Poca ma buona
A caccia di antimateria cosmica
di Matteo Duranti
L’apparato AMS-02, nella Clean Room, al CERN, in cui è stato assemblato. Nella foto solo una parte del MultiLayer Insulator (MLI, il tipico materiale bianco che riflette la radiazione solare con cui vengono rivestite le apparecchiature nello spazio) è installata, lasciando “nude” le strutture e i rivelatori sottostanti.
“[…] dobbiamo considerare un puro caso che la Terra (e presumibilmente l’intero sistema solare) contenga una preponderanza di elettroni negativi e di protoni positivi. Tuttavia, è possibile che per alcune stelle valga il contrario, ossia che esse siano costituite principalmente da positroni e protoni negativi. […]”. Terminò così, Paul Dirac, il discorso in occasione del conferimento del premio Nobel il 12 dicembre del 1933. L’esistenza dell’antimateria, e in particolare dell’antielettrone (positrone), era stata verificata sperimentalmente da Carl Anderson l’anno precedente. Oggi, dopo quasi un secolo, siamo in grado di produrre l’antimateria in laboratorio e di studiarla con elevata precisione. Tuttavia, un’evidenza sperimentale della presenza delle stelle di antimateria previste da Dirac non è ancora stata trovata. Il nostro pianeta è continuamente bombardato da un flusso di particelle, i raggi cosmici, prodotte e accelerate in sorgenti astrofisiche, come ad esempio resti di supernova. Questo flusso è composto per quasi il 90% da nuclei completamente ionizzati di idrogeno (protoni), per quasi il 10% da nuclei di elio, per circa l’1% da nuclei più pesanti, principalmente di carbonio e ossigeno, per l’1% da elettroni e da tracce (< 0,1%) di altre particelle, tra cui fotoni, neutrini e anche positroni e antiprotoni. L’antimateria finora trovata nei raggi cosmici, però, è antimateria “leggera”: la collisione, con il mezzo interstellare, di un raggio cosmico di materia, infatti, può produrre sia particelle di materia (elettroni, kaoni, pioni, protoni, …), sia positroni o antiprotoni, cioè antimateria. Lo studio di queste componenti rare è anche importantissimo per la ricerca indiretta di materia oscura. La probabilità, invece, che si produca un nucleo di antideuterio (un antiprotone e un antineutrone) o di antielio-3 (due antiprotoni e un antineutrone) è diversi ordini di grandezza inferiore. Ancora più improbabile è che si produca un antielio-4 (due antiprotoni e due antineutroni) o addirittura un anticarbonio. Affinché un (anti)nucleo sia formato è infatti necessario produrre tutti i suoi costituenti, i quark, nella giusta composizione e con velocità e direzioni simili (“coalescenza”), in modo da potersi fondere in un’unica particella. Nell’interazione fra un raggio cosmico molto energetico e un nucleo del mezzo interstellare è facile che le varie particelle elementari prodotte siano, invece, sparate in direzioni diverse. Trovare un antinucleo “pesante” sarebbe quindi una prova molto forte dell’esistenza di stelle di antimateria. In un secondo scenario, invece, un antideuterio o un antielio-3 potrebbero essere prodotti dall’annichilazione di due particelle di materia oscura, che, essendo sostanzialmente ferma rispetto alla Galassia, potrebbe più facilmente generare quark coalescenti. L’annichilazione di particelle di materia oscura è teoricamente in grado di produrre anche particelle “leggere”, come protoni, antiprotoni, elettroni o positroni. Eccessi di queste particelle nei raggi cosmici (più un tipo di particella è raro nei raggi cosmici di origine astrofisica e maggiore è la probabilità di osservare un eccesso) possono confermare, indirettamente, l’esistenza della materia oscura.
L’apparato AMS-02, installato sulla trave principale (main truss) della ISS. Sullo sfondo è possibile vedere i grandi pannelli solari che forniscono elettricità a tutta la strumentazione della ISS, tra cui i circa 2,5 kW di potenza necessari per il funzionamento di AMS-02.
Un osservatorio per l’ultravioletto
Il modulo all’interno del quale si trova Mini-EUSO sulla ISS. In basso a destra, lo strumento Mini-EUSO.
Mini-EUSO è un telescopio rivolto allo studio di emissioni ultraviolette di origine terrestre, astrofisica e cosmologica. È stato posto a bordo della ISS nell’agosto 2019 e successivamente attivato dall’astronauta Luca Parmitano nel corso della sua missione Beyond. Si tratta di un telescopio in banda ultravioletta sviluppato da una ampia collaborazione internazionale guidata dall’INFN, con varie istituzioni nazionali e internazionali, orientato verso il nostro pianeta.
Lo strumento osserva la Terra dal modulo russo Zvezda della ISS. L’ottica a lenti di Fresnel e la superficie focale basata su fotomoltiplicatori multianodo consentono di raggiungere una sensibilità senza precedenti, permettendo di rivelare ciascun fotone emesso in un campo di vista di 44 gradi e con una frequenza di 400.000 immagini al secondo. Una delle caratteristiche principali dell’apparato è la capacità di effettuare osservazioni su diverse scale temporali, da qualche microsecondo in su, e di poter correlare i dati con quelli provenienti da due telecamere ancillari, sensibili nelle bande del visibile e del vicino infrarosso.
Gli obiettivi scientifici di Mini-EUSO si estendono su più campi. È stata realizzata, per la prima volta, una mappa delle emissioni notturne della Terra nell’ultravioletto. Vengono inoltre cercati segnali provenienti dalla “materia strana”, uno stato della materia – contenente quark strani – ancora mai osservato, ma previsto da vari modelli teorici. Questi segnali vengono cercati tra quelli delle meteore del sistema solare e di origine interstellare. Mini-EUSO è anche in grado di porre un limite al flusso di raggi cosmici di altissima energia, cioè particelle la cui esatta natura è ancora dibattuta e che si presume provengano da altre galassie.
Altri studi riguardano l’osservazione di ELVES, bagliori di luce generati dall’interazione tra gli impulsi elettromagnetici generati da un fulmine e la ionosfera, sotto forma di anelli che possono espandersi sino a raggiungere dimensioni di varie centinaia di chilometri e della durata di frazioni di millisecondo.
La tecnologia sviluppata per Mini-EUSO è anche utilizzata su apparati posti su palloni stratosferici, come il progetto NASA SPB-2 (Super Pressure Balloon flight 2), il cui lancio è previsto dalla Nuova Zelanda per il 2023, e sarà utilizzata in future missioni spaziali.
[Marco Casolino, Laura Marcelli]
Biografie
Marco Casolino è ricercatore presso la sezione INFN di Roma Tor Vergata, principal investigator (PI) dell’esperimento Mini-EUSO e ha preso parte alla realizzazione di vari esperimenti a bordo di stazioni spaziali e su satellite. Tra questi, l’apparato Pamela, rivolto allo studio della componente di antimateria e alla ricerca indiretta di materia oscura.
Laura Marcelli è ricercatrice presso la sezione INFN di Roma Tor Vergata e vice-PI dell’esperimento Mini-EUSO. Il suo campo principale di ricerca è lo studio di raggi cosmici e la ricerca di componenti esotiche con apparati posti nello spazio.
Biografia
Matteo Duranti è ricercatore INFN impegnato in esperimenti di raggi cosmici nello spazio. Da sempre lavora su AMS. Ha lavorato su DAMPE, in orbita su satellite cinese dal 2015, e ora si occupa di HERD, che andrà sulla stazione spaziale cinese nel 2027.