L’universo dall’H all’Og
La fisica dietro la tavola periodica

di Barbara Sciascia

“E ne mancano almeno tre che mi auguro verranno scoperti a breve”. Non lo sappiamo, ma potrebbero essere state queste le parole conclusive di Dmitrij Ivanovic Mendeleev, quando presentò alla Società Chimica Russa la relazione “L’interdipendenza fra le proprietà dei pesi atomici degli elementi”. Era il 6 marzo 1869. Da allora esiste la tavola periodica degli elementi, una sorta di catalogo di tutto ciò che ci potrà capitare tra le mani. E anche se non contiene cose come la luce, il tempo o la logica, è sicuramente una delle più grandi sintesi fatte dall’umanità nella comprensione dell’universo in cui viviamo. La tavola (vd. fig. a) conteneva le 63 sostanze note all’epoca (rispetto alle 118 note oggi, vd. [as] Tavola periodica degli elementi) e i tre elementi citati sopra erano lo scandio, il gallio e il germanio (scoperti poi tra il 1875 e il 1886), chiamati temporaneamente eka-boro, eka-alluminio ed eka-silicio (dove eka- indicava che l’elemento avrebbe dovuto occupare nella tavola il posto libero accanto a quello già noto). Pare che Mendeleev avesse preparato per ciascun elemento noto una carta con la descrizione delle proprietà chimico-fisiche. Ordinando le carte per peso atomico crescente, si accorse di alcune regolarità e organizzò gli elementi in una tabella, in modo che quelli sulla stessa riga o colonna avessero caratteristiche in comune. Era così certo della bontà dello schema trovato da considerarlo predittivo, tanto da poter af fermare, come detto, che sarebbe stato solo questione di tempo trovare gli elementi adatti a riempire i “buchi” rimasti qua e là. È difficile sovrastimare la portata intellettuale di questa convinzione, che ha radici profonde nella potenza del metodo scientifico e che la scienza ha poi usato sistematicamente, come per esempio un secolo dopo nell’organizzare le decine di particelle che venivano via via create negli acceleratori: l’individuazione delle regolarità e ripetizioni portò alla classificazione degli adroni e quindi alla formulazione del modello standard delle particelle, sintetizzato dalla nota tabella con tre famiglie di quark e leptoni e quattro bosoni (vd. in Ai confini della realtà fig. b, ndr). Dall’idea iniziale di Mendeleev molti contribuirono alla comprensione della tavola e un ruolo particolarmente importante lo ebbe Henry Moseley. Nel 1913 egli scoprì che la frequenza della radiazione X emessa da molti metalli era proporzionale al quadrato del numero d’ordine dell’elemento che tale radiazione emetteva. Questa sequenza semi-arbitraria era basata sul valore delle masse atomiche, non associata a quantità fisiche misurabili. Anzi, lo stesso ordinamento per massa era talvolta alterato, come per il nichel e il cobalto,

a.
Appunti di Mendeleev per la stesura della tavola periodica pubblicata nel 1869.

 

