I neutrini e il berillio
Le reazioni nucleari del nostro Sole
di Carlo Broggini
Immagine del Sole presa nell’ultravioletto estremo dall’osservatorio Soho. In alto a destra è visibile una protuberanza formata da plasma.
Il motore delle trasformazioni che avvengono sulla Terra, e della vita stessa sul nostro pianeta, è il Sole. Nel 1920, subito dopo la misura precisa della massa dell’idrogeno e dell’elio, l’astrofisico inglese Sir Arthur Eddington ebbe l’intuizione della provenienza dell’energia irraggiata dal Sole: è il risultato della conversione in energia dello 0,7% circa della massa dell’idrogeno che si trasmuta in elio, in accordo con la celebre equazione E = mc2. Funziona in questo modo il reattore nucleare a fusione attivo da circa 4,5 miliardi di anni al centro del Sole, in cui i nuclei di idrogeno sono confinati dalla pressione gravitazionale a una temperatura di 15 milioni di gradi. Naturalmente questa non è una caratteristica esclusiva del nostro Sole, infatti la maggior parte delle stelle che brillano nel cielo sono tenute “accese” dalla combustione dell’idrogeno.
Il processo di base viene oggi descritto come 4H–>4He+2e++2νe, con un rilascio di energia pari a 26,7 MeV, dove 2e+ e 2νe sono i positroni e i neutrini che accompagnano la fusione. Di particolare interesse sono i neutrini: particelle molto sfuggenti che attraversano il Sole, con una probabilità di interazione estremamente bassa. La trasmutazione di idrogeno in elio non avviene come fusione simultanea di quattro nuclei di idrogeno, ma si sviluppa, per il 99% dell’energia prodotta nel Sole, attraverso una serie di reazioni nucleari tra due nuclei, che prende il nome di catena protone-protone, i cui dettagli sono determinati dalla probabilità che le differenti reazioni abbiano luogo (cioè dalla sezione d’urto della reazione). Il restante 1% di energia è sempre dovuto alla fusione dell’idrogeno, ma attraverso un ciclo di reazioni, il ciclo CNO (carbonio, azoto, ossigeno), che diventa importante a temperature centrali maggiori di quella del Sole (vd. Luce dal buio, ndr).
Il Sole è una stella a noi molto vicina: è pari a circa 8 minuti il tempo che impiega la luce irraggiata dalla sua superficie a raggiungere la Terra (la seconda stella più vicina, Proxima Centauri, dista circa 4,2 anni luce). Questo ci permette di avere sulla Terra un flusso estremamente alto di neutrini solari, dell’ordine di 60 miliardi ogni secondo attraverso una superficie di un centimetro quadro. Sin dalla fine degli anni ’40 si propose di utilizzare i neutrini solari per verificare che il modello di funzionamento del Sole fosse quello corretto.
Tuttavia, ci si rese ben presto conto di come l’energia prevista per i neutrini solari fosse troppo bassa perché questi avessero una minima probabilità di essere “visti” in un rivelatore (la probabilità di interazione cresce al crescere dell’energia). Nel 1958 entra però in scena in modo spettacolare il berillio: la sezione d’urto del processo che produce berillio (a essere precisi, un suo isotopo radioattivo, il berillio-7, 7Be) attraverso la fusione tra un nucleo di elio e un nucleo di elio-3 (cioè un nucleo di elio con un solo neutrone invece di due) viene per la prima volta misurata. Il risultato è sorprendente: un fattore 1000 volte più grande di quanto prima assunto. Il berillio ha un ruolo chiave nella catena protone-protone: attraverso il suo decadimento produce neutrini di energia intermedia. Ancora più importante, il berillio che non decade si fonde con l’idrogeno e produce boro (anche qui un isotopo del boro, il boro-8, 8B), l’elemento che troviamo subito dopo il berillio nella tavola periodica di Mendeleev, il cui decadimento produce neutrini di alta energia, che quindi hanno la massima probabilità di essere rivelati.
