antimateria

  • L’esperimento Alpha e i segreti dell’antimateria

    alphaL’esperimento Alpha che si trova all'Antiproton Decelerator del Cern ha osservato per la prima volta la struttura iperfine dell’anti-idrogeno, il corrispettivo di antimateria dell'idrogeno: il risultato è pubblicato sulla rivista Nature. Lo studio è una delle prime applicazioni all'antimateria della spettroscopia, che consiste nel misurare la struttura interna degli atomi sfruttando la loro interazione con la radiazione elettromagnetica. Si tratta della misura di una energia caratteristica dello spettro iperfine dell'anti-idrogeno ottenuta osservando il comportamento degli atomi di anti-idrogeno quando vengono irraggiati con microonde.

    Questi atomi sono stati prodotti artificialmente all'Antiproton Decelerator dall'esperimento Alpha, e confinati grazie a intensi campi magnetici per poterli studiare. “Per capire se un anti-atomo si comporta come un atomo, l'energia misurata viene confrontata con l'analoga proprietà dello spettro dell'idrogeno, che è nota con grande precisione. In questo caso, entro i limiti di precisione di questa misura, non sono state osservate differenze significative tra i due spettri. Un risultato senz’altro entusiasmante!” commenta Simone Stracka , ricercatore associato Infn. [Eleonora Cossi]

    Foto: Maximilien Brice/CERN

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    Il cacciatore di antimateria
    novembre 2011

    Il 16 maggio alle ore 14:56, assieme allo shuttle Endeavour, dal Kennedy Space Center di Cape Canaveral ha lasciato la Terra il rivelatore di particelle Ams (Alpha Magnetic Spectrometer), che dopo pochi giorni è stato collocato dagli astronauti sulla Stazione Spaziale Internazionale (Iss). Realizzato con il fondamentale contributo del mondo della ricerca italiano, grazie all'Infn e all'Asi, il "cacciatore di antimateria" Ams inizia così la sua missione scientifica, come primo esperimento di "big science" a operare sulla Iss. La missione di Ams è studiare nuclei di antimateria (vd. Asimmetrie n. 7, "Antimateria", ottobre 2008, ndr), ad esempio l'anti-elio, a cui stanno dando la caccia da tempo scienziati di tutto il mondo, con esperimenti sia in orbita sia nei luoghi più estremi del nostro pianeta. La loro scoperta potrebbe suggerire l'esistenza di antistelle e antigalassie o svelarci la natura della materia oscura. Ams continuerà a operare per almeno 10 anni, raccogliendo dati e inviando a terra un'enorme quantità di informazioni veicolate da 300 mila canali di elettronica. Questi dati, che complessivamente ammonteranno a circa 100 terabyte di memoria, saranno gestiti da grandi centri di calcolo anche in Italia, per poi essere studiati dai ricercatori della collaborazione. [C.P.]

    Neutrini in 3D sotto il Gran Sasso
    novembre 2011

    È stato inaugurato ufficialmente lo scorso 29 marzo ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso l'esperimento Icarus, progettato dal premio Nobel Carlo Rubbia. L'esperimento era entrato gradualmente in funzione già dal 2010, catturando le tracce dei rari raggi cosmici che raggiungono le profondità del laboratorio, ma soprattutto gli eventi delle interazioni dei neutrini del fascio proveniente dal Cern. Icarus, infatti, punta a studiare l'oscillazione dei neutrini, ma anche a osservare i neutrini cosmici e quelli solari