[as] intersezioni
La new space economy
di Roberto Battiston
fisico sperimentale
Il lanciatore Falcon 9 e la capsula Dragon di Space X durante il trasferimento sulla rampa di lancio di Cape Canaveral.
Che cos’è la “new” space economy? Un fenomeno che mostra molte analogie è quello dell’esplosione della “new” economy di internet alla fine degli anni ’90, con la nascita dei giganti del web, i GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft), che hanno contribuito a una drastica modifica delle nostre abitudini sociali, anche in termini economici. La “new” economy è caratterizzata dall’essere globale, legata al software piuttosto che al manifatturiero, basata su elementi infrastrutturali, come la rete internet e il linguaggio HTML sviluppato al CERN, ma, allo stesso tempo, sullo sviluppo di tecnologie di basso costo, come i personal computer fino agli smartphone dei nostri giorni. La formazione del valore è basata sui dati piuttosto che sull’hardware, dati spesso ottenuti dagli utenti che beneficiano gratuitamente dei servizi forniti attraverso internet. Vent’anni dopo, sostituiamo al WWW l’accesso a basso costo alle orbite circumterrestri con razzi affidabili e recuperabili, al computer portatile i nanosatelliti, ai dati personali i dati del pianeta osservati dallo spazio, e cominceremo a capire che cos’è la “new” space economy: qualcosa di diverso, dunque, rispetto all’economia dei satelliti per le telecomunicazioni, già esistente dagli anni ’80 e sostanzialmente saturata dal punto di vista del mercato. I dati di osservazione della Terra e quelli associati alla navigazione satellitare permettono la raccolta di informazioni uniche, quasi del tutto gratuite, il cui valore dipende dall’utilizzo che ne viene fatto per fornire “servizi”. Un ulteriore elemento di analogia con la “new” economy è la nascita e il rapido sviluppo di compagnie che guidano il nuovo mercato spaziale, i cosiddetti “unicorni”, ditte come SpaceX o Planet, che in meno di dieci anni hanno raggiunto e superato una capitalizzazione di un miliardo di dollari. Non mancano tuttavia le differenze, collegate agli aspetti fisici degli ambiti in cui queste nuove economie si sviluppano. Lo spazio circumterrestre o interplanetario, per sua natura, è un ambito che pone molte sfide: raggiunta l’orbita tramite un lancio di un razzo, i satelliti devono poi operare senza praticamente la possibilità di riparazioni o interventi, esposti a condizioni ambientali ostili. Senza dimenticare la quantità di risorse potenzialmente “infinite” disponibili nello spazio, di cui oggi possiamo sfruttare solo la componente presente nelle orbite basse tra i 300 e i 1000 km di altezza. In questa regione orbitano infatti un numero di satelliti che nel 2023 supererà i 10.000, di cui più del 60% operativi, oltre a centinaia di migliaia di frammenti dovuti all’attività spaziale degli ultimi decenni e alle collisioni o distruzioni di satelliti in orbita. Per quanto riguarda le risorse minerarie, la prospettiva è ancora remota: la realizzazione di una base lunare, prevista entro il decennio, porterà a una limitata attività mineraria, principalmente dedicata alla ricerca di ghiaccio d’acqua nelle regioni polari, mentre l’esplorazione della fascia di asteroidi posta tra Marte e Giove, dove sono probabilmente presenti risorse ingenti in termini di materiali con alto valore economico, non è nemmeno iniziata. Ma anche così la crescita degli investimenti e delle attività collegate alla new space economy è chiaramente percepibile: le stime prevedono una crescita fino a dieci volte nel corso del decennio, a partire dai circa 400 miliardi di euro di fatturato globale del 2021.
Tipi di orbite satellitari: orbite terrestri basse (LEO, Low Earth Orbits), al di sotto dei 2000 km di altitudine; orbite terrestri medie (MEO, Medium Earth Orbits), tra i 2000 km e i 35.786 km di altitudine; orbita geostazionaria (GEO, Geostationary Earth Orbit), a 35.786 km, in corrispondenza della quale il periodo di rivoluzione del satellite è uguale al periodo di rotazione della Terra.