Il bello dei nuclei
Fisica nucleare per l’arte e l’archeologia.
di Pier Andrea Mandó


a.
La tonaca di San Francesco conservata a Cortona. La datazione, effettuata al Labec di Firenze su alcuni minuscoli frammenti della lana con cui è tessuta, ha confermato che è compatibile col periodo in cui ha vissuto il poverello di Assisi.

Fisica nucleare per l’arte e l’archeologia? E che c’entra? Beh, ci può entrare eccome! Molti neppure lo immaginano, ma le ricadute applicative della fisica nucleare e delle sue tecnologie sulla diagnostica dei beni culturali sono tante e importanti. L’Infn è stato attivo in questo settore fin dalla metà degli anni Ottanta, in particolare nella Sezione di Firenze, e più recentemente con ricerche in altre sedi tra le quali molto importanti quelle nei Laboratori Nazionali del Sud, a Catania. A Firenze vi ha dedicato, addirittura, un intero grande laboratorio: il Labec, dove un acceleratore di particelle è usato per gran parte del tempo disponibile proprio per queste applicazioni.
E guardate che non si tratta di virtuosismi tecnici fini a se stessi. Chi può mettere in dubbio ad esempio che la datazione dei reperti archeologici sia importante per la ricostruzione della storia dell’uomo e dello sviluppo della civiltà?
Ebbene, per le datazioni sono fondamentali principi e tecniche della fisica nucleare. Tutti avranno sentito almeno nominare il metodo del 14C (carbonio 14) o radiocarbonio: questo metodo è basato proprio sulla “trasmutazione” nucleare, cioè il decadimento radioattivo di questo isotopo. Per capire come funziona, vanno fatte due premesse: la prima è che il 14C è presente nell’atmosfera in una concentrazione di 10-12 (uno ogni mille miliardi di atomi di carbonio); la seconda, che il metabolismo degli esseri viventi, animali o vegetali, implica continuo scambio con l’ambiente (respirazione, sintesi clorofilliana, alimentazione), perciò i tessuti dei viventi hanno praticamente la stessa concentrazione di 14C dell’atmosfera.
Dopo la morte però, nei resti organici gli atomi di 14C che via via scompaiono per decadimento radioattivo non possono essere più “rimpiazzati” da una riassunzione tramite metabolismi biologici. Così la loro concentrazione diminuisce: e la legge del decadimento radioattivo ci permette di conoscere perfettamente il ritmo di questa progressiva riduzione (nella fattispecie, ogni 5.730 anni la quantità di 14C si riduce alla metà). Allora, misurando la concentrazione di 14C rimasta oggi nei resti di un organismo ex-vivente, possiamo ricavare il tempo passato dalla sua morte.
Alla base di questo processo naturalmente è la presenza e la concentrazione costante di 14C in atmosfera. Sarebbe naturale immaginare che, visto che è radioattivo e quindi via via scompare, dovesse sparire progressivamente anche dall’atmosfera, ma non è così. Come fa allora a non finire mai? La risposta viene da qualcosa che ancora una volta ha molto a che fare con la fisica nucleare. è il “bombardamento” che la Terra subisce da parte dei raggi cosmici, che – con una serie di interazioni successive – ricreano continuamente in atmosfera nuclei di 14C, con un processo praticamente inverso al decadimento radioattivo.


b.
La sala misure del laboratorio dell’acceleratore Tandetron al Labec, nella sezione di Firenze dell’Infn. è con questo acceleratore che si effettuano, tra le altre applicazioni, anche le datazioni tramite misura del radiocarbonio con la tecnica della spettrometria di massa con acceleratore.

Riassumendo molto schematicamente: la radiazione cosmica crea in continuazione 14C in atmosfera, che però essendo radioattivo dopo un certo tempo “scompare”. I due processi si bilanciano producendo una concentrazione costante di 14C nell’atmosfera (10-12), e la stessa concentrazione di 14C la troviamo nei tessuti degli esseri viventi in conseguenza dei metabolismi biologici.
Dopo la morte però i metabolismi cessano e il decadimento radioattivo fa diminuire il 14C nei resti; misurando quanto ne è rimasto, è possibile determinare il tempo trascorso dalla morte. Sono quindi leggi e processi della fisica nucleare che ci danno la possibilità di datare i materiali di origine organica. Ma non solo: anche i metodi e gli strumenti di misura della concentrazione residua di 14C nei resti organici sono quelli della fisica nucleare. è una misura tutt’altro che facile, perché richiede grande sensibilità (la concentrazione è bassissima) ma anche gran precisione (per avere la data con piccola incertezza). Oggi, una misura sensibile e precisa si può fare anche su quantità minuscole di materiale: un capello, un semino, una scheggia di legno, un centimetro quadro di stoffa. Grazie a una tecnica nucleare chiamata “spettroscopia di massa con acceleratore”, che usa appunto particolari acceleratori di particelle (i Tandem).
Nella “sorgente” dell’acceleratore, i diversi atomi nel materiale del reperto sono ionizzati e preaccelerati; in uscita dall’acceleratore, gli ioni vengono contati separatamente secondo le loro masse, usando rivelatori di particelle e altri apparati. Solo grazie alle elevate energie finali e ai particolari meccanismi con cui avviene l’accelerazione in queste macchine, si raggiunge la enorme sensibilità necessaria per il conteggio selettivo dei (pochissimi!) isotopi di 14C, così da misurarne la concentrazione.
E si riescono a misurare concentrazioni di 14C anche di solo uno ogni milione di miliardi, che è quella rimasta in reperti vecchi di circa 50 mila anni. Sacrificandone solo un milligrammo o giù di lì. Sono tante le risposte che vengono da queste misure, i dubbi che vengono fugati: ogni anno più di 10.000 date sono ottenute grazie al 14C! Capita che ogni tanto una datazione venga alla ribalta anche sui media, come nel caso della Sindone. Ma la vera importanza del metodo del 14C sta nella produzione di tanti risultati, oscuri al grande pubblico, ma cruciali per la ricerca degli archeologi, giorno per giorno. Questo è possibile grazie al sapere ereditato dalla fisica nucleare e alle sue tecnologie (acceleratori, rivelatori di particelle). Strumenti inventati per fare misure di fisica nucleare fondamentale, ma utilizzati in questi casi per scopi applicativi.

Biografia
Pier Andrea Mandò è professore di fisica applicata all’Università di Frenze. Si è dedicato in particolare allo sviluppo di tecniche nucleari per lo studio dei beni culturali, creando un gruppo di ricerca che ha portato alla creazione del Labec (Laboratorio per i Beni Culturali dell’Infn).

 

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