Una storia di amicizia?
Il problema della misura in meccanica quantistica
di Lorenzo Maccone
Rappresentazione grafica del paradosso dell’ “amico di Wigner” (da Eugene Wigner che ne diede la prima formulazione). Immaginiamo che un amico di Wigner effettui delle misure su un sistema fisico dentro un laboratorio isolato, mentre Wigner, fuori dal laboratorio, svolge esperimenti sull’amico che misura. La contraddizione consiste nel fatto che il laboratorio è un sistema isolato, dove si fanno misure, e i postulati quantistici ci dicono quindi che l’evoluzione (dell’amico) è sia deterministica che probabilistica.
Questa è una delle varie versioni del “problema della misura”, anche se in verità il vero problema è che i fisici non riescono a mettersi d’accordo su quale sia il “problema della misura”. Alcuni, anzi, affermano che non c’è proprio nessun problema. La prima possibile soluzione del paradosso dell’amico è quella più ovvia: supponiamo che l’amico e il laboratorio non siano sistemi quantistici e quindi non siano vincolati dai postulati della meccanica quantistica. Questa soluzione dice che la meccanica quantistica non è una teoria universale, ma si applica solamente ai sistemi microscopici. Il problema in tal caso è duplice. Da una parte non abbiamo alcuna evidenza di una frontiera tra il mondo classico e quello quantistico, nonostante i molti esperimenti per scoprirla. Dall’altra, non è banale trovare una teoria che metta d’accordo la meccanica quantistica per sistemi micro e la meccanica classica su sistemi macro. La più importante teoria che riesce in questo difficile compito è la teoria di Ghirardi-Rimini-Weber, dal nome dei tre italiani che l’hanno proposta. Ma, nelle parole dello stesso Ghirardi, tale teoria è stata ormai quasi falsificata, nel senso che è stata dimostrata l’esistenza di fenomeni quantistici in oggetti talmente macroscopici dal rendere la teoria stessa inutile nel dividere il mondo classico dal mondo quantistico (vd. Sulle tracce felpate del gatto di Schrödinger sugli esperimenti ai LNGS, ndr).
Se teorie di questo genere dovessero essere falsificate, vuol dire che non possiamo risolvere il paradosso dell’amico appellandoci al fatto che l’amico è un sistema classico. Cioè dobbiamo trattare l’amico (e noi stessi!) come sistemi quantistici, per quanto strano possa sembrare. Quindi dobbiamo cercare una spiegazione diversa del paradosso dell’amico. Uno potrebbe semplicemente ignorare il problema. Questo è l’atteggiamento della maggior parte dei fisici, i quali si accontentano dell’interpretazione da libro di testo (“interpretazione di Copenhagen”) della meccanica quantistica che, sostanzialmente, fa finta di niente. Naturalmente ciò è insoddisfacente dal punto di vista concettuale, ma all’atto pratico il paradosso dell’amico non ha nessuna conseguenza: la nostra tecnologia è ancora lontanissima dal poter fare esperimenti su sperimentatori che fanno esperimenti (gli amici dei fisici possono stare tranquilli!).
GianCarlo Ghirardi che, insieme ai colleghi Alberto Rimini e Tullio Weber, ha elaborato una teoria (nota come “GRW” dalle iniziali dei loro cognomi), che si pone lo scopo di rendere compatibili il mondo classico e il mondo quantistico.
Per cercare di risolvere il paradosso dell’amico, bisogna fare un passo indietro per capire cosa vuol dire che i risultati delle misure sono probabilistici (non determinati). Siamo abituati a usare le probabilità per descrivere la nostra ignoranza: non conosciamo la traiettoria esatta della moneta lanciata per aria e assegniamo probabilità 1/2 che venga testa o croce; non conosciamo la sequenza delle carte da gioco e assegniamo una probabilità 1/52 di estrarre l’asso di picche dal mazzo e così via. Possiamo dire la stessa cosa della probabilità dei risultati delle misure quantistiche? Cioè, possiamo dire che l’impossibilità di prevedere il risultato è dovuto a qualcosa (una variabile nascosta) che non conosciamo?
Questa era la speranza di Einstein, che riteneva che la meccanica quantistica fosse incompleta. Tale speranza si infrange catastroficamente contro il teorema di Bell che, sostanzialmente, dice: “ogni completamento della meccanica quantistica con variabili nascoste è necessariamente non locale”. Cioè una persona che conoscesse le variabili nascoste potrebbe comunicare istantaneamente a distanze arbitrarie. La cosa sembra abbastanza innocua, ma la teoria della relatività dice che, se potessimo comunicare a velocità superiori a quelle della luce, potremmo invertire l’ordine temporale di alcuni eventi. E se i due eventi sono uno la causa dell’altro, potremmo invertire la causa e l’effetto! In altre parole, le variabili nascoste non locali sono in contraddizione con la causalità, per via della relatività di Einstein. Proprio lo stesso Einstein che suggeriva l’esistenza di variabili nascoste: ironico, no?
Quindi, Bell ci dice sostanzialmente che, se vogliamo descrivere le probabilità quantistiche con variabili nascoste, dobbiamo abbandonare la causalità oppure la relatività. (Qui stiamo semplificando: il dibattito scientifico sul teorema di Bell è ancora molto vivo, ma la sostanza è questa). Esistono quindi due possibili risposte al teorema di Bell: la “meccanica bohmiana” (da David Bohm), che accetta l’esistenza delle variabili nascoste abbandonando la causalità relativistica, oppure tutte le altre interpretazioni della meccanica quantistica, che rinunciano alle variabili nascoste per salvare la causalità relativistica. Entrambe le opzioni sono insoddisfacenti, ma il teorema di Bell non ci lascia scelta. La meccanica bohmiana risolve il problema della misura, perché la probabilità del postulato di Born si può giustificare con l’ignoranza delle variabili nascoste (ricordate, la probabilità è sempre legata all’ignoranza di qualcosa). Ma il prezzo pagato è decisamente inaccettabile per molti: la causalità relativistica è una conseguenza diretta della struttura geometrica dello spaziotempo (per non parlare del fatto che senza causalità non potremmo neanche sopravvivere: non potremmo neanche attraversare la strada o evitare di morire di fame).
Eugene Wigner, fisico e matematico di origini ungheresi, premio Nobel nel 1963 per i suoi studi sull’applicazione delle simmetrie al mondo atomico e subatomico. Suo è il famoso paradosso dell’amico che mette in luce le contraddizioni tra l’evoluzione deterministica e probabilistica di un sistema.
Oggi ci sono vari tentativi, per esempio da parte di Wojciech H. Zurek e David Deutsch, di unire i due concetti di probabilità, ma gli argomenti addotti non sembrano conclusivi. O forse si riuscirà a sistemare la questione usando il fatto che gli apparati di misura contengono una miriade di gradi di libertà che non possono tutti essere conosciuti: magari la probabilità viene dall’ignoranza di questi? È possibile, ma per ora la teoria è ancora incompleta.
Carlo Rovelli ha proposto un’interpretazione della meccanica quantistica in cui solo le proprietà relazionali dei sistemi quantistici sono reali.
Biografia
Lorenzo Maccone è professore presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Pavia e associato all’INFN di Pavia. La sua attività di ricerca riguarda i fondamenti della meccanica quantistica, la teoria dell’informazione, computazione e misurazione quantistica.