Quanti in pratica
Attualità e prospettive delle tecnologie quantistiche
di Saverio Pascazio
Il nemico da battere nelle tecnologie quantistiche è la decoerenza. “HYBRID 2019 MAR 28”, acrilico su tela e multistrato di betulla, opera di Eugenio Lopopolo (https://www.eugeniolopopolo.it).
Le tecnologie quantistiche sono un campo emergente della fisica. Ma cosa consentono di fare? Come funzionano e perché? Cerchiamo di rispondere a queste domande. Il calcolo quantistico, le simulazioni quantistiche, i sensori, la crittografia e l’imaging quantistici sono tutti esempi di tecnologie quantistiche. Prima di descrivere brevemente queste applicazioni, è utile sottolineare alcune distinzioni. Molti dispositivi che utilizziamo nel quotidiano fanno pieno uso di effetti tipicamente quantistici. Fra questi i laser, i transistor e in generale i dispositivi basati sulle proprietà quantistiche dei semiconduttori, il cui utilizzo ha modificato profondamente la nostra vita (si pensi a telefonini e computer). Questi dispositivi vengono chiamati tecnologie “quantum 1.0” per differenziarli dalle tecnologie “quantum 2.0”, che utilizzano sovrapposizioni ed entanglement, facendo uso di sistemi spesso ingegnerizzati, composti da un elevato numero di componenti quantistici elementari. Il “calcolo quantistico” funziona utilizzando il cosiddetto “parallelismo quantistico”, cioè eseguendo più calcoli allo stesso tempo.
La “crittografia quantistica” consente di comunicare in modo ultrasicuro (in gergo si dice “intrinsecamente sicuro”) utilizzando l’entanglement. L’idea di base consiste nel distribuire una chiave crittografica quantistica che non può essere “copiata” grazie a una proprietà nota come “no cloning theorem”. Si può fare un clone della pecora Dolly, ma non di uno stato atomico. Chi non è (fisicamente) in possesso della chiave non può decifrare i messaggi.
Le prime comunicazioni quantistiche ultrasicure sono già state effettuate, molte di esse in Europa e in Italia. Una bella applicazione è il “generatore quantistico di numeri casuali”: i numeri generati superano tutti i test di aleatorietà che affliggono invece qualsiasi algoritmo non quantistico.
b./c.
Richard Feynman fu il
primo a capire che un
computer quantistico
può simulare i fenomeni
naturali meglio di un
computer classico.
L’imaging quantistico sfrutta l’entanglement per ottenere superrisoluzione, cioè risolvendo sorgenti luminose al di sotto di tutti i limiti classici. Si riesce quindi a superare anche il famoso limite di Rayleigh, che è alla base dell’ottica tradizionale. Un esempio notevole è il cosiddetto “ghost imaging”, con il quale si riesce a migliorare l’immagine di un oggetto incrociando l’informazione di due diversi rivelatori di luce. La domanda spontanea a questo punto è: che cosa si può fare con le tecnologie quantistiche e in quali tempi? Rispondere a questa domanda, evitando facili ottimismi e slogan, non è semplice, soprattutto se si cerca di fare qualche previsione realistica. Sensori, crittografia e imaging quantistici sono tutti esempi di tecnologie quantistiche il cui funzionamento è già stato provato, al di là di qualsiasi ragionevole dubbio. La domanda giusta qui è pertanto: quando potremo disporre di queste tecnologie comprando i dispositivi che ci servono? L’indice che si utilizza è il TRL (Technology Readiness Level). Alcune tecnologie hanno già raggiunto TRL molto elevati, che vanno da 4 a 7. La commercializzazione è convenzionalmente fissata al valore 9.
Alcuni simulatori quantistici sono già funzionanti: qui il criterio giusto da considerare è il cosiddetto “vantaggio quantistico”. Con questo termine si intende la dimostrazione sperimentale che un simulatore quantistico riesce a svolgere un compito che non è alla portata di nessun dispositivo classico esistente. La corsa verso il vantaggio quantistico è aperta, e sono in molti a competere, sia organi di ricerca che enti privati. Non esiste ancora un buon computer quantistico. Quelli disponibili sono in grado di fare calcoli che possono essere svolti anche su un computer classico oppure che realizzano il “vantaggio” con bassa probabilità. Tradotto in parole povere, questo vuol dire che i computer quantistici esistenti, se messi alla prova con problemi realmente difficili, fanno errori e danno il risultato giusto con probabilità molto piccola. Azzardare una previsione sui tempi è molto difficile. Possono volerci 10 anni.
Interferometro in guida d’onda, realizzato tramite microfabbricazione laser a femtosecondi e utilizzabile per misure su stati di singoli fotoni. I fotoni sono iniettati all’ingresso del circuito e raccolti in uscita da collegamenti in fibra ottica.
Le tecnologie quantum 2.0 invece sono già disponibili o in certi casi dietro l’angolo. Fanno buon uso della sovrapposizione quantistica, dell’entanglement e di sistemi ingegnerizzati composti da molte particelle, creando, manipolando e misurando gli stati quantistici della materia e della radiazione. Attraggono enormi finanziamenti pubblici in Europa, negli Stati Uniti, in Canada, in Cina, in Giappone, in India e in Australia. Molte aziende private investono somme ingenti in questo settore, utilizzando ricercatori dedicati, spesso sottratti alle strutture pubbliche. Le tecnologie quantistiche corrono verso TRL elevati e verso il vantaggio quantistico. Fanno uso di concetti che venivano rifiutati (o al meglio ritenuti “filosofia”) fino agli anni ’80. Come spesso accade in fisica, sono state le prime conferme sperimentali a spazzare via lo scetticismo e a farci capire che i paradossi erano ancorati al nostro modo di pensare, ai nostri pregiudizi di fisici classici. I paradossi di ieri sono la tecnologia di domani.
Processore fotonico riconfigurabile. Una complessa rete di microriscaldatori realizzata sulla superficie consente di modificare in modo dinamico la funzionalità del circuito ottico e realizzare così diverse operazioni quantistiche.
Anni fa, durante una conferenza a Napoli, un gruppo di fisici discuteva animatamente sull’interpretazione della meccanica quantistica. Il grande fisico George Sudarshan, i cui contributi hanno spaziato dalla teoria delle particelle all’ottica quantistica, dai sistemi quantistici dissipativi all’effetto Zenone quantistico, ascoltava in silenzio. A un certo punto disse: “It is a good thing that quantum mechanics does not depend on its foundations” (“È una buona cosa che la meccanica quantistica non dipenda dai suoi fondamenti”). Vi è molta verità e anche una buona dose di saggezza in questa affermazione scherzosa. Le generazioni future utilizzeranno le tecnologie quantistiche senza chiedersi che fine abbia fatto il gatto di Schrödinger, un po’ come noi usiamo il telefonino senza farci troppe domande sulle leggi quantistiche che governano il trasferimento di carica elettrica nei transistor.
Biografia
Saverio Pascazio è un fisico teorico. È professore presso l’Università di Bari e si occupa di fisica quantistica, fenomeni complessi e complessità quantistica.