a.
L’immagine mostra una supernova con redshift di z = 0,40 (corrispondente a una distanza di circa 6 miliardi di anni luce), osservata in sei date con la fotocamera SUSI al New Technology Telescope. La galassia ospite è appena visibile, molto probabilmente perché è una galassia a bassa luminosità superficiale. La luminosità della supernova raggiunge il picco intorno al 16 marzo 1997.
Negli anni ’90 la concezione del mondo fisico su grande scala godeva di una relativa tranquillità. Sebbene la descrizione teorica del mondo microscopico non fosse in grado di includere la gravità, un diffuso ottimismo accompagnava le ricerche in ambito cosmologico. Un ottimismo fondato sia sulla presunta incompletezza del modello standard che sulle ancora limitate osservazioni del cosmo. Sempre con riferimento al mondo macroscopico, la concezione era inoltre abbastanza ben delineata: un universo nato dal Big Bang, caratterizzato da una fase di incredibile espansione iniziale, denominata inflazione, seguita da una fase di progressivo rallentamento. Perciò, in un simile contesto, la domanda essenziale che ci si poneva era se l’universo si sarebbe espanso all’infinito o se, a un certo punto, per effetto della gravità sarebbe collassato con un Big Crunch. Nel 1998 questa concezione del mondo ricevette quella che si potrebbe definire una doccia fredda. Le osservazioni del satellite Hubble (Hubble Space Telescope) mostravano delle supernovae che si stavano allontanando più velocemente del previsto. L’universo, invece di continuare a rallentare come aveva fatto per i suoi primi 10 miliardi di vita, da circa 4 miliardi di anni aveva ripreso ad accelerare! Successivamente il fenomeno fu confermato in più modi, e gli scopritori ricevettero infine il premio Nobel nel 2011. Tuttavia, a fronte di semplici possibili conseguenze, come il fatto che la materia osservata sia solo il 5% di quella descritta dal modello standard, le varie spiegazioni teoriche date per l’accelerazione dell’universo sono tuttora abbastanza elusive. Già nel 1998 al fenomeno era stato dato il nome di energia oscura (con una parte che si poteva agglomerare in materia oscura, considerata già dagli anni ’70 un’altra possibile componente dell’universo), che ben indicava la vaghezza del concetto. Per far luce “sul lato oscuro” dell’universo, circa dieci anni dopo il 1998, l’Agenzia Spaziale Europea ESA approvava la missione spaziale Euclid, con l’obiettivo di misurare con estrema accuratezza l’evoluzione dell’universo e delle strutture a grande scala per comprendere la natura dell’energia oscura e capire se questa sia dovuta a una nuova forza o a un comportamento differente della gravità su scala cosmica. In effetti per studiare l’energia oscura dobbiamo ricostruire la storia dell’universo negli ultimi 10 miliardi di anni e capire come, nelle varie fasi della sua evoluzione, materia ed energia oscura abbiano agito per creare gli ammassi di galassie che oggi vediamo, partendo da una distribuzione omogenea di materia: quella dei primi anni di vita dell’universo.
b.
Tasso di espansione dell’universo in funzione del tempo (espresso in miliardi di anni), con indicati gli intervalli di azione di Euclid tramite redshift e lensing gravitazionale.
