[as] riflessi
14 Si può fare!
di Francesca Mazzotta
L’elettronica alla base di un cellulare o di un rivelatore di particelle si basa, infatti, su questo elemento estratto spesso proprio dalla sabbia. E non a caso la zona della California in cui sorgono numerose aziende di elettronica e informatica è nota come Silicon Valley, la valle del silicio.
È usato in elettronica perché è un semiconduttore. Nello stato base, quando è puro, il silicio conduce in maniera limitata la corrente elettrica, ma con l’aggiunta di droganti, ovvero di elementi con configurazioni elettroniche diverse, si possono realizzare delle zone localmente conduttive, chiamate n (di carica negativa) e p (di carica positiva), che sono la base per realizzare i dispositivi elettronici.
“Alternando zone localmente positive a zone localmente negative, si forma una giunzione p-n,” racconta Carlo Fiorini, professore di Ingegneria Elettronica al Politecnico di Milano. “Si tratta di un componente elementare che è alla base di dispositivi elettronici più complessi, tra cui anche i rivelatori impiegati nella ricerca di base in fisica delle particelle. Esempi di questo tipo – continua il professore – sono i rivelatori a microstrip e i rivelatori a pixel, i cosiddetti pixel detector, che compongono i piani di rivelazione dei più importanti esperimenti in fisica delle alte energie, come quelli al Large Hadron Collider del Cern. Questi due tipi di rivelatori sono a interazione diretta, cioè captano direttamente il segnale generato dall’interazione della particella con il silicio. Ci sono poi degli altri rivelatori, che vengono utilizzati anche in fisica delle astroparticelle, che utilizzano i silicon photomultiplier, meglio noti come Sipm. Questi fotorivelatori possono sia rivelare direttamente i fotoni oggetto della misura, come accade nei telescopi che studiano i raggi cosmici rivelando la luce Cherenkov, sia leggere i fotoni emessi dagli scintillatori, una classe di rivelatori molto importante in fisica e nell’imaging medicale”.
L’elettronica al silicio trova largo impiego anche nella cosiddetta elettronica di consumo: il silicio si trova infatti in tantissime apparecchiature che usiamo nella nostra vita quotidiana, dagli smartphone, in cui molti circuiti analogici e digitali sono basati sul silicio, ai processori dei computer, dalle chiavette usb al settore dell’automotive, che comprende tutte quelle tecnologie elettroniche a supporto dell’automobile, come il controllo dei motori o i sensori usati dal park assist. Questo è possibile perché la tecnologia del silicio è estremamente efficiente ed efficace e consente di integrare in uno spazio piccolissimo moltissimi dispositivi elettronici che sono alla base di circuiti e sistemi complessi. Oggi, ci sono delle tecnologie alternative al silicio che possono essere usate in alcuni ambiti. I display degli smartphone, ad esempio, si basano su tecnologie Oled o Amoled, che sono particolarmente indicate per l’emissione o la rivelazione della luce. “Dove c’è intelligenza, dove c’è calcolo molto efficiente, dove c’è trasmissione di segnali, il silicio resta ancora un materiale ampiamente utilizzato. Negli ultimi anni – spiega Fiorini – si è andati verso una sempre maggiore miniaturizzazione dell’elettronica e, in particolare, dei dispositivi in silicio. Nella vita di tutti i giorni, questo si percepisce come un aumento delle velocità dei dispositivi e del loro immagazzinamento d’informazione: basti pensare alle chiavette usb che contengono un numero sempre maggiore di dati. Oggi però questa miniaturizzazione sta andando a scontrarsi con i limiti fisici dei cristalli di silicio. Ci sono già dei dispositivi che funzionano con pochissimi strati di atomi. Quando si sarà arrivati ai limiti intrinseci degli strati atomici, bisognerà trovare delle tecnologie alternative che permettano di immagazzinare l’informazione con supporti ancora più piccoli. Ad oggi, però, nonostante nuove ricerche avviate nel settore, non è ancora stata individuata una tecnologia già in grado di sostituire il silicio tout court”, conclude Fiorini.
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