facendo prevalere l’ordinamento secondo le proprietà chimico-fisiche. La scoperta di Moseley portò ad associare questo numero al numero di cariche positive contenute nel nucleo e quindi di elettroni dell’atomo, fornendo così una base fisica all’esistenza della tavola. Come Mendeleev, anche Moseley era così certo del modello ideato da predire l’esistenza di elementi ancora non noti, inclusa l’intera serie dei lantanidi.
La legge di Moseley era solo una delle leggi empiriche che descrivevano gli spettri emessi dagli elementi in opportune condizioni. Uno “spettro atomico” è spesso inteso come una serie di righe colorate, caratteristiche di ogni elemento chimico, che si ottengono facendo passare attraverso un prisma ottico la luce emessa dall’elemento, per esempio dopo averlo riscaldato. Agli inizi del secolo scorso, l’intensa campagna di misure sempre più dettagliate degli spettri, in particolare dell’idrogeno (vd. Spettri, ndr), portò a capirne l’origine e all’affermarsi della meccanica quantistica. Nel modello atomico planetario preso in prestito a inizio secolo dall’astronomia, con la maggior parte della massa dell’atomo concentrata al centro a mo’ di stella e gli elettroni vincolati a seguire solo determinate “orbite”, gli spettri erano la radiazione emessa o assorbita dagli elettroni nel passare dall’una all’altra e le lunghezze d’onda o colori osservati erano fissati dalla differenza in energia tra le orbite stesse. Il problema di questo modello era che gli atomi… non sarebbero dovuti esistere! Secondo l’elettromagnetismo classico, infatti, l’elettrone nel moto di rotazione intorno al nucleo avrebbe irraggiato energia spiraleggiando fino a cadervi, rendendo impossibile l’esistenza anche del semplice atomo di idrogeno. In generale, i modelli teorici e le evidenze sperimentali imposero agli scienziati dell’epoca una rivoluzione culturale, resa più ardua dal linguaggio scientifico sviluppato nei secoli per descrivere fenomeni macroscopici e accessibili ai sensi, che mal si adattava alle nuove scoperte.
Per esempio, il concetto di orbita o traiettoria perde senso alla scala di energie e distanze in cui si manifesta la meccanica quantistica. Qui vige il principio di indeterminazione di Heisenberg, che implica tra l’altro che tanto più è nota la posizione di una particella, tanto meno si potranno avere informazioni sulla sua velocità, impedendo di fatto di conoscerne la traiettoria. In realtà la meccanica quantistica forza ancora di più la mano. Pur se spesso disegnati con una linea, gli “orbitali atomici” non sono traiettorie, ma piuttosto regioni dello spazio in cui un elettrone “è distribuito”, “sta”. Questa natura stazionaria degli orbitali, un po’ come le oscillazioni delle corde di una chitarra che non si propagano, risolve anche il problema dell’irraggiamento con conseguente caduta sul nucleo.

 
b.
L’ideatore della tavola periodica degli elementi, Dmitrij Ivanovic Mendeleev.
 
Definiti matematicamente per la prima volta da Erwin Schrödinger nel 1927, ai diversi tipi di orbitali sono associate specifiche forme tridimensionali, che corrispondono alle zone in cui è più probabile trovare l’elettrone qualora se ne misurasse la posizione. Classicamente non possiamo fare a meno di immaginare gli elettroni come oggetti, “palline”, caratterizzati da posizione e velocità, ma ciò dipende solo dalla nostra - comprensibile - difficoltà a visualizzare, in termini di distribuzioni di probabilità, le funzioni d’onda, che sono invece alla base della teoria della misura in meccanica quantistica (vd. Grovigli quantistici, ndr). Secondo i livelli di energia dell’elettrone, possono essere immaginate una o più distribuzioni di probabilità che assumono forme diverse, indicate convenzionalmente con l, che può assumere solo valori interi a partire da 0. Ciascuna di queste assume distribuzioni nello spazio caratterizzate da orientamenti diversi, da uno per l=0 a sette per l=3, indicati convenzionalmente con m. Il modo in cui gli elettroni “occupano” queste forme, gli orbitali elettronici, è una diretta conseguenza di un altro principio della meccanica quantistica, il principio di Pauli, secondo cui all’interno di ciascun atomo non possono esistere due elettroni con gli stessi numeri quantici. Ciascun orbitale è individuato in modo univoco da tre numeri quantici, n, che indica il livello energetico principale visualizzabile anche come la distanza dal nucleo, e poi l e m definiti sopra. Il singolo elettrone è poi caratterizzato dal numero quantico di spin, che può assumere solo due valori, e quindi per ogni orbitale ci saranno al più due elettroni. La distribuzione spaziale degli elettroni, in particolare di quelli più esterni, determina le proprietà chimiche degli atomi, il modo in cui interagiscono e si combinano tra loro, per esempio formando molecole o cristalli. Se gli elettroni non fossero appartenuti alla famiglia dei fermioni, composta dalle particelle che ubbidiscono al principio di Pauli, e fossero stati invece bosoni, avrebbero potuto accumularsi tutti in prossimità del nucleo e il mondo intorno a noi sarebbe stato molto diverso, sicuramente più uniforme e monotono.
Le ripetizioni e le regolarità trovate e ordinate da Mendeleev erano una prima classificazione del modo in cui sono riempiti gli orbitali di ciascun elemento. Oggi è noto che l’atomo ha un nucleo composto da un definito numero Z di protoni, il “numero atomico” (indicato di solito in basso a sinistra del simbolo dell’elemento chimico), e da un numero opportuno N di neutroni. Il numero totale di protoni e neutroni, indicato con A, è chiamato “numero di massa” (indicato in alto a sinistra dell’elemento); atomi di uno stesso elemento con un diverso numero di neutroni sono chiamati “isotopi”. Intorno al nucleo si trovano esattamente Z elettroni in modo che l’atomo sia nel complesso neutro. La tavola periodica inizia in alto a sinistra con l’idrogeno: un protone e un elettrone. All’estremo opposto, in basso a destra, c’è l’oganesson, l’atomo più complesso esistente, caratterizzato da 118 protoni ed elettroni.
c.
Rappresentazione spaziale degli orbitali atomici per valori di l da 0 (la sfera in alto) a 3 (le 7 configurazioni in basso). Ad ogni valore di l è associata una lettera (s,p,d,f). I valori di m che vanno da -l a +l sono indicati con un numero in pedice.
 