A questo punto il flusso di neutrini rivelabili è abbastanza elevato da poter essere misurato nel rivelatore contenente 615 tonnellate di tetracloroetene (un solvente usato nelle lavanderie), che negli anni ’60 Raymond Davis ha messo in funzione nella miniera d’oro di Homestake, negli Stati Uniti. I neutrini solari vengono catturati da un isotopo del cloro, il cloro-37 (37Cl), che si trasforma in argon-37 (37Ar), un elemento radioattivo, con una probabilità di produzione davvero modesta, tale da fornire circa un atomo ogni due giorni. L’estrazione radiochimica e il successivo conteggio degli atomi di argon darà il flusso integrato di neutrini solari a partire da quelli del berillio. I primi risultati, presentati nel 1968, danno un flusso di neutrini pari a circa un terzo del valore previsto. Questo segna l’inizio di una intensa ed emozionante attività di ricerca, dove misure sempre più accurate sugli ingredienti nucleari del modello solare, cioè le sezioni d’urto, si accompagnano a misure sempre più precise sul flusso dei neutrini solari di differente energia. Il confronto tra i risultati di questi ultimi esperimenti e le previsioni del modello solare hanno permesso di verificare in maniera sempre più profonda il modello di funzionamento del Sole e di comprendere le proprietà del neutrino, in particolare il fenomeno dell’oscillazione, responsabile della riduzione di flusso messa in evidenza da Davis. Inoltre, attraverso questo confronto, si possono “misurare” parametri fondamentali del Sole, come la sua temperatura centrale e, in un prossimo futuro, le abbondanze di carbonio, azoto e ossigeno nella sua zona centrale (attraverso la rivelazione dei neutrini prodotti dalla fonte secondaria di energia solare, il ciclo CNO).
È particolarmente significativo osservare che sia l’esperimento di astrofisica nucleare, che ha misurato la sezione d’urto per la produzione di berillio alle energie vicine a quelle della fusione nel Sole, l’esperimento Luna (vd. fig. c), che l’esperimento che ha identificato e misurato il flusso dei neutrini prodotti dal decadimento del berillio nel Sole, Borexino, sono attivi a circa 200 metri di distanza l’uno dall’altro ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Infn.
Due “rami” possibili della catena protone-protone in cui compare il berillio-7. Quello di sinistra dà luogo a neutrini di energia ben definita, pari a 0,861 MeV nel 90% dei casi e 0,383 MeV nel restante 10%. In quello di destra, viene prodotto boro-8, dai cui decadimenti vengono generati i neutrini più energetici, e quindi di più facile rivelazione. In questo caso, però, i neutrini emessi non hanno un’energia definita, perché una parte dell’energia disponibile nel decadimento del boro-8 viene acquisita dai positroni.
Il “cuore” dell’acceleratore di Luna: la sorgente a radiofrequenza. Ben visibile, in color rosa acceso, l’ampolla contenente il plasma da cui si estrae il fascio di ioni da accelerare.
Abbiamo visto che molto si è progredito dal 1920, quando Eddington ebbe l’intuizione sulla fonte di energia termonucleare, senza che neppure si conoscesse l’esistenza dei neutrini. Adesso siamo addirittura in grado di predire quale sarà il futuro del Sole. Tra circa 4,8 miliardi di anni l’idrogeno a disposizione nella parte centrale terminerà, il Sole si contrarrà, la temperatura aumenterà e, per circa 0,6 miliardi di anni, brucerà l’idrogeno nella parte esterna più vicina, provocando un’espansione del volume del Sole che arriverà sino a inglobare il pianeta Mercurio. Esaurito anche questo idrogeno, il Sole riprenderà a contrarsi ed entrerà quindi in una fase relativamente breve, dell’ordine di 120 milioni di anni, ma alquanto turbolenta, in cui vi sarà la combustione di elio in carbonio alla temperatura di 100 milioni di gradi, sempre trasformando una parte della massa dell’elio in energia. Esaurito anche l’elio, il Sole diventerà una nana bianca: un grande cristallo di carbonio e ossigeno (l’altro prodotto risultante dalla combustione dell’elio), brillante di luce bianca, con il raggio ridotto di un fattore 100 rispetto al Sole attuale, ma con una densità pari a un milione di volte quella dell’acqua. La massa del Sole è infatti troppo piccola per poter raggiungere nella zona centrale la temperatura di 900 milioni di gradi necessaria per innescare la combustione del carbonio. Alla fine la pressione gravitazionale sarà compensata dalla pressione esercitata dagli elettroni, che non possono essere ulteriormente compressi, e il fuoco termonucleare si spegnerà per sempre all’interno della nostra stella.
Biografia
Carlo Broggini è dirigente di ricerca Infn alla sezione di Padova. Ha lavorato al Cern e ai laboratori sotterranei del Monte Bianco, Gottardo e Gran Sasso. È stato responsabile della collaborazione Luna e membro del comitato scientifico dei Laboratori del Gran Sasso. Si occupa di astrofisica nucleare ed è editor della rivista The European Physical Journal A.
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