E fu subito litio
L’origine degli elementi leggeri

di Gennaro Miele

È stato nel tempo intercorso tra un secondo e un’ora di vita del nostro universo che le prime caselle della tavola periodica, quelle corrispondenti agli elementi più leggeri, si sono riempite. Oggi, più di tredici miliardi di anni dopo, siamo riusciti a ricostruire quelle fasi cruciali grazie alle nostre conoscenze di fisica nucleare e di cosmologia. Il quadro che ne emerge è solido e soddisfacente, ed è in ottimo accordo con tutte le osservazioni astrofisiche e cosmologiche. Con una sola eccezione, rappresentata dal litio, le cui abbondanze predette sembrano in disaccordo con quelle misurate. Se questo sia un problema superabile o l’indizio di una nuova fisica sarà una questione da chiarire nel prossimo futuro. Ma andiamo con ordine.
Si chiama “nucleosintesi primordiale” quella fase dell’evoluzione dell’universo durante la quale, partendo da semplici neutroni e protoni immersi in un plasma di particelle di massa molto piccola (fotoni, elettroni, positroni e neutrini), si vennero a formare i nuclei più leggeri (essenzialmente l’idrogeno nelle varie forme isotopiche, l’elio nelle varie forme isotopiche e il litio), in misura tale da rappresentare grosso modo la quantità che di questi elementi osserviamo oggi. La sintesi avvenne all’incirca nella prima ora di vita dell’universo, una fase nella quale, a causa dell’espansione, la temperatura del plasma calava rapidamente.
Il processo di formazione dei primi nuclei cominciò attorno a un secondo dopo il Big Bang, quando la temperatura del plasma divenne così bassa da rendere inefficaci le interazioni che trasformano neutroni in protoni e viceversa. Una volta spente queste interazioni, il rapporto tra le quantità di neutroni e protoni rimase, per così dire, “congelato”. L’effetto di ciò fu una fase significativamente più ricca di neutroni di quanti ce ne sarebbero stati in condizioni di equilibrio termodinamico e quindi una maggiore propensione a legare i neutroni all’interno dei nuclei come l’elio-4 (4He), il deuterio (D, un isotopo dell’idrogeno formato da un neutrone e da un protone), l’elio-3 (3He) e il litio-7 (7Li).
Il processo di fusione nucleare procedette quindi, partendo dai nuclei più semplici a quelli più complessi, fino a quando la temperatura raggiunse valori così bassi da non consentire le reazioni in maniera efficiente.

Il processo si arrestò intorno a poco più di un’ora dopo il Big Bang, quando la temperatura del plasma era ormai scesa a un valore attorno ai 0,01 MeV.
L’esito di questa fase fu una produzione abbondante, ovvero non trascurabile rispetto a quella che sarebbe stata l’evoluzione chimica dei seguenti 13 miliardi circa di anni (fino ad oggi), di idrogeno, deuterio, elio-4 e, in subordine, elio-3 e litio-7. I risultati dei calcoli teorici di queste abbondanze primordiali vengono oggi confrontati con le osservazioni astrofisiche, e l’ottimo accordo è spesso indicato come una delle evidenze più impressionanti della teoria del Big Bang, ossia del fatto che l’universo si sia trovato, nelle prime fasi della sua esistenza, in uno stato estremo, molto più caldo e denso dell’attuale.
Gli ingredienti teorici della nucleosintesi primordiale sono relativamente semplici. Il primo è costituito dalle equazioni di Einstein, che predicono l’espansione dell’universo, che a queste temperature dipende dall’energia presente in forma di radiazione. Queste equazioni contengono due soli parametri: il numero di particelle relativistiche che contribuiscono all’espansione (fotoni, elettroni, positroni, neutrini, più eventualmente nuove particelle non previste dal modello standard) e la densità di materia “barionica”, cioè composta di neutroni e protoni. Il secondo ingrediente è costituito dalle equazioni che descrivono i processi di fusione nucleare, che contengono alcuni parametri che possono essere calcolati per via teorica, oppure misurati in laboratorio. L’affidabilità dei calcoli teorici spesso si scontra con incertezze difficili da quantificare, per cui la misura sperimentale di questi parametri rappresenta l’unica via praticamente percorribile. Queste misure hanno rappresentato una sfida per la comunità dei fisici nucleari, che ancora continua.
Una volta fissati i parametri ottenuti sperimentalmente, con le relative incertezze statistiche e sistematiche, le due quantità menzionate precedentemente (numero di specie relativistiche e densità barionica) possono essere ottenute dal confronto tra le predizioni teoriche e i dati osservativi.
Nel momento in cui altre osservabili cosmologiche (come ad esempio la radiazione del fondo cosmico a microonde) hanno incominciato a permettere determinazioni indipendenti di una o entrambe le quantità suddette con estrema precisione, la nucleosintesi primordiale è diventata un importantissimo test di consistenza per il modello cosmologico standard (vd. Ai confini della realtà, ndr).
Il confronto fra i dati osservativi e le predizioni della teoria della nucleosintesi primodiale richiede estrema cautela. Al fine di poter paragonare le predizioni primordiali con le osservazioni attuali è indispensabile trovare regioni dell’universo in cui si possa essere sicuri di una assenza di significativa contaminazione chimica dai processi stellari, che altererebbe le abbondanze rispetto ai valori prodotti durante la nucleosintesi primordiale. Questo è vero in particolare per il deuterio, nucleo per il quale l’abbondanza relativa rispetto all’idrogeno normale è misurabile attraverso uno “shift isotopico”, in regioni cosiddette “HII”, in cui sono presenti nubi di gas ionizzato dalla radiazione ultravioletta emessa dalle stelle giovani, in cui la contaminazione chimica non ha ancora avuto luogo in misura significativa.