Comprendere come la differenza numerica tra 1 e 118 possa produrre la spettacolare varietà dell’universo, come si siano formati i vari elementi, perché alcuni siano così abbondanti e altri invece rarissimi, richiede il contributo di molti ambiti della fisica, inclusa la recentissima astronomia multimessaggera.
Possiamo liberamente trarre spunto da ciò che fece Primo Levi (di cui ricorre proprio quest’anno il centenario della nascita) nella sua splendida raccolta di racconti “Il sistema periodico” del 1975. Levi scelse ventuno elementi – tra il centinaio noti allora – per costruire un itinerario autobiografico lungo la tavola di Mendeleev: ventuno storie per raccontare la propria formazione, gli anni della guerra, il dramma di Auschwitz, il mestiere di chimico. Anche noi sceglieremo una manciata di elementi, ma per scoprire quanta fisica interessante si nasconde tra le caselle della tavola periodica. Per esempio, la scoperta dell’elio, secondo elemento della tavola e primo dei gas nobili, avvenne studiando lo spettro del Sole: non corrispondeva a nessun elemento noto allora e si ipotizzò l’esistenza dell’elio, da Helios nome del Sole in greco. La scoperta in una miniera quasi trent’anni dopo, fu una delle prime conferme dell’universalità delle leggi fisiche, valide anche al di fuori della Terra. E poiché, nonostante la sua meravigliosa varietà, la tavola descrive solo il 5% dell’universo noto (vd. Asimmetrie n. 4, ndr), raccontare delle proprietà dei gas nobili apre una finestra sulle tecniche più avanzate nella ricerca della materia oscura (vd. Xenon, noblesse oblige, ndr). Tra i 118 elementi noti oggi vi è solo l’imbarazzo della scelta: dal più leggero, l’idrogeno (vd. E fu subito litio, ndr), formatosi qualche centinaio di secondi dopo il Big Bang, al più pesante, l’oganesson (vd. L'oganesson, last but not least, ndr), ultimo degli elementi sintetizzati in laboratorio e ufficialmente inserito nella tavola solo nel 2016. E se l’attuale comprensione del funzionamento delle stelle rende chiara la formazione degli elementi necessari all’esistenza della vita quale la conosciamo, come il carbonio e l’ossigeno (vd. I neutrini e il berillio, ndr) e fino al vile ferro, la formazione di elementi più pesanti, come il nobile oro, richiede l’esistenza di “mostri del cielo”, quali stelle di neutroni e buchi neri (vd. Corsa all'oro, ndr). Gli elementi pesanti così prodotti, sono a loro volta portatori di informazioni preziose, per esempio l’uranio sulla composizione dell’interno della Terra, sconosciuto molto più dello spazio profondo (vd. L'uranio che scalda la Terra, ndr) o il piombo, i cui nuclei vengono fatti collidere dall’acceleratore Lhc ricreando per un istante il miscuglio di quark e gluoni esistente un centinaio di microsecondi dopo il Big Bang e da cui si formarono gli atomi primordiali (vd. Piombo-scontri, ndr). Infine, da quando nel 1928 Paul Dirac scrisse l’equazione per l’elettrone, l’antimateria è entrata a pieno titolo in ogni teoria della fisica delle particelle. Mentre singole antiparticelle vengono prodotte copiosamente nei laboratori di tutto il mondo, per gli antiatomi la produzione è limitata a poche decine di migliaia di atomi di anti-idrogeno, di cui si studiano in dettaglio le proprietà (vd. Idrogeno allo specchio, ndr). È molto improbabile che arriveremo a costruire gli “antielementi” necessari a riempire una “antitavola”, ma è certo che la comprensione dei componenti della tavola periodica degli elementi è una delle grandi conquiste del mestiere del… fisico.
 

