Bolle di spazio
La gravità quantistica a loop
di Francesca Vidotto
La gravità quantistica a loop descrive il modo in cui i quanti di spazio interagiscono tra loro. Le relazioni tra i quanti sono rappresentate da grafi chiamati “reti di spin”. I quanti non sono localizzati nello spazio, ma sono essi stessi lo spazio: sono le loro interazioni a determinare quanto ognuno di essi è vicino a un altro, senza dover fare riferimento a uno spazio esterno.
Un secolo fa, la relatività generale ha cambiato il nostro modo di pensare alla forza di gravità. Al cuore della scoperta di Einstein c’è il concetto che lo spaziotempo è il campo gravitazionale. Ma la natura quantistica dei campi ha immediatamente posto il problema di come descrivere le proprietà quantistiche del campo gravitazionale. Il problema, già delineato negli anni ’30 da scienziati come lo stesso Einstein e il russo Matvei Petrovich Bronstein, ha trovato la sua prima formulazione moderna nei lavori di John Wheeler e Bryce de Witt alla fine degli anni ’60. La gravità quantistica a loop continua oggi questa direzione di ricerca. Nata alla fine degli anni ’80, a partire dai lavori di Abahay Ashtekar, Lee Smolin e Carlo Rovelli, oggi continua a maturare fornendoci uno scenario coerente su come trattare matematicamente lo spaziotempo quantistico. Si tratta di una teoria compatibile con la nostra conoscenza attuale delle particelle elementari e delle altre forze, ma a differenza della teoria delle stringhe non è una teoria unificata, cioè non pretende di essere la “teoria del tutto” o la teoria finale della fisica. Nella gravità quantistica a loop lo spazio è descritto da stati quantistici chiamati “reti di spin” (in inglese spin network), i cui nodi corrispondono ai quanti elementari dello spazio, mentre le linee rappresentano la sua struttura generale (vd. fig. a). In questa teoria, lo spazio non è più continuo ma granulare, è formato, cioè, da quanti elementari di spazio di dimensione piccola ma finita. Questo è analogo a quello che succede nella teoria dell’elettromagnetismo con i fotoni: la luce, infatti, è formata da fotoni e il campo elettromagnetico continuo è un’approssimazione degli insiemi di fotoni. Allo stesso modo, lo spaziotempo continuo della relatività generale è un’approssimazione delle reti di quanti di spazio. Ma mentre i fotoni sono particelle che si muovono nello spazio, i quanti di spazio sono essi stessi la grana fine che forma lo spazio fisico. Inoltre, le grandezze associate ai quanti elementari di spazio, cioè per esempio il loro volume e l’area della loro superficie, sono “quantizzate”, cioè non possono essere arbitrariamente piccole e possono assumere solo valori particolari, come accade per l’energia degli atomi o per il momento angolare. Questa discretizzazione è una manifestazione tipica della meccanica quantistica. Il nome “reti di spin” deriva dal fatto che i possibili valori che la quantità osservabile “area” può assumere sono analoghi a quelli del momento angolare della meccanica quantistica elementare, chiamati spin.
La collaborazione e l’amicizia di due scienziati, Carlo Rovelli (a sinistra) e Lee Smolin (a destra), sono state il motore per lo sviluppo della gravità quantistica a loop. Qui sono ritratti in Messico nel 2007, durante Loops’07, una delle conferenze internazionali biennali della comunità che lavora su questa teoria. Le conferenze di questa serie riuniscono ogni due anni centinaia di scienziati da tutto il mondo.
Questa quantizzazione dello spazio implica che la gravità quantistica a loop sia radicalmente diversa dalle teorie di campo tradizionali come l’elettromagnetismo, dove le variabili di campo dipendono dalla posizione in uno spazio continuo. Lo spazio continuo non esiste in natura, esiste solo come approssimazione matematica. La matematica della gravità quantistica a loop somiglia piuttosto alla formulazione delle teorie su reticolo introdotte nei primi anni ’70 da Kenneth Wilson nell’ambito della formulazione quantistica delle interazioni forti (la cromodinamica quantistica) (vd. Particelle a colori, ndr). Ma è proprio la discretizzazione dello spazio, presente nella gravità quantistica a loop, la chiave di volta per andare oltre un ostacolo che aveva reso vani i tentativi precedenti di quantizzare la gravità: l’ostacolo delle “divergenze ultraviolette”. Si tratta di quantità infinite che appaiono con i metodi tradizionali delle teorie di campo: nella gravità quantistica a loop, invece, abbiamo solo quantità finite. Questo permette di studiare le equazioni che regolano lo spaziotempo al di là delle approssimazioni alla portata dei metodi di calcolo tradizionali (detti "perturbativi"), aprendo alla possibilità di studiare nuovi fenomeni. La scomparsa dello spazio assoluto che contiene la materia, sostituito da quanti del campo gravitazionale, è un’eredità della relatività generale, dove lo spaziotempo è esso stesso un campo dinamico, e i campi non sono localizzati nello spazio ma solo l’uno rispetto all’altro. Allo stesso modo, la gravità quantistica a loop eredita dalla relatività generale la nozione “relazionale” di tempo. La teoria, cioè, non descrive come le variabili fisiche evolvono “nel tempo”, ma solo come evolvono “le une rispetto alle altre”.
