Corsa all’oro
Elementi pesanti della nucleosintesi stellare

di Marialuisa Aliotta

Con 79 protoni nel suo nucleo e una densità pari a circa due volte quella del piombo, l’oro (simbolo chimico Au, dal nome latino aurum) è uno degli elementi più pesanti, ma anche più rari, in Natura. Non sorprende quindi che uno dei sogni degli alchimisti nei secoli sia stato quello di trasmutare in oro metalli più comuni come il ferro.
Per capire da dove provenga l’oro presente sulla Terra occorre scoprire dove, come e quando si siano formati gli elementi chimici che compongono la materia ordinaria nell’universo. Com’è noto, l’universo ha origine circa 14 miliardi di anni fa da una gigantesca esplosione nota come Big Bang, ma inizialmente sono presenti solo nuclei di idrogeno (protoni), deuterio (un protone e un neutrone), elio (due protoni e due neutroni) e tracce di elementi leggeri (principalmente litio).
Per formare elementi più pesanti dell’elio occorre attendere l’epoca di formazione delle stelle, circa 700 milioni di anni dopo il Big Bang. Qui, grazie alla possibilità di raggiungere e mantenere temperature sufficientemente elevate per lunghi periodi di tempo, diventa possibile trasmutare gli elementi più leggeri in elementi via via più pesanti attraverso fasi alterne di “combustione” nucleare e contrazione gravitazionale. In questo modo, è possibile convertire idrogeno in elio, elio in carbonio e ossigeno, carbonio in neon e magnesio, e così via fino alla sintesi del ferro. Occorre notare però che ciascuno di questi processi è possibile solo per stelle con opportuna massa, tale cioè da consentire il raggiungimento di temperature sufficienti a mitigare la crescente repulsione coulombiana tra nuclei con un numero via via maggiore di protoni.
A questo punto, per una peculiare proprietà dei nuclei, reazioni di fusione oltre il ferro diventano “endotermiche”, ossia non rilasciano più energia e non possono avvenire in modo spontaneo. La sintesi del ferro all’interno di una stella segna quindi la fase finale di un’epoca relativamente stabile e tranquilla. Ora, esaurita la fonte energetica che mantiene in vita la stella, questa implode definitivamente su sé stessa per poi esplodere come supernova. Tutti gli elementi creati al suo interno vengono così espulsi nel mezzo interstellare, arricchendolo di “metalli” (così sono chiamati dagli astronomi tutti gli elementi più pesanti dell’elio) e dando luogo, nel corso di miliardi di anni, alla distribuzione cosmica degli elementi che osserviamo oggi.

Resta tuttavia una questione ancora irrisolta: se all’interno delle stelle è possibile arrivare solo alla fusione del ferro, da dove provengono tutti gli elementi più pesanti che pure osserviamo in Natura? E in particolare, dove e come si forma l’oro?
Abbiamo accennato al fatto che le reazioni di fusione tra particelle cariche, ossia i nuclei di un dato elemento, siano soggette al “superamento” della barriera repulsiva coulombiana. Poiché reazioni di fusione tra nuclei di ferro sono impossibili, è necessario cercare un meccanismo diverso, che non sia ostacolato dalla repulsione coulombiana. Questo meccanismo consiste nella cattura di neutroni liberi - elettricamente neutri, quindi non soggetti alla repulsione coulombiana - da parte di nuclei “seme”, come ad esempio il ferro. La cattura di un neutrone trasforma il nucleo seme in un suo isotopo più pesante (con numero di neutroni N più grande). Se questo è stabile il processo di cattura neutronica può proseguire fino a quando si forma un isotopo instabile che, quindi, subisce un decadimento beta (cioè uno dei neutroni del nucleo decade in un protone, emettendo un elettrone e un antineutrino) diventando un nuovo elemento chimico con Z maggiore di quello del nucleo seme. Questi processi sono detti di tipo s (dall’inglese slow) e sono responsabili della formazione di circa la metà degli elementi più pesanti del ferro. Il processo s, infatti, evolvendo lungo la valle di stabilità dei nuclei (cioè il luogo di punti nel piano Z/N corrispondente ai nuclei stabili esistenti in Natura, vd. L'oganesson, last but not least, ndr), contribuisce al massimo, e con sempre minore efficienza, alla sintesi degli elementi con un numero atomico intorno all’80.
Elementi più pesanti come torio, palladio e uranio richiedono la formazione di nuclei estremamente ricchi in neutroni. Ciò è possibile solo se i processi di cattura sequenziale dei neutroni avvengono più rapidamente rispetto ai tempi di decadimento beta, permettendo di ottenere isotopi molto lontani dalla valle di stabilità (processo r, o rapido). Da qui, attraverso una sequenza di decadimenti beta, si può finalmente raggiungere la regione corrispondente agli elementi più pesanti esistenti in Natura e giustificare le abbondanze osservate. I processi r sono la pietra filosofale per la produzione dell’oro!
Sebbene la dinamica dei processi s e r fosse stata proposta già nel 1957 per spiegare la sintesi di elementi oltre il ferro, esisteva un problema irrisolto fino ad oggi. I neutroni liberi sono particelle instabili e decadono in protoni in circa dieci minuti. Per rendere conto dei processi di cattura neutronica occorre trovare degli ambienti astrofisici in cui i neutroni siano prodotti in quantità copiose. Per il processo s, questo non è un problema e sorgenti di neutroni sono state identificate sotto forma di reazioni nucleari secondarie durante le fasi di combustione dell’elio. Ma per il processo r, il problema è ben più serio. Si stima infatti, che per rendere efficace tale processo occorrano densità di neutroni pari a circa 1021-1028 neutroni/cm3! Sino ad oggi, non esistevano prove certe riguardo l’ambiente astrofisico in cui si potessero produrre così tanti neutroni. Ma esistevano due possibili scenari: uno, le esplosioni di supernova, che rappresentano la fase finale nell’evoluzione di stelle con massa superiore a circa 8-10 masse solari.

