Trasformisti all’opera
Le oscillazioni dei neutrini

di Giuliana Galati

a.
Vista esterna del rivelatore Sno, Sudbury Neutrino Observatory.

Se c’è una particella che non smette di dare filo da torcere agli scienziati è il neutrino. Immaginate di partecipare a una corsa con i cani da slitta. Partite a tutta velocità trainati da una splendida muta di husky. Ma a un certo punto durante il tragitto vi rendete conto che i vostri cani si sono trasformati da husky in... chow chow! Tranquilli, nulla del genere potrà mai accadere con dei cani, ma se parliamo di neutrini non c’è da fidarsi. Verso la fine degli anni ’60 l’esperimento Homestake, situato nell’omonima miniera in South Dakota, rivelava per la prima volta i neutrini provenienti dal Sole. Il Sole, infatti, è un immenso reattore a fusione nucleare naturale, che fonde idrogeno in elio. In questo processo vengono emessi continuamente neutrini elettronici: 100 miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di neutrini al secondo (o, se preferite, 1038), di cui circa 60 miliardi attraversano ogni centimetro quadro della superficie terrestre ogni secondo, noi compresi. Il numero di neutrini emessi dalla nostra stella si può calcolare partendo dalla luminosità del Sole, proporzionale all’energia emessa. Il problema è che Homestake ne vedeva solo un terzo rispetto a quelli attesi. Come da prassi di fronte a un risultato inatteso, i fisici iniziarono a dubitare sia della teoria che, ancora di più, dell’esperimento. Negli anni ’90 si vide qualcosa di ugualmente strano anche studiando i neutrini muonici presenti negli sciami dei raggi cosmici, con l’esperimento Kamiokande prima e con la sua versione potenziata, Super-Kamiokande, poi. L’esperimento, tuttora esistente, consiste in un’enorme vasca cilindrica piena d’acqua ultra-pura posta un chilometro sotto terra, in una ex miniera. Per riuscire a distinguere il segnale generato dalle interazioni di neutrino, infatti, bisogna innanzitutto schermarsi dai raggi cosmici, che altrimenti accecherebbero il rivelatore, e le centinaia di metri di roccia servono proprio a fermare quelle particelle indesiderate. All’interno della vasca d’acqua migliaia di occhi, i rivelatori, vedono dei lampi di luce prodotti dalle particelle generate dall’interazione del neutrino. Questi lampi sono diversi a seconda che si tratti della produzione di un elettrone o di un muone e, quindi, permettono di capire se il neutrino era, rispettivamente, di tipo elettronico o muonico. Il rapporto atteso tra i due tipi era stato calcolato con precisione ma, di nuovo, non coincideva col risultato sperimentale. Di fronte ai misteriosi deficit osservati, una spiegazione poteva risiedere in un fenomeno ipotizzato nel 1957 da Bruno Pontecorvo, secondo cui i neutrini, avendo massa (contrariamente a quanto ipotizzato nel modello standard delle particelle elementari), possono trasformarsi da un sapore all’altro. Questo fenomeno prende il nome di “oscillazione”. 

Se gli esperimenti non riuscivano a rivelare tutti i neutrini prodotti dalla sorgente era forse perché alcuni di questi si erano trasformati in un sapore che quei rivelatori non erano in grado di vedere. Nel 1998 Super-Kamiokande riuscì a dimostrare che i neutrini atmosferici oscillavano confrontando il numero di neutrini provenienti dall’alto con quelli provenienti dal basso, i quali, prima di interagire all’interno del rivelatore, avevano attraversato tutta la Terra: una differenza tra i due flussi era infatti attesa dal modello delle oscillazioni. Questo risultato, confermato anche da altri esperimenti tra cui in particolare Macro ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso, è stato successivamente verificato da esperimenti che utilizzavano sorgenti artificiali di neutrini, K2K e Minos. Per quanto riguarda i neutrini solari, la conferma che la spiegazione delle anomalie fosse dovuta al fenomeno delle oscillazioni venne nel 2002 da Sno, esperimento realizzato a Subdury, in Canada. Anche Sno era posto in una miniera, due chilometri sotto la superficie terrestre, e consisteva in una vasca sferica piena d’acqua pesante, cioè acqua le cui molecole sono fatte non da ossigeno e idrogeno ma da ossigeno e deuterio, isotopo dell’idrogeno di massa doppia. L’uso dell’acqua pesante consente di rivelare due tipi di reazioni, di cui una sensibile a tutti i sapori di neutrino, con la quale si può misurarne il flusso totale, e la seconda che consente di misurare il flusso di neutrini elettronici. Confrontando le due misure, divenne chiaro che il flusso complessivo dei neutrini che arrivano sulla Terra era compatibile con le previsioni, ma solo una parte di questi erano neutrini elettronici. Da questa osservazione, si è potuto finalmente dedurre che due neutrini elettronici solari su tre cambiano il loro sapore in muonico o tauonico durante il tragitto dal centro del Sole al rivelatore, validando così anche il modello teorico del Sole.

 
b.
Bruno Pontecorvo all’inizio degli anni ’60.
 
