Alchimie celesti
Vita, morte e miracoli delle stelle.
di Margherita Hack
Giovani stelle blu, luminose ma destinate a breve vita, fotografate dal telescopio Hubble della Nasa nella Nube di Magellano, nella costellazione Tucano, a 200.000 anni luce dalla Terra.
Vere e proprie centrali di energia nucleare “galattiche” che nel corso della loro vita irraggiano nello spazio tutta l’energia prodotta nel loro interno con vari tipi di reazioni nucleari. Sono questo le stelle, quegli astri che ogni notte illuminano il nostro cielo e che, in ultima analisi, hanno permesso la nascita degli elementi di cui sono formati i pianeti e quindi noi tutti. Non tutte sono eguali o funzionano alla stessa maniera. Vediamo quali sono le loro principali proprietà.
Le stelle si formano in certe regioni delle galassie in cui la densità è da qualche centinaio a qualche migliaio di volte la densità del mezzo interstellare diffuso (pari a un atomo di idrogeno per centimetro cubo nella nostra galassia, la Via Lattea).
Sono le regioni galattiche dette nebulose interstellari, formate da gas di idrogeno, elio e impurità di tutti gli altri elementi e da minuscole particelle solide (dette polveri interstellari), composte da grafite, silicati e ghiaccio che, pur rappresentando solo l’1 o il 2% della materia nebulare, sono molto importanti per la formazione di una stella, perché aggregano attorno a sé altro gas, altre particelle e formano sotto l’azione della gravità un primo agglomerato di materia.
Il fisico inglese James Jeans ha mostrato, nel 1902, che se la massa iniziale di una regione più densa supera un certo limite (tanto più alto quanto più alta è la temperatura e più bassa è la densità del gas), essa tende a crescere a spese delle regioni adiacenti. Se, invece, la massa è minore si dissolve e scompare.
Quando la massa minima supera il limite di Jeans ha inizio il cosiddetto collasso gravitazionale, il gas “cade” su sé stesso, accelerando progressivamente. Il collasso fa sì che la temperatura del gas al centro salga fino a valori dell’ordine di qualche milione di gradi, il che consente l’innescarsi delle prime reazioni nucleari (vd. fig. a). La centrale di energia nucleare “galattica” diviene così attiva. Il collasso gravitazionale si arresta quando la forza di pressione esercitata dal moto di agitazione termica delle particelle diventa eguale e contraria alla forza di gravità. A questo punto, la massa stellare rimane in equilibrio fra la gravità che tenderebbe a schiacciarla sotto il proprio peso e la forza di pressione del gas che tenderebbe a disperdere il gas nel mezzo. In questa condizione di equilibrio l’energia nucleare prodotta si propaga attraverso la massa stellare e viene irraggiata nello spazio. È nata così una stella.
Non tutte le masse collassanti permettono la nascita di una stella, ma solo quelle comprese fra circa un decimo e 50 volte la massa del Sole. Per valori più piccoli la temperatura nel nocciolo centrale della stella non raggiunge valori tali da innescare le reazioni nucleari, mentre per valori molto più grandi la pressione diventa tanto alta da superare la forza di gravità e impedire la formazione di una stella stabile. Si può capire intuitivamente come la massa iniziale di una stella ne condizioni sia le caratteristiche fisiche iniziali – raggio e luminosità – sia la sua evoluzione. Infatti, più grande è la massa collassante, maggiore deve essere la temperatura nel nocciolo centrale necessaria per fermare il collasso. Più alta è la temperatura, maggiore è la produzione di energia nucleare e, di conseguenza, maggiore deve essere la superficie di dissipazione dell’energia prodotta perché la stella rimanga in equilibrio termico. Ecco perché si osserva che le stelle più luminose sono anche quelle di massa e di raggio maggiori. E anche con la maggiore temperatura superficiale. Stelle aventi una massa un decimo di quella del Sole, per esempio, sono, rispetto a questo, circa 100 volte meno luminose e hanno un raggio circa la metà. La loro