 
a.
I processi rapidi (r, rapid) e lenti (s, slow) permettono la formazione di nuclei più pesanti del ferro e del nichel nelle stelle. Nei processi s la cattura di un neutrone produce un isotopo più pesante del nucleo “seme” (il numero di massa passa da A ad A+1). I processi s non permettono di creare isotopi molto ricchi di neutroni e ciò limita la produzione di nuclei pesanti con Z maggiore di 80. I processi r richiedono ambienti astrofisici con un’enorme densità di neutroni che vengono assorbiti in brevissimo tempo, creando isotopi molto più pesanti del nucleo seme (A+i, Z) e fortemente instabili. Dopo che i neutroni sono stati assorbiti inizia la catena di decadimenti beta che può produrre elementi con numero atomico Z’ molto maggiore di Z.

 
b.
Rappresentazione artistica di una collisione tra stelle di neutroni. Questo è il fenomeno alla base della rivelazione delle onde gravitazionali di GW170817 osservate per la prima volta dagli interferometri Ligo e Virgo il 17 agosto 2017. Le collisioni tra stelle di neutroni, mai osservate prima, rappresentano l’evento astrofisico più plausibile per il processo r e quindi per la formazione di elementi pesanti tra cui l’oro.
 
E l’altro, la collisione tra due stelle di neutroni, oggetti estremamente densi e “piccoli” (circa 30 km di diametro), costituiti essenzialmente… di neutroni.
Nel primo caso, pur ammettendo la possibilità di liberare enormi quantità di neutroni durante le fasi di esplosione, non era possibile riconciliare i risultati di complesse simulazioni di nucleosintesi con le abbondanze osservate di elementi attribuibili al processo r. Nel secondo caso non era mai stato osservato un processo di collisione tra due stelle di neutroni. Ossia, mai fino al 17 agosto 2017, data in cui, alle 14.41 ora italiana, gli interferometri Ligo e Virgo hanno identificato una sorgente di onde gravitazionali a 130 milioni di anni luce da noi, nella costellazione dell’Idra. A differenza di altre onde gravitazionali rivelate fino ad allora, quelle di GW170817 non erano generate però dalla “collisione” di due buchi neri, bensì di due stelle di neutroni (vd. fig. b). Si trattava quindi di un evento mai osservato in precedenza.
Non solo. La rivelazione di GW170817 ha dato inizio a una febbrile attività osservativa come forse mai prima d’ora in astrofisica. Per diverse settimane, il fenomeno è stato prontamente osservato da circa 70 telescopi sulla Terra e nello spazio e praticamente a tutte le lunghezze d’onda dello spettro elettromagnetico arrivando così a confermare che le collisioni tra stelle di neutroni costituiscono effettivamente l’evento astrofisico più plausibile per il processo r. Tale ipotesi è stata altresì corroborata da osservazioni recentissime di abbondanze di elementi caratteristici del processo r, tra cui oro, platino e piombo, in galassie nane ed estremamente vecchie attorno alla nostra Galassia.
La scoperta di GW170817 ha quindi dato inizio a una nuova era, multimessaggera, nell’esplorazione astrofisica. Ma forse ha anche dato vita alla moderna alchimia! E questa volta con successo.
 

Biografia
Marialuisa Aliotta è professore ordinario di Astrofisica Nucleare Sperimentale presso l’Università di Edimburgo (UK). La sua attività di ricerca si basa principalmente sullo studio di reazioni nucleari di interesse astrofisico che coinvolgono sia nuclei stabili che radioattivi. Dal 2010 è membro della collaborazione Luna (Laboratory for Underground Nuclear Astrophysics) presso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Infn.


Link
https://articolidiastronomia.com/2014/10/26/nucleosintesi/
https://www.accademiadellestelle.org/tag/nucleosintesi-stellare/
http://science.sciencemag.org/content/early/2017/10/13/science.aap9455.full
www.treccani.it/export/sites/default/Portale/resources/multimedia/Lezioni_di_Scienze/origine_elementi/Origine_elementi.pdf


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DOI: 10.23801/asimmetrie.2019.26.3
 

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