Paso doble
Il moto di due corpi in relatività generale

di Alessandro Nagar

Thibault Damour a.
Thibault Damour nel suo studio a Parigi.

Era quasi sera, quel 10 febbraio 2016, quando Thibault Damour, professore di fisica teorica presso l’Institut des Hautes Études Scientifiques nei pressi di Parigi, mi convocò fin davanti al suo computer, in un angolo del grande studio stipato fino al soffitto di libri e manoscritti. Ulysses, il cane, silente testimone di tante discussioni scientifiche, come al solito sonnecchiava sul pavimento. Sullo schermo del computer era visibile una mail, contenente solo due numeri: 29 e 36. Masse solari, pensai! Per dieci anni con Damour avevamo sviluppato gli strumenti teorici necessari per rivelare e analizzare le onde gravitazionali emesse dalla fusione di due buchi neri, ma eravamo rimasti all’oscuro degli eventi frenetici dei quattro mesi precedenti. Il giorno dopo, l’11 febbraio 2016, quando la collaborazione Ligo-Virgo annunciò al mondo la scoperta della prima onda gravitazionale (GW150914), interpretata come coalescenza di due buchi neri di 29 e 36 masse solari, contemplammo il segnale, mostrato in diretta streaming mondiale, con una stupefatta gratitudine verso la Natura.
Quel segnale di 20 millesimi di secondo, in cui tre masse solari vengono radiate sotto forma di energia gravitazionale, era in eccellente accordo con la teoria della relatività generale di Albert Einstein. Anzi, in realtà era stata proprio la conoscenza teorica della forma d’onda che aveva permesso agli scienziati di Ligo e Virgo di concludere che GW150914 era una vera coalescenza e di misurarne le masse.
L’evoluzione di un sistema di due buchi neri consta di tre fasi: la prima è il cosiddetto “inspiral”, in cui due oggetti si muovono a spirale l’uno attorno all’altro, all’inizio piano, poi sempre più velocemente, fino a entrare nella seconda, rapida fase in cui accelerano moltissimo fino a fondersi, muovendosi a circa metà della velocità della luce, in un unico buco nero che oscilla in maniera caratteristica (la terza fase, il cosiddetto “ringdown”).

 
onde gravitazionali da sorgenti lontane b.
Due esempi di forme d’onda gravitazionale da sorgenti lontane: a sinistra il caso di un’orbita circolare, a destra di un’orbita eccentrica. La figura mostra l’andamento nel tempo della variazione relativa di lunghezza (strain) dovuta al passaggio dell’onda. Lo strain è estremamente piccolo: i numeri sono da intendersi moltiplicati per 10-21. I riquadri si riferiscono alla prima fase (inspiral), i tondi mostrano le fasi finali (la coalescenza, seguita dal ringdown), simili nei due casi.
 