temperatura superficiale è intorno ai 2.500 gradi e il loro colore è rossastro, e perciò sono dette nane rosse. Stelle con massa 40 volte quella solare, invece, sono 200.000 volte più luminose e hanno un raggio pari a 20 volte quello del Sole, con temperature superficiali intorno ai 20.000 gradi. Per il loro colore bianco azzurrastro, queste sono dette giganti azzurre. Questi valori sono quelli propri della prima fase della vita di una stella, che è anche la più lunga, quella cioè in cui la fonte di energia è determinata dalla trasformazione – nel nocciolo centrale – di idrogeno in elio. La durata di questa fase è tanto più lunga quanto più piccola è la massa e la luminosità della stella. Prendiamo, ad esempio, una stella di massa pari a un decimo e luminosità pari a un centesimo quella del Sole. La sua disponibilità di “combustibile” nucleare è proporzionale a un decimo di quella solare e il dispendio di energia a un centesimo. Essa dispone di combustibile per un tempo pari a 10 volte la durata della stessa fase di vita del Sole, che è di circa 10 miliardi di anni. All’altro estremo, una stella di massa 40 volte quella del Sole spende il suo combustibile 200.000 volte più rapidamente e questa fase della sua vita dura appena 2 milioni di anni (ovvero 40/200.000 moltiplicato per i 10 miliardi di anni di vita del Sole). Questo spiega anche come mai le deboli stelle rosse, dette nane rosse, sono tanto più abbondanti delle brillanti stelle azzurre, ovvero le giganti azzurre.
Nelle varie fasi di vita di una stella si verificano vari tipi di processi nucleari che spiegano come si siano formati tutti gli elementi che osserviamo sulla Terra e nell’Universo.
Nelle prime fasi, quando la stella sta ancora collassando e la temperatura nel suo nocciolo centrale è compresa fra circa mezzo milione e 5 milioni di gradi, si ha una serie di reazioni nucleari in cui si formano, a partire dai protoni, nuclei di idrogeno pesante (il deuterio), nuclei dei due isotopi dell’elio (elio-3 ed elio-4) e nuclei di litio, berillio e boro. Questi elementi vengono “bruciati” nella successiva fase di contrazione a temperature più alte di 5 milioni di gradi, per cui non è possibile spiegare la loro formazione nell’interno delle stelle. I nuclei di deuterio e dei due isotopi dell’elio si possono formare nelle primissime fasi di espansione dell’Universo, fra 3 e 20 minuti dopo il Big Bang, quando le temperature sono dell’ordine del miliardo di gradi e la densità è paragonabile a quella dell’acqua: è questa la cosiddetta fase di nucleosintesi primordiale. Più difficile spiegare la formazione dei nuclei di litio, berillio e boro. Questi si suppone siano il risultato della frammentazione, causata dai raggi cosmici, dei nuclei di carbonio, ossigeno e altri elementi presenti nel mezzo interstellare. L’energia che la stella irraggia nella prima fase della sua vita (quella successiva al raggiungimento della condizione di equilibrio descritta in precedenza), proviene dalla trasformazione di idrogeno in elio secondo il processo protone-protone (vd. fig. b.), che ha luogo in stelle di massa eguale o più piccola del Sole a temperature eguali o inferiori a 13 milioni di gradi. Nelle stelle di massa maggiore il processo dominante è invece il ciclo del carbonio, in cui 4 protoni danno luogo a una particella alfa e il carbonio-12 agisce come catalizzatore. Quest’ultimo processo ha luogo per temperature comprese tra i 15 e i circa 40 milioni di gradi (che è il caso delle giganti azzurre).
a.
Dopo che una nebulosa interstellare sotto l’effetto della gravità ha formato il primo agglomerato di materia, essa collassa e si riscalda, finché si scatenano le prime reazioni nucleari di fusione dell’idrogeno.
L’elio prodotto si concentra nel cuore della stella. Successivamente per fusione produce del carbonio.
Per fusione dell’ossigeno, si crea silicio e infine ferro. Quest’ultima giornata sarà letale per la vita della stella. Una massa solare di ferro si è creata nel cuore della stella.
