AAA materia cercasi
Un mistero oscuro nell’universo

di Massimo Pietroni

Vera Rubin assieme a una parte della sua collezione di mappamondi antichi.a.
Vera Rubin assieme a una parte della sua collezione di mappamondi antichi.

La convinzione che il nostro universo contenga materia in forme diverse da quelle che osserviamo qui sulla Terra prese forza poco alla volta, nell’arco di quasi un secolo. Esordì con le misure della velocità delle galassie dell’ammasso della Chioma effettuate da Fritz Zwicky negli anni ‘20 del secolo scorso e fu poi ravvivata negli anni ‘70, da Vera Rubin e dai suoi studi sulla rotazione delle galassie. Più recentemente, a queste si sono aggiunte altre misurazioni, sulla radiazione cosmica di fondo, sulla struttura dell’universo a grande scala e sulla deflessione dei raggi luminosi da ammassi di galassie per l’effetto di “lente gravitazionale”. Pur riguardando scale di distanze ed epoche diversissime tra loro, tutte le osservazioni possono essere interpretate allo stesso modo: la forza di gravità è più intensa di quella che ci aspettiamo tenendo conto della quantità di massa osservabile. Ciò può essere spiegato in due modi: o la gravità su scale cosmologiche si comporta diversamente da come fa nel Sistema Solare, oppure esiste tanta materia in più che non vediamo, la “materia oscura”. La prima possibilità, per quanto ancora aperta, non ha dato finora esiti soddisfacenti, dato che non esiste ancora una teoria consistente che modifichi la teoria della relatività generale di Einstein in modo da riprodurre le osservazioni cosmologiche.
Per capire cosa stiamo cercando, è importante chiarire cosa si intende per materia oscura. Per prima cosa, questa forma di materia deve esistere da almeno 13 miliardi di anni (l’età dell’universo), e quindi deve essere stabile almeno su queste scale dei tempi. Poi, deve essere praticamente “trasparente”, ossia interagire pochissimo o per nulla con la luce (da cui il nome di “oscura”) e anche con tutte le altre particelle che compongono la materia ordinaria. In particolare, deve essere neutra, perché altrimenti sarebbe soggetta alle interazioni elettromagnetiche e potrebbe emettere e assorbire luce. Infine, deve essere “non relativistica”, cioè muoversi a velocità molto minori di quelle della luce, perché altrimenti l’universo oggi avrebbe una struttura ben diversa da quella osservata.
L’insieme di queste richieste compone una formidabile checklist che, applicata alle particelle che conosciamo, ci porta a eliminarle tutte, una dopo l’altra. Quindi, qualunque cosa sia, la materia oscura è sicuramente qualcosa di mai osservato prima, e gli indizi sulla sua esistenza rappresentano l’evidenza più forte che esista nuova fisica al di là del modello standard.
Le idee su cosa possa essere la materia oscura non mancano, anzi, al contrario, di idee ce ne sono anche troppe. Il problema è piuttosto individuare quelle più soddisfacenti dal punto di vista teorico e metterle alla prova negli esperimenti.

Le candidate più studiate sono le particelle WIMP (“weakly interacting massive particle” (particella massiva debolmente interagente). Sono particelle di massa elevata e con interazioni così deboli da non inficiarne l’attributo di “oscure”, ma non così tanto da non poter essere rivelate in un esperimento di laboratorio. Inoltre, assumendo che questa interazione debole sia dello stesso tipo di quella che sentono per esempio i neutrini, si potrebbe realizzare il “miracolo” di produrre queste particelle, nell’universo primordiale, proprio nella quantità giusta richiesta dalle osservazioni, né troppo alta né troppo bassa. Per verificare il paradigma delle WIMP nel corso degli ultimi decenni si è sviluppata una campagna sperimentale formidabile, con la costruzione di vere e proprie “trappole acchiappa-WIMP” in laboratori sotterranei, come ad esempio ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN. Un’altra possibilità è quella di osservare i fotoni, gli elettroni o altre particelle elementari prodotte nelle annichilazioni tra WIMP con strumenti posti a terra o nello spazio oppure sotto il mare o in Antartide. E infine, l’obiettivo più ambizioso è quello di produrre le WIMP in laboratorio, per esempio a LHC al Cern, come risultato della collisione tra protoni.

Un apparecchio per la tomografia assiale computerizzata (TAC) per la diagnostica per immagini.b.
L’esperimento ALPS ai laboratori DESY di Amburgo, che si propone di rivelare l’effetto “luce attraverso il muro”: se alcuni fotoni del raggio laser si trasformano temporaneamente in assioni, possono attraversare un ostacolo e riconvertirsi poi in fotoni.
 