La forma d’onda è tipica (vd. fig. b): incomincia con un’oscillazione quasi costante, come un’unica nota, la cui frequenza però aumenta progressivamente fino a raggiungere un nuovo valore costante, maggiore, che corrisponde alla nota tipica del buco nero finale. L’ampiezza, crescente, è massima alla coalescenza, per poi decrescere fino a zero durante il ringdown. Tutti i buchi neri binari, sufficientemente antichi da avere un’orbita quasi circolare, concludono la loro esistenza in questo modo, ma i dettagli dell’onda cambiano a seconda del loro rapporto di massa (mentre non dipendono dalla massa totale del sistema) o del loro livello di rotazione su sé stessi. Ognuna di queste caratteristiche fisiche modula in maniera caratteristica l’onda: la sfida è riuscire a misurare correttamente queste proprietà in un segnale che è molto breve e molto piccolo. Per farlo, bisogna calcolare in anticipo la forma d’onda emessa da tutte le configurazioni possibili. Ognuna di queste onde viene poi confrontata con i dati sperimentali fino a trovare quella più probabile. Questo è un compito titanico, perché servono almeno 10 milioni di forme d’onda per analizzare un segnale come GW150914. È necessario dunque che l’onda sia generata velocemente, in tempi dell’ordine di 0,05 secondi e che il calcolo teorico fornisca un’approssimazione fedele della realtà. Se così non fosse, le stime dei parametri orbitali potrebbero essere errate. O, peggio, un segnale astrofisico potrebbe essere confuso con il “rumore” dell’apparato sperimentale. La soluzione del problema è nascosta nelle equazioni della relatività generale che descrivono il campo gravitazionale. Ma sono equazioni molto complesse, la cui soluzione più completa è accessibile solo tramite simulazioni numeriche su supercomputer (di cui si occupa la “relatività numerica”). Solo nel 2005 Frans Pretorius riuscì, per primo, a simulare correttamente la fusione di due buchi neri, dopo 40 anni di sviluppi teorici e tecnologici. E ancora oggi, simulare una singola onda gravitazionale richiede settimane o mesi di calcolo. Il moto di due corpi in relatività generale, come due stelle o buchi neri, può anche essere risolto analiticamente, cioè con delle formule scrivibili su un pezzo di carta. Un metodo molto efficiente. Purtroppo, le nostre tecniche matematiche, pur sofisticate, sono approssimate: ci permettono di calcolare queste soluzioni solo quando la velocità relativa dei corpi è molto inferiore alla velocità della luce (come nel caso della teoria post-newtoniana), oppure quando uno dei due buchi neri è molto più piccolo dell’altro (come nel caso della teoria perturbativa dell’auto-interazione gravitazionale, in inglese “self force”). Sono quindi inadatte a descrivere il sistema fino alla coalescenza, quando gli oggetti ruotano prossimi alla velocità della luce e quando le loro masse sono simili. Ma se si riuscisse a coniugare l’efficienza dei metodi analitici con la completezza delle simulazioni numeriche, il problema sarebbe probabilmente quasi risolto. Nel 1998, Thibault Damour e Alessandra Buonanno crearono un nuovo formalismo matematico in grado di trasformare il problema del moto di due corpi con masse paragonabili in un problema efficace, in cui una particella puntiforme orbita attorno a un unico corpo fittizio (analogamente all’approccio seguito nella gravità newtoniana). Il moto dei due corpi si rappresenta come una deformazione del moto di una particella puntiforme attorno a un buco nero, un problema, questo, che è risolto in relatività generale. Questo metodo, denominato effective one body (Eob), porta innumerevoli vantaggi: riesce a essere correttamente predittivo fino alla coalescenza; è analitico, quindi efficiente; è flessibile perché può essere completato e migliorato grazie a un numero limitato di simulazioni numeriche; permette di coprire configurazioni della binaria ancora non raggiunte dalle simulazioni; può incorporare effetti di marea gravitazionale, che accelerano il moto orbitale, e quindi permette di descrivere anche binarie di stelle di neutroni fino alla coalescenza, come quella osservata il 17 agosto 2017. Metodi effective one body sono alla base della maggior parte dei modelli d’onda usati per l’analisi dati. Sviluppi recenti riguardano il caso di inspiral e coalescenze lungo orbite ellittiche, invece che quasi-circolari, e la cattura gravitazionale dinamica, in cui i due buchi neri si fondono direttamente, senza una precedente fase orbitale quasi-stabile. Ci si aspetta che questo tipo di sorgenti siano osservabili dai rivelatori futuri, come l’Einstein Telescope o Lisa. Per queste configurazioni, ben poche simulazioni numeriche sono al momento disponibili: una sfida aperta per il futuro.

 
tecniche di soluzione delle equazioni di Einsteinb.
Ambiti di validità per le diverse tecniche di soluzione delle equazioni di Einstein nel caso del problema dell’interazione tra due corpi. Sull’asse verticale è riportata la distanza tra i due corpi in unità del raggio di Schwarzschild RS di un buco nero di massa pari alla somma delle due masse.
 

Biografia
Alessandro Nagar, è ricercatore presso la sezione Infn di Torino. Con il suo gruppo di ricerca, si occupa del problema dei due corpi in relatività generale, all’interfaccia tra approcci analitici, simulazioni numeriche e analisi dati. Dal 2005, collabora con T. Damour su questi argomenti. È membro della collaborazione Virgo.


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DOI: 10.23801/asimmetrie.2021.30.2
 

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