Dato che il ferro è l’elemento più stabile dell’Universo, le reazioni nucleari non possono più produrre l’energia necessaria per impedire il collasso...
...ma quando i nuclei diventano così vicini da toccarsi, il cuore della stella non può più comprimersi. Il collasso si arresta...
...e gran parte della massa stellare urta e “rimbalza” sulla stella di neutroni che si sta formando.
Quando tutto l’idrogeno del nocciolo centrale è trasformato in elio, la stella resta priva di fonti di energia nucleare, perché l’elio a quelle temperature è inerte. Il nocciolo si raffredda, la gravità prende il sopravvento e ha inizio una seconda fase di contrazione e riscaldamento, fino a che la temperatura raggiunge i 100 milioni di gradi e tre particelle alfa possono formare un nucleo di carbonio-12, nel cosiddetto processo a 3 alfa (vd. fig. b.). Le successive fasi evolutive sono ben diverse, a seconda che si abbia a che fare con stelle di massa minore o di poco superiore a quella del Sole oppure con stelle di grande massa.
La Nebulosa del Granchio, resti di una supernova fotografati dal telescopio Hubble, ovvero tutto ciò che rimane da una tremenda esplosione di una stella. Osservatori cinesi e giapponesi registrarono questa supernova già quasi mille anni fa nel 1054.
Nelle prime, in seguito alle successive contrazioni, il gas da perfetto che era (le dimensioni delle singole particelle sono molto inferiori alla loro distanza media) diventa degenere, ovvero, per quanto riguarda la pressione, si comporta come un solido: la pressione non dipende più dalla temperatura, ma solo dalla densità. Questa è la condizione che si verifica quando, ad esempio, la stella ha esaurito il combustibile di elio. In questa situazione la sua forza di pressione è sufficiente a mantenere l’equilibrio contro la forza di gravità. Non può verificarsi alcuna contrazione né, quindi, aumento di temperatura e successivo innesco di altre reazioni nucleari. La stella rimane senza fonti di energia nucleare, seguita a irraggiare la sua energia termica e va lentamente raffreddandosi. Questo sarà il futuro del Sole fra circa 5 miliardi di anni. Però prima subirà una profonda trasformazione, perché l’innesco della combustione dell’elio in carbonio, che avviene a temperature molto più alte di quelle dell’idrogeno in elio, ha per effetto una produzione di energia molto maggiore, sia pure per tempi molto più brevi. La stella quindi aumenta la sua superficie di dissipazione, cioè si espande. Si stima che il Sole aumenterà il suo raggio da 100 a 200 volte e la sua superficie lambirà l’orbita della Terra. Il Sole diventerà allora una gigante rossa, con un nocciolo caldo e denso circondato da un enorme inviluppo rarefatto, la cui espansione ha prodotto una diminuzione della temperatura superficiale da circa 6.500 a circa 3.000 gradi. Questo inviluppo andrà lentamente evaporando disperdendosi nello spazio interstellare e ciò che resterà sarà una piccola stella di raggio circa eguale a quello della Terra e ad alta temperatura superficiale, ovvero una nana bianca, che andrà lentamente disperdendo nello spazio la sua energia termica per ridursi dopo miliardi di anni a un corpo freddo di gas degenere. Attorno a essa rimarrà un rilucente guscio di idrogeno ed elio in espansione nello spazio, memoria della precedente fase di gigante rossa: è nata una nebulosa planetaria.
Margaret Burbidge, Geoffrey Burbidge, Willy Fowler e Fred Hoyle nel luglio 1971, 14 anni dopo la loro famosa pubblicazione (lavoro così famoso che dagli astrofisici viene simpaticamente chiamato B2HF, dalle iniziali degli autori), insieme al trenino a vapore che fu regalato a Fowler nell’ambito di una conferenza organizzata in onore del suo sessantesimo compleanno.