d.
La tavola periodica usata per decorare una macchina che ben difficilmente conterrà tellurio, iodio, xenon, polonio, astato e radon, ma sarà sicuramente fatta di molti più elementi di quanto immaginiamo.

 
[as] approfondimento
Una passione comune


1.
Primo Levi, nel suo studio-laboratorio alla Siva nel 1952.

Nel giugno del 1984, Primo Levi e un altro grande protagonista della cultura italiana, il fisico Tullio Regge, si incontrarono su invito del critico e scrittore Ernesto Ferrero per una lunga conversazione a ruota libera. Ne scaturì un librino di grande successo, Dialogo, pubblicato dalle Edizioni di Comunità (e poi da Einaudi) e tradotto in tutto il mondo.
Nei pomeriggi trascorsi chiacchierando davanti al registratore, Regge e Levi si raccontarono piccole e grandi cose - gli anni della formazione, le esperienze di vita, il senso dei rispettivi mestieri, il rapporto tra scienza e umanesimo, il fascino della fisica contemporanea, l’avvento dei computer - muovendosi con leggerezza da un argomento a un altro, tra sprazzi di humour e momenti di grande intensità. Uno dei temi toccati, nello scambio che riportiamo di seguito, era una passione comune ai due interlocutori: la tavola periodica degli elementi.

 

 

[Regge]: Mi appassionava la chimica, avevo trovato un testo che raccontava la storia degli elementi… Tradotto dal tedesco, un classico, a livello universitario. Tu l’hai certamente visto. Mi interessava il sistema periodico; per questo quando è uscito il tuo libro mi ci sono buttato; mi piace la frase in cui dici che il sistema periodico è poesia, per giunta con la rima.


[Levi]: L’espressione è paradossale, ma la rima c’è proprio. Nella forma grafica più consueta della tavola del sistema periodico, ogni riga termina con la stessa “sillaba”, che è sempre composta da un alogeno più un gas raro: fluoro + neon, cloro + argon, e così via. Ma nella frase che tu citi c’è evidentemente di più. C’è l’eco della grande scoperta, quella che ti toglie il fiato; dell’emozione (anche estetica, anche poetica) che Mendeleev deve aver provato quando intuì che ordinando gli elementi allora noti in quel certo modo, il caos dava luogo all’ordine, l’indistinto al comprensibile: diventava possibile (e Mendeleev lo fece) individuare caselle vuote che avrebbero dovuto essere riempite, dato che “tutto ciò che può esistere esiste”; cioè fare opera profetica, antivedere l’esistenza di elementi sconosciuti, che vennero poi tutti puntualmente scoperti. Ravvisare o creare una simmetria, “mettere qualcosa al posto giusto”, è un’avventura mentale comune al poeta e allo scienziato.

 

Da Primo Levi, Tullio Regge, Dialogo, Edizioni di Comunità, Milano, 1984 (ora in edizione Einaudi).

 

Biografia
Barbara Sciascia è ricercatrice presso i Laboratori Nazionali di Frascati (Lnf) dell’Infn. Collabora agli esperimenti Lhcb al Cern e Padme ai Lnf.


Link
https://www.ptable.com/?lang=it
https://it.wikipedia.org/wiki/Scoperta_degli_elementi_chimici
http://www.primolevi.it/web/italiano/contenuti/scienza
https://dmitrimendeleev.com/ 


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DOI: 10.23801/asimmetrie.2019.26.1
 

 

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