Einstein alla prova
Test spaziali della relatività generale
di Ignazio Ciufolini
Fascio laser inviato verso la Luna e riflesso da retro-riflessori sulla superficie lunare in un esperimento di misura laser lunare (Lunar Laser Ranging).
La relatività generale ha avuto un trionfale successo, sperimentale e teorico. È oggi applicata a varie tecniche spaziali, come la navigazione satellitare, ed è fondamentale per la comprensione di numerose osservazioni astrofisiche e cosmologiche, come l’espansione dell’universo, i buchi neri e le onde gravitazionali. Nonostante questi trionfi, deve fronteggiare dei problemi teorici e osservazioni cosmologiche inaspettate. È infatti una teoria classica, incompatibile con la meccanica quantistica, l’altra grande teoria della fisica fondamentale. Inoltre, prevede la formazione delle singolarità spaziotemporali, in cui la fisica conosciuta cessa di essere valida. Infine, per poter spiegare l’osservata espansione accelerata dell’universo, si ipotizza l’esistenza di una costante cosmologica legata alla misteriosa energia oscura (vd. Luce sull'energia oscura, ndr) o si ipotizzano teorie gravitazionali alternative.
Questi motivi rendono necessarie ulteriori e più accurate prove sperimentali della relatività generale e, data la debolezza dell’interazione gravitazionale, l’ambiente spaziale è l’arena ideale per tali prove. Invero, i più accurati esperimenti che hanno confermato il principio di equivalenza di Galilei (l’universalità della caduta libera alla base delle teorie gravitazionali) sono quelli con bilance di torsione e il Lunar Laser Ranging della NASA (mediante retro-riflettori posti sulla Luna che permettono di tracciarne il moto con estrema precisione), che hanno consentito di confermare questo principio con una precisione relativa di circa 10-13 (un esperimento dell’INFN mediante retro-riflettori sulla Luna è Moonlight). Nel 2022 l’esperimento MICROSCOPE del CNES, con un satellite in orbita intorno alla Terra a circa 710 km di altitudine, ha confermato questo principio di base della relatività generale con una precisione di circa 10-15.
Un’altra previsione della relatività generale, legata al principio di equivalenza, è il cosiddetto redshift gravitazionale, ossia il fatto che il tempo e gli orologi rallentino nelle vicinanze di una massa. Nel 1976, la NASA ha effettuato l’esperimento spaziale Gravity Probe-A mediante un razzo a un’altitudine di circa 10.000 km. Questo esperimento ha confermato il rallentamento degli orologi vicini alla Terra rispetto all’orologio atomico sul razzo, con un errore relativo di circa 10-4. Gli orologi sui satelliti per la navigazione GALILEO hanno recentemente permesso di migliorare ulteriormente questa misura.
Il fondamento della relatività generale è che massa ed energia generino curvatura dello spaziotempo. I fenomeni della deflessione della luce e il ritardo delle onde elettromagnetiche in un campo gravitazionale sono in parte dovuti alla curvatura dello spazio generata da una massa. Le sonde Viking della NASA e la sonda spaziale CASSINI dell’ESA hanno misurato con precisione il ritardo delle onde elettromagnetiche e l’effetto della curvatura è stato confermato con una precisione di circa 2,3x10-5. La radioastronomia con la tecnica VLBI (Very Long Baseline Interferometry) ha determinato con grande precisione la posizione delle radiosorgenti e relativa deflessione dovuta al Sole. Grazie a EHT (Event Horizon Telescope, vd. approfondimento), una collaborazione internazionale che fa uso della tecnica VLBI, è possibile studiare la dinamica della materia del disco di accrescimento intorno a un buco nero dove il campo gravitazionale è molto forte. Il satellite astrometrico Hipparcos dell’ESA ha monitorato nell’ottico l’intera sfera celeste con la deflessione dovuta al Sole. Infine, il fenomeno della lente gravitazionale è onnipresente nelle immagini dei telescopi spaziali e la missione spaziale GAIA dell’ESA, con ASI e INAF, ha prodotto e produrrà precisissime misure della deflessione della luce.