 
a.
Le predizioni delle abbondanze dei nuclei leggeri in funzione del rapporto tra le abbondanze di barioni e di fotoni (η) sono rappresentate dalle bande colorate. Le altezze dei box rettangolari gialli corrispondono alle abbondanze primordiali di elio-4, deuterio (D) e litio-7, determinate da misure astrofisiche (per l’elio-3 non esistono misure affidabili), mentre le basi rappresentano i valori di η che si otterrebbero dal confronto tra previsione teorica e dato osservativo per quel dato nucleo. La banda verticale più larga, in azzurro, corrisponde all’intervallo di valori di η che meglio predicono l’abbondanza di deuterio (l’elio-4 è molto meno sensibile a questo parametro). La banda verticale più stretta, in rosso, corrisponde invece al valore di η misurato dalla radiazione del fondo cosmico a microonde. Come si vede, i due metodi di misurazione di η sono in perfetto accordo. Il riquadro più basso mostra la discordanza tra i valori di litio predetti e quelli osservati.

 
b.
La nebulosa di Orione rappresenta una delle più grandi regioni HII note.
 
Il deuterio risulta essere un’osservabile ideale anche per le seguenti ragioni, di natura differente. Da un lato è un elemento fragile, distrutto dalla maggior parte dei processi chimici stellari e interstellari: il fatto che l’abbondanza misurata in queste regioni sia in accordo con le predizioni è un’indicazione a posteriori, anche se non conclusiva, della bontà del modello. Inoltre, l’abbondanza di deuterio dipende fortemente dal valore della densità barionica, così provvedendo un forte “bariometro”, un misuratore di questa quantità. Una situazione analoga accade per l’elio-4, che invece dipende fortemente dal numero di particelle relativistiche.
Il litio-7, invece, ha rappresentato storicamente un problema, dato che le predizioni teoriche sembrano non essere consistenti con le osservazioni. Questo problema risale al 1982, quando per la prima volta il litio-7 fu osservato nelle atmosfere di stelle di bassa metallicità, appartenenti all’alone della nostra galassia. Fu notato che, indipendentemente dalla metallicità della stella, l’abbondanza di litio-7 nella sua atmosfera rimaneva costante, e questo fu preso come un’indicazione del fatto che il litio-7 osservato fosse quello preesistente all’evoluzione stellare. Assumendo che il litio-7 osservato nell’atmosfera di queste stelle fosse quello primordiale (un salto logico non banale, e probabilmente errato, come argomentato molte volte negli ultimi 30 anni), questa abbondanza veniva comparata con quella del litio-7 previsto dalla teoria della nucleosintesi primordiale, trovando valori sistematicamente più bassi. Questo problema è ancora oggi argomento di dibattito e una sua eventuale soluzione aprirebbe interessanti nuovi scenari allo studio della nucleosintesi durante il Big Bang.
 

Biografia
Gennaro Miele è professore di fisica teorica presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, dove insieme al suo gruppo di ricerca conduce studi su astrofisica e cosmologia del neutrino e sulla nucleosintesi dell’universo primordiale. È coautore di numerose pubblicazioni scientifiche e monografie, tra cui “Neutrino Cosmology” edito dalla Cambridge University Press.


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DOI: 10.23801/asimmetrie.2019.26.2
 

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