Mentre la materia, oscura o visibile che sia, tende attraverso l’attrazione del campo gravitazionale a favorire la formazione delle galassie e la loro concentrazione in ammassi, l’energia oscura si opporrebbe a questa spinta, limitando la formazione di strutture cosmiche su larga scala. A seconda di quale di queste due “forze” domina, si ha una decelerazione o un’accelerazione nell’espansione dell’universo. Questo gioco di forze ha lasciato traccia di sé nella storia dell’universo: una traccia leggibile attraverso l’osservazione di come è distribuita la materia a diverse distanze da noi. Infatti, più un oggetto è distante da noi, maggiore è il tempo che la luce ha impiegato a raggiungerci. In questo lasso di tempo, però, lo spazio in cui è immerso l’universo si è espanso causando, tra le altre cose, un allungamento della distanza tra i fronti d’onda della luce delle galassie e quindi facendola apparire più rossa. Misurando lo spettro delle galassie possiamo capire quanto antiche siano e quindi vedere l’universo in una sua precedente fase di evoluzione. Proprio questo sarà uno degli obiettivi dell’ambizioso programma scientifico di Euclid, satellite costituito da un telescopio con uno specchio di 1,2 metri di diametro che fornirà immagini estremamente accurate e nitide su un campo visivo molto ampio, pari a 0,5 gradi quadrati (circa 180 volte quello dell’Hubble Space Telescope). Uno dei due sofisticati strumenti che avrà il compito di “fotografare” le immagini raccolte dal telescopio (NISP) sarà costituito da uno spettrometro e un fotometro, e avrà il compito di misurare lo spostamento della luce verso il rosso (redshift) causato dall’espansione dell’universo, e quindi la distanza delle galassie. Per questo NISP è dotato di due ruote con tre filtri ottici e tre grism (reticoli di diffrazione montati su prismi ottici) in modo da poter alternativamente interporre un filtro o un grism e misurare, rispettivamente, la quantità di luce emessa dalle galassie nelle tre bande dei filtri (fotometria) o lo spettro della luce emessa dalle galassie (spettrometria). Le immagini prodotte sia dai filtri che dai grism di NISP sono rivelate da 16 sensori a pixel, per un totale di 67 milioni di pixel, e una risoluzione di 0,3 secondi d’arco per pixel. Questi rivelatori sono stati costruiti specificamente per essere sensibili alla luce infrarossa fino a lunghezze d’onda di 2 micron, quella emessa da galassie oltre 10 miliardi di anni fa.
c.
Il satellite Euclid viene sottoposto agli ultimi test presso il sito Thales (luglio 2022).
Non solo energia oscura. Attraverso le sue osservazioni, Euclid fornirà anche una accurata misura della distribuzione della materia nell’universo nelle sue varie fasi evolutive, e lo farà per mezzo della seconda “macchina fotografica” di cui sarà dotato, VIS, estremamente sensibile alla luce visibile grazie ai suoi 36 sensori, per un totale di 600 milioni di pixel. Sebbene la materia oscura, come suggerisce il suo nome, non sia direttamente visibile, VIS la potrà comunque “osservare” e misurare, andando a vedere come essa deflette la luce per effetto dell’attrazione gravitazionale che esercita anche sui fotoni. Questo effetto, chiamato “lente gravitazionale” (lensing), fa sì che la forma delle galassie che noi osserviamo sia distorta dal campo gravitazionale degli aloni di materia oscura che la luce attraversa nel suo cammino fino a noi. Un po’ come il fondo di un bicchiere, o in generale un vetro non uniforme della cui esistenza ci accorgiamo, perché vediamo un’immagine distorta degli oggetti che vi stanno dietro. Attraverso la ricostruzione delle lenti gravitazionali, l’altro obiettivo dell’indagine di Euclid, possiamo perciò ricostruire la distribuzione della materia nell’universo nelle sue varie fasi evolutive. Il satellite Euclid verrà lanciato nell’estate del 2023 e messo in orbita a 1,5 milioni di chilometri dalla terra nel punto lagrangiano L2 del sistema Sole-Terra. Qui in sei anni mapperà circa 15.000 gradi quadrati di cielo extragalattico, pari al 36% di tutta la volta celeste, osservando 12 miliardi di galassie, per 1,5 miliardi delle quali verrà ricostruita la forma e il loro redshift fotometrico, e per 35 milioni anche il redshift spettroscopico con una accuratezza di una parte su mille. Le mappe tridimensionali che Euclid produrrà permetteranno agli scienziati del Consorzio Euclid, di cui l’INFN è membro, di ricostruire l’evoluzione dell’universo e delle sue strutture a larga scala per comprendere la natura dell’energia oscura e la sua origine. A partire dal 2015, l’INFN partecipa alla realizzazione dello strumento NISP, occupandosi dell’integrazione e dei test a terra dell’elettronica di controllo e di processamento dati dello spettro-fotometro NISP.
Biografie
Stefano Dusini, ricercatore dell’INFN di Padova, è responsabile dell’integrazione e validazione dell’elettronica di controllo e processamento dati dello strumento NISP e responsabile locale INFN di Padova per la missione Euclid.
Luca Stanco, ricercatore dell’INFN di Padova, è responsabile nazionale dell’INFN per la missione Euclid.
[scarica pdf]
DOI: 10.23801/asimmetrie.2023.34.08