Sempre più a fuoco
La silhouette del buco nero supermassiccio SgrA* al centro della Via Lattea, ottenuta tramite il network di radiotelescopi della collaborazione EHT.
Nell’aprile del 2019 una collaborazione internazionale ha rivelato la prima immagine nella storia di un buco nero, quello al centro della galassia ellittica Messier 87, M87* (vd. Profondo nero, ndr). Questa immagine ci mostra un anello di plasma incandescente con un disco scuro al centro, che viene interpretato come l’ombra dell’orizzonte degli eventi di un buco nero. Questo risultato storico, che rappresenta una potente conferma della teoria della gravità di Einstein, la relatività generale, è stato reso possibile grazie a una rete mondiale di radiotelescopi, che formano l’Event Horizon Telescope (EHT). Nel maggio del 2022, la stessa collaborazione EHT ha pubblicato una nuova immagine, quella del buco nero supermassiccio al centro della nostra Via Lattea, Sgr A*. Le immagini pubblicate dimostrano che è ora possibile studiare direttamente l’ombra dell’orizzonte degli eventi dei buchi neri tramite radiazione elettromagnetica, trasformando così questa frontiera sfuggente da un concetto matematico in un’entità astrofisica. Ma cosa ci riserva il futuro? EHT è attualmente lo strumento con il più alto potere risolutivo in astronomia, equivalente a quello di un telescopio virtuale delle dimensioni della Terra. Per migliorare ulteriormente la risoluzione angolare ottenibile con EHT, l’unica strada possibile è lanciare radiotelescopi nello spazio. Tra le numerose iniziative di missioni spaziali, nel 2019 è stato proposto il progetto THEZA, partito in risposta all’invito dell’ESA per definire la sua programmazione a lungo termine “Voyage 2050”. Il progetto propone tre satelliti in orbite circolari attorno alla Terra, con raggi di ca. 14.000 km (orbite MEO, vd. [as] intersezioni: La new space economy, ndr). Onde rilevare la debole emissione radio dai buchi neri, il diametro dell’antenna di ciascun satellite deve essere almeno di 10-15 m. A causa di un limite pratico del diametro del payload (ovvero il “carico utile”) di circa 4 m, l’unica opzione praticabile è l’assemblaggio in orbita di un numero (7-37) di antenne più piccole (4 m), così da creare un telescopio con un diametro effettivo di 10–15 m. Un tale interferometro spaziale potrà fornire immagini di buchi neri ancor più nitide e con maggiore fedeltà rispetto a EHT e potenzialmente anche filmati del plasma caldo in orbita intorno al loro orizzonte degli eventi. Questi sviluppi ci permetteranno di affrontare questioni fondamentali su come funziona la gravità nel regime di campo forte vicino all’orizzonte degli eventi, come l’accrescimento di materia porti alla formazione di getti relativistici e come questi ultimi si propaghino condizionando l’evoluzione delle galassie su scala cosmologica. [Ciriaco Goddi]
Biografia
Ciriaco Goddi è docente di fisica presso l’Università degli Studi di Cagliari e ricercatore dell’INAF e dell’INFN con incarico di ricerca presso l’osservatorio astronomico e la sezione INFN di Cagliari. La sua attività scientifica è incentrata principalmente su osservazioni astronomiche di regioni di formazione stellare, buchi neri e nuclei galattici attivi utilizzando radiotelescopi. Ha ricoperto l’incarico di segretario del consiglio scientifico della collaborazione Event Horizon Telescope fino al 2020.
Biografia
Ignazio Ciufolini, associato al Centro Fermi, già professore di fisica all’Università del Salento, ha lavorato con i maggiori esperti di relatività come John Wheeler e Roger Penrose. È ideatore e responsabile scientifico del satellite LARES 2.