqua, latte o altri cibi liquidi come il caffè, oppure vegetali a foglia larga, oppure terreno, al fine di valutare l’eventuale dose da contaminazione interna nell’uomo a seguito del passaggio dei radionuclidi nei diversi compartimenti del suolo e degli animali. In tal caso le misure vengono effettuate in quella che va sotto il nome di “geometria Marinelli”, ovvero contenitori da 500 mL o 1000 mL con una forma tale da avvolgere la testa del rivelatore in modo da ottenere una maggiore efficienza geometrica, permettendo di analizzare livelli da medi a molto bassi di radioattività in campioni liquidi e solidi (vd. fig. b a destra).
La radioattività è un fenomeno perlopiù naturale. È importante poterla monitorare e la spettrometria gamma, specialmente quella ad alta risoluzione, ci viene in aiuto con una tecnica relativamente semplice ma molto sensibile (bastano pochi atomi radioattivi nel nostro campione per essere “visti”), che ci dà importanti informazioni anche per i possibili risvolti che la radioattività può avere sulla salute dell’uomo.
Biografia
Michele Colucci è dottorando presso l’Università degli Studi di Milano, dove studia l’ottimizzazione della produzione di radionuclidi medicali con tecniche non convenzionali. Collabora al progetto INFN Radiolab e ISOradioLAb per la disseminazione della cultura scientifica sulle radiazioni ionizzanti e in particolare sul radon.
Flavia Groppi è professoressa di Fisica Sanitaria presso il Dipartimento di Fisica dell’Università degli Studi di Milano, esperta di radioprotezione per la protezione dalle radiazioni ionizzanti per i lavoratori e la popolazione, presidente dell’International Nuclear Chemistry Society – INCS e coordinatore nazionale del progetto Radiolab e ISOradioLAb. La sua attività di ricerca è legata allo studio dell’ottimizzazione della produzione di radionuclidi per applicazioni in medicina, di tipo ambientale e nanotossicologico.