Nella gravità quantistica a loop non ci sono gli infiniti (le singolarità) della relatività generale, quali il Big Bang o il centro di un buco nero. La discretizzazione quantistica previene la loro comparsa. Quando la materia collassa, raggiunge uno stato di densità molto alta ma non infinita. Raggiunto questo massimo, si produce una specie di rimbalzo per cui si avvia il processo contrario e la materia comincia a espandersi. Questo processo implica che il collasso che porta alla formazione di un buco nero sia seguito da una fase di espansione nota come buco bianco. Allo stesso modo, il Big Bang sarebbe quindi in realtà un Big Bounce: il nostro universo che si espande verrebbe da una fase precedente di contrazione.
La matematica delle reti di spin è stata introdotta negli anni ’70 da Roger Penrose, che nel 2020 ha ottenuto il premio Nobel per i suoi contributi alla relatività generale. Alla fine degli anni ’80, Ted Jacobson, Lee Smolin e Carlo Rovelli, usando una tecnica introdotta da Wilson chiamata “Wilson loops”, sono riusciti per la prima volta a risolvere l’equazione principale del campo quantistico gravitazionale, l’equazione di Wheeler-de Witt. A metà degli anni ’90, usando le reti di spin di Penrose, Smolin e Rovelli sono riusciti a calcolare i valori discreti che possono assumere l’area e il volume. Questo risultato rappresenta il cuore della teoria ed è il punto di partenza per i successivi sviluppi della teoria della gravità quantistica a loop.
Negli anni duemila, dopo vent’anni di lavoro, una collaborazione internazionale guidata da Rovelli ha sviluppato le equazioni di evoluzione che definiscono la probabilità che una rete di spin possa evolvere in un’altra.
Le conseguenze principali della teoria della gravità quantistica a loop riguardano i due fenomeni per i quali supponiamo che gli aspetti quantistici della gravità non possano essere trascurati: l’universo primordiale e la comprensione dei buchi neri. Per quanto riguarda l’universo primordiale ne consegue la possibilità che il Big Bang sia stato solo una transizione da una precedente fase di contrazione dell’universo. Un’intensa attività di ricerca è in corso per studiare le possibili tracce che questo cosiddetto “Big Bounce” (“grande rimbalzo”) può avere lasciato nella radiazione cosmica di fondo (vd. Il tempo prima del tempo, ndr).
Nel caso dei buchi neri, la teoria indica che il collasso che porta alla formazione del buco nero prosegue al suo interno, fino a un massimo della densità di energia e a un massimo della corrispondente curvatura dello spaziotempo. Il raggiungimento di questo massimo porta anche in questo caso a un rimbalzo, in una fase di espansione che è descritta in relatività generale come “buco bianco”. I buchi bianchi sono una possibilità prevista dalla relatività generale, ma non ne abbiamo alcuna osservazione ad oggi. Potremmo però in futuro avere indicazioni della loro esistenza, poiché le transizioni da buco nero a buco bianco potrebbero produrre raggi cosmici di alta energia potenzialmente osservabili e i residui di queste transizioni potrebbero essere una componente della materia oscura. Ad oggi, non ci sono osservazioni astrofisiche che supportino direttamente la gravità quantistica a loop, ma allo stesso tempo nessuna è in conflitto con essa. Si tratta di una teoria costruita sulla base della relatività generale, rispettandone le proprietà e le simmetrie. La teoria è naturalmente compatibile con l’esistenza di una costante cosmologica positiva, cioè con l’espansione accelerata dell’universo, e con la teoria standard delle particelle elementari. A differenza di altre teorie, non richiede l’esistenza di extra-dimensioni o di particelle supersimmetriche, per le quali finora non ci sono riscontri. Una teoria della gravità quantistica diventerà credibile solo quando avremo conferme sperimentali delle sue previsioni. Dunque, la teoria della gravità quantistica a loop è da considerarsi per ora solo ipotetica, ma è una possibile soluzione per la comprensione delle proprietà quantistiche dello spazio e del tempo. Ed è una prova concreta del fatto che mettere coerentemente insieme meccanica quantistica e relatività generale è possibile.
Biografia
Francesca Vidotto è professoressa alla Western University in Canada. Il suo lavoro spazia dagli aspetti concettuali della gravità quantistica, alle sue applicazioni in cosmologia e per i buchi neri. Nel 2014 ha pubblicato con Carlo Rovelli il libro di testo “Covariant Loop Quantum Gravity”.
Link
https://youtu.be/x9jYH5VIF9E
https://youtu.be/MgwJmWXoWWI
https://youtu.be/dW7J49UTns8