Finalmente il fenomeno delle oscillazioni di neutrino veniva accettato dalla comunità scientifica. Rimaneva da capire, però, in che cosa si trasformassero i neutrini dopo l’oscillazione. Super-Kamiokande, infatti, aveva dimostrato che i neutrini muonici oscillavano in qualcosa che non era un neutrino elettronico. Si trasformavano quindi in neutrini tauonici, che nessuno degli esperimenti era in grado di rivelare, o in qualche nuova forma di neutrino, come i neutrini sterili (vd. Gli indifferenti, ndr). Per rispondere a questo quesito era stato progettato l’esperimento Opera presso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso. Questa volta ci si sarebbe basati su un fascio di neutrini artificiale, in modo da conoscerne esattamente la composizione. Il fascio, generato da un acceleratore del Cern di Ginevra, era composto da neutrini muonici e percorreva sottoterra 730 km prima di incontrare sul suo percorso un muro di oltre 1200 tonnellate di piombo. Opera si potrebbe definire la più grande macchina fotografica mai costruita. Per rivelare i prodotti dei neutrini usava, infatti, 9 milioni di speciali lastre fotografiche chiamate “emulsioni nucleari”. Quando le particelle cariche (come quelle prodotte dall’interazione di neutrino) attraversano queste lastre, lasciano una flebile traccia dietro di loro, che viene poi amplificata dal processo chimico dello sviluppo, molto simile a quello delle fotografie. Grazie ad appositi microscopi ottici, queste tracce vengono digitalizzate ed è possibile ottenere una ricostruzione tridimensionale di cosa è successo. Questo lungo processo, che dovete immaginare ripetuto per migliaia e migliaia di lastre, consente di ottenere la risoluzione più alta che un rivelatore di particelle possa raggiungere: meno di un millesimo di millimetro. Solo con una precisione così elevata, infatti, si può distinguere la particella tau, o tauone, che viene creata quando a interagire è il neutrino tauonico, quello che gli altri esperimenti non erano in grado di osservare (vd. fig. c). Nell’estate 2015 la collaborazione Opera ha annunciato di aver osservato 5 neutrini tau (diventati poi 10, analizzando ulteriormente i dati, nel 2018), confermando così la trasformazione dei neutrini muonici in neutrini tauonici. Subito dopo questo risultato, Takaaki Kajita e Arthur McDonald, rispettivamente responsabili degli esperimenti Super-Kamiokande e Sno, hanno ricevuto il Premio Nobel per la Fisica 2015 per “la scoperta delle oscillazioni del neutrino, che dimostra che il neutrino ha massa”. Ma le sfide non sono finite: questo risultato è solo il punto di partenza per nuove ricerche che avranno un grande impatto sulla cosmologia, l’astrofisica e la fisica delle particelle.
 
c.
La prima interazione di neutrino tau trovata, nel 2010, dall’esperimento Opera. Il neutrino tau è identificato dalla produzione del leptone tau (rosso), che a sua volta decade in un mesone rho (celeste).
 
[as] approfondimento
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L’oscillazione dei neutrini solari, dalla loro origine fino alla Terra. Un neutrino elettronico prodotto nel Sole può essere rivelato come neutrino muonico sulla Terra. 1.
L’oscillazione dei neutrini solari, dalla loro origine fino alla Terra. Un neutrino elettronico prodotto nel Sole può essere rivelato come neutrino muonico sulla Terra.

Che cosa significa oscillazione dei neutrini? Per capire questo fenomeno bisogna fare un tuffo nella meccanica quantistica, dove ogni particella può essere descritta da una funzione d’onda. Nel caso dei neutrini, dalla somma di tre funzioni che rappresentano tre onde con frequenze diverse. Per semplicità, consideriamone solo due: nessuna delle due rappresenta di per sé un sapore di neutrino; questo si determina, invece, dalla loro combinazione. Se, per esempio, le due onde si trovano sovrapposte potremmo avere il neutrino elettronico, mentre se si trovano perfettamente fuori fase quello muonico (vd. fig. 1). Per rappresentare visivamente l’oscillazione possiamo fare ondeggiare due pendoli con lunghezze diverse. I pendoli oscilleranno in modo differente, in alcuni istanti si troveranno contemporaneamente a una estremità dell’oscillazione e in altri saranno all’estremità opposta. Questi istanti si alterneranno ripetutamente, proprio come accade ai neutrini che cambiano continuamente sapore lungo il loro percorso. [Giuliana Galati]

 

Biografia
Giuliana Galati, è assegnista di ricerca presso la sezione di Napoli dell’Infn, dove si occupa di ricerca sperimentale nel campo della fisica particellare e astroparticellare. Dal 2012 è autrice e speaker per Scientificast, è componente del comitato scientifico di Asimmetrie ed è tra i divulgatori del programma Superquark+, disponibile su RaiPlay.


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DOI: 10.23801/asimmetrie.2020.29.3
 

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