Purtroppo, questo enorme sforzo finora non ha prodotto segnali positivi, e la plausibilità delle WIMP si è notevolmente ridotta. Sebbene l’ipotesi non sia ancora del tutto tramontata, e magari la scoperta possa essere dietro l’angolo, forse dovremo a un certo punto accettare che il miracolo delle WIMP non sia mai avvenuto e per questo, da un po’ di tempo, si è cominciato a cercare anche altrove.
Un candidato sempre più al centro dell’attenzione è l’ “assione”. L’idea alla base di questo scenario fu introdotta da Roberto Peccei e Helen Quinn nel 1977 con motivazioni teoriche del tutto indipendenti dalla materia oscura. Più che una particella, è utile pensare all’assione come un “campo”, un po’ come il campo elettromagnetico, seppur con caratteristiche molto diverse. Il valore del campo, anziché rimanere costante, varia rapidissimamente nel tempo e, così facendo, crea una distribuzione di energia che si comporta proprio come farebbe un insieme di particelle di materia oscura. La teoria di Peccei e Quinn e le sue modifiche successive prevedono anche interazioni tra gli assioni e la materia ordinaria e quindi, come per le WIMP, la possibilità di rivelarli in laboratorio. Nel caso degli assioni la fantasia dei fisici sperimentali si è veramente scatenata.
Kick off meeting del Centro ICSC di Bolognac.
Un giovane Stephen Hawking ipotizzò già in un articolo del 1970 che i buchi neri primordiali potessero essere più abbondanti della materia ordinaria.
 

Si cerca di convertire parzialmente il campo degli assioni in campo elettromagnetico, cioè in fotoni, facilmente rivelabili dagli strumenti. Con un intento simile si sono costruiti “haloscopi”, che sono grossi tubi contenenti un campo magnetico puntati verso il Sole, che dovrebbe essere una sorgente molto prolifica di assioni. O, ancora, si spara un raggio laser verso una parete per vedere se una parte dei fotoni del laser può attraversarla, grazie alla loro temporanea trasformazione in assioni (vd. fig. b). Altri esperimenti ancora cercano di rivelare l’interazione tra il campo degli assioni e lo spin degli elettroni. Si tratta, come si può capire da questi esempi, di un settore in piena espansione, in cui un problema di fisica fondamentale apparentemente disgiunto da ogni interesse pratico sta stimolando lo sviluppo di una serie di tecnologie, per esempio sui raggi laser e i campi magnetici, che avranno molto probabilmente ricadute in altri settori in apparenza molto lontani.
In questi ultimi anni poi, stimolata dalla scoperta delle onde gravitazionali da parte degli interferometri Ligo e Virgo, ha ripreso il centro della scena una vecchia ipotesi, avanzata inizialmente da Stephen Hawking negli anni ‘70, ossia che la materia oscura possa essere composta da buchi neri formatisi nei primi istanti di vita dell’universo.
Ora questa spiegazione sembra un po’ ridimensionata, e sembra difficile che la materia oscura possa essere costituita al 100% da questi buchi neri “primordiali”.
In realtà, niente impone che la materia oscura sia composta da un solo tipo di oggetti, che siano particelle, campi o buchi neri. Infatti, se guardiamo alla materia ordinaria, che contribuisce solamente per il 5% al totale della materia del nostro universo, vediamo che essa è composta da sei tipi di quark e leptoni diversi, che a loro volta formano una moltitudine di particelle elementari, e più di cento elementi chimici differenti. Perché mai quindi la materia oscura, che è cinque volte più abbondante di quella ordinaria, dovrebbe essere interamente composta da un solo componente? Ha quindi senso, e l’idea è stata sviluppata moltissimo in questi ultimi anni, immaginare veri e propri “mondi oscuri”, composti da una varietà di specie differenti. La materia ordinaria potrebbe comunicare con questo mondo oscuro attraverso la forza di gravità e, eventualmente, poche altre interazioni deboli, che svolgerebbero il ruolo di “portali” tra i due mondi. La speranza, in questi scenari, è che un giorno, grazie a nuove intuizioni e a esperimenti sempre più raffinati, si possa attraversare uno di questi portali e riuscire a vedere se, dall’altra parte, nel mondo oscuro, ci sono i colori.
 

Biografia
Massimo Pietroni è professore di cosmologia e meccanica quantistica presso l’Università di Parma. Si occupa di cosmologia e fisica astroparticellare con particolare attenzione agli aspetti di ricerche che potrebbero rivelare nuova fisica oltre al modello standard.

 

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DOI: 10.23801/asimmetrie.2024.36.09
 

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