Il futuro delle stelle che sono molto più grandi del Sole sarà invece diverso, perché ad ogni esaurimento di combustibile nucleare seguirà un raffreddamento, una contrazione, un successivo riscaldamento e innesco di un altro combustibile nucleare. A temperature così alte come quelle che si raggiungono nel nocciolo delle grandi stelle, il gas non diventa mai degenere. In seguito alle varie contrazioni arriva un momento in cui il nocciolo centrale ha temperature di circa 10 miliardi di gradi, densità di miliardi di volte la densità dell’acqua e sarà composto da nuclei di ferro e nichel (vd. fig. d.). In queste condizioni di temperatura e densità, il ferro si frantuma in nuclei di elio, ma questa reazione, a differenza di tutte quelle che l’hanno preceduta, è endotermica: invece di produrre energia l’assorbe e la prende dalla massa di gas sovrastante. La conseguenza è che nel giro di mezz’ora la temperatura del nocciolo piomba da 10 miliardi a 100 milioni di gradi. La pressione del gas non è più in grado di contrastare la gravità e tutta la massa della stella precipita verso il nocciolo, aumentando la temperatura di tutti quelli strati più esterni in cui ci sono ancora nuclei in grado di dar luogo a reazioni esotermiche (quelle che, invece, cedono energia all’ambiente). Nel giro di mezz’ora si scatena tutta una serie di reazioni nucleari incontrollate, nel corso delle quali vengono prodotti tutti gli elementi e la stella esplode scaraventandoli nel mezzo interstellare da cui si formeranno altre stelle con i loro pianeti: s’innesca così una lenta evoluzione chimica della galassia, che si arricchisce di elementi più pesanti di idrogeno ed elio. Nel nocciolo centrale il collasso forma una stella di neutroni (vd. fig. g.), o, in casi più estremi, un buco nero. È il fenomeno della supernova, l’apparizione improvvisa di una stella tanto brillante da eguagliare lo splendore dell’intera galassia che la contiene (vd. fig. m.). È stato dimostrato, grazie soprattutto alla celebre sintesi pubblicata nel 1957 dai quattro astrofisici Geoffrey Burbidge e Margaret Burbidge, Fred Hoyle e Willy Fowler (i quali dagli astrofisici vengono chiamati simpaticamente B2HF!) che, oltre all’elio, tutti gli elementi che si trovano nell’Universo e sulla Terra, si formano nell’interno delle stelle durante le diverse fasi della loro evoluzione grazie a numerosi processi nucleari. A causa di questi processi, solo nelle stelle di grande massa possono verificarsi le condizioni di equilibrio che precedono l’esplosione, e la stella da centrale di energia nucleare si trasforma in una vera e propria bomba nucleare. Invece di portare la morte questa “bomba” però porta la vita, perché crea tutti gli elementi necessari per formare i pianeti e gli esseri viventi.
Il colore delle stelle
Guardando la volta celeste in una notte serena, lontani dalle luci della città, noteremo subito che le stelle appaiono con diversa luminosità. Bisogna, però, tener conto delle diverse distanze che ci separano da esse: una stella vicina apparirà assai più luminosa di una sua “gemella” lontana. Per confrontare tra loro le stelle, dovremo dunque immaginare di porle dapprima alla stessa distanza, misurando così la loro luminosità assoluta. Usando il Sole come stella di riferimento e assegnandogli luminosità pari a 1, le altre stelle avranno luminosità diverse, ad esempio pari a 0,01, a 10, a 1.000. Un occhio attento scoprirà poi una caratteristica meno evidente: le stelle hanno colori leggermente diversi, alcune tendono al blu, altre sono di un bianco brillante e altre appaiono rossastre. |
Biografia
Margherita Hack è professore emerito dell’Università di Trieste e membro nazionale dell’Accademia dei Lincei. Ha diretto l’Osservatorio Astronomico e il Dipartimento di Astronomia dell’Università di Trieste. Per lungo tempo è stata membro dei gruppi di lavoro dell’ESA e della NASA.
Link
http://www.valdosta.edu/~cbarnbau/astro_demos/frameset_stellar.html
http://www.jinaweb.org/html/movies.html
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