[as] riflessi
Cuore di piombo.
di Francesca Mazzotta
[as]: Perché per voi fisici questo carico era così interessante?
[Ettore]: Per noi il piombo romano o, più in generale, il piombo antico è un materiale estremamente prezioso. Per osservare eventi rarissimi, come quelli a cui diamo la caccia, non solo dobbiamo costruire i nostri esperimenti sottoterra per riuscire a bloccare i raggi cosmici, ma anche ridurre al minimo tutta la radioattività naturale. Nei Laboratori del Gran Sasso, ad esempio, arrivano pochissimi raggi cosmici ma le rocce sono radioattive, noi siamo radioattivi, tutto è radioattivo. Quindi dobbiamo schermare i nostri esperimenti dalla radioattività naturale presente nell’ambiente e realizzare uno schermo estremamente radiopuro. Il piombo è un ottimo elemento per schermare gli esperimenti per tanti motivi: è molto denso, ha un peso atomico molto elevato, quindi ferma i raggi X e gamma, ha proprietà meccaniche discrete, così si può modellare facilmente, e non costa molto. Però, c’è un problema. Il piombo ha vari isotopi, di cui tre sono stabili (non radioattivi), ma, se è recente, contiene anche tracce di un isotopo instabile e radioattivo: il piombo 210. Quindi, il piombo recente non può essere usato come schermo per i nostri esperimenti. Ma c’è una buona notizia: il piombo 210 ha una vita di dimezzamento di 22 anni, ovvero ogni 22 anni si riduce a metà. Di conseguenza, il piombo di epoca romana, o comunque antica, non contiene questo isotopo radioattivo.
[as]: Quindi avete cercato di ottenere parte del carico di piombo romano rinvenuto?
[Ettore]: Certamente. È stato molto difficile ma alla fine siamo riusciti a trovare un accordo con la Sovrintendenza Archeologica di Cagliari, con il parere favorevole della Direzione Generale alle Antichità: l’Infn ha finanziato lo scavo del relitto e del suo carico e sono così stati riportati in superficie 1000 lingotti (la restante metà era sommersa sotto la sabbia), di cui 300 sono stati concessi all’Infn a patto che ne tenesse solo la parte “brutta”. Sulla superficie dei lingotti c’erano, infatti, bellissime iscrizioni e decorazioni, che riportavano titoli di famiglia, disegni e addirittura messaggi pubblicitari come “Emptor salve”, ovvero “Salve, compratore”. Questi lingotti, da cui sono state asportate le iscrizioni per preservarle, costituiscono la schermatura dell’esperimento Cuore, ma sono anche stati impiegati per schermare due esperimenti precedenti che studiavano sempre il decadimento beta, Mibeta, Cuoricino e Cuore. A seguito di questi esperimenti si b. Iscrizione di uno dei lingotti di piombo ritrovato a bordo della nave romana al largo di Oristano. è giunti già da più di due anni, sotto la direzione di Oliviero Cremonesi, al rivelatore finale Cuore, costituito da quasi mille rivelatori come quelli di Cuore0 e schermato con quattro tonnellate di piombo romano.
[as]: La storia, però, non finisce qui. Non è stata solo l’archeologia ad aiutare la fisica, ma è successo anche il contrario.
[Ettore]: Sì, esattamente. Abbiamo studiato le iscrizioni per cercare di conoscerne l’origine, che era dibattuta. Molti archeologi pensavano, infatti, che il piombo ritrovato venisse dalla Sardegna, dato che era stato ritrovato a un miglio e mezzo dalla costa sarda, ma la mia amica archeologa Donatella Salvi, che mi ha supportato durante tutta questa operazione, era di un’altra opinione. La Sardegna è sì un noto produttore di piombo, ma è anche molto vicina a Roma e i romani non volevano sfruttare in tempi di pace le miniere vicino a Roma. Preferivano avere delle miniere piene vicine, per riuscire a recuperare il piombo in caso di attacco da parte dei barbari. Quindi c’era l’ipotesi che questo piombo potesse venire da Inghilterra, Bretagna o Spagna, e non dalla Sardegna. Abbiamo allora misurato con altri gruppi i rapporti isotopici in questi lingotti e siamo riusciti a risalire alla loro provenienza. Abbiamo scoperto che venivano dalla Spagna e siamo riusciti a risalire all’esatta origine: una miniera romana a Sierra de Cartagena. Un gran bel risultato, ma anche un ottimo esempio di collaborazione interdisciplinare tra campi di studi all’apparenza lontani come la fisica e l’archeologia.
Iscrizione di uno dei lingotti di piombo ritrovato a bordo della nave romana al largo di Oristano.
Oltre a fare riferimento alla scarsa rilevanza attribuita al ruolo di promotrici del progresso scientifico svolto dalle donne, il titolo dell’opera allude a un significato più profondo, vero filo conduttore dell’intero racconto proposto, ovvero la presenza di una forza aggiuntiva oltre alle quattro forze della Natura descritte dalla fisica, quella femminile: una forza altrettanto fondamentale, che ha origine dal talento, dalla determinazione e dall’amore per la conoscenza, ma che resta nascosta a causa di una rappresentazione prettamente maschile della storia. Rivolto a un pubblico eterogeneo, lo spettacolo sfrutta la commistione tra linguaggi narrativi diversi, quali la prosa, il canto e le immagini, per offrire una visuale sulla fisica del Novecento attraverso i fondamentali risultati ottenuti da Marietta Blau, Chien-Shiung Wu, Milla Baldo Ceolin e Vera Cooper Rubin, come l’utilizzo delle emulsioni fotografiche nella rivelazione delle particelle prodotte nelle interazioni nucleari da parte di Marietta Blau, la conferma sperimentale della rottura della simmetria di parità nei decadimenti elettettrodeboli ottenuta da Madame Wu, le scoperte riguardanti neutrini e mesoni effettuate da Milla Baldo Ceolin e l’associazione tra l’osservazione dell’anomalia di rotazione delle stelle intorno al centro galattico e la presenza di materia oscura a opera di Vera Rubin. Un affresco che non manca ovviamente di sottolineare le affinità intellettuali tra queste grandi donne di scienza e i pregiudizi contro cui hanno dovuto combattere nel corso delle loro vite. “L’idea di produrre un’opera teatrale in grado di coniugare scienza e arte, con una narrazione vicina a un vasto pubblico che portasse l’attenzione sulla questione del genere nel mondo accademico contemporaneo, ha sobbollito per un paio d’anni presso la sezione Infn e il Dipartimento di Fisica di Torino, all’interno di un gruppo di donne con diverse provenienze professionali, ma una comune attenzione per il ruolo femminile nella società”, spiega Anna Ceresole, ricercatrice Infn e ideatrice de “La forza nascosta”, insieme alle colleghe Nadia Pastrone, Nora De Marco, Simonetta Marcello e alle coideatrici Rita Spada ed Emiliana Losma, affiancate dall’attrice e autrice Elena Ruzza, dalla regista Gabriella Bordin e dalla soprano Fé Avouglan. “Il progetto, che speriamo possa essere in futuro presentato anche nelle scuole e nelle università, si propone di accrescere la consapevolezza, sia del grande pubblico che della comunità scientifica, del ruolo decisivo che molte donne hanno avuto e continuano ad avere nell’avanzamento della fisica. Queste donne, con il loro lavoro di ricerca, hanno contribuito a cambiare la storia scientifica, politica e sociale e possono essere di ispirazione alle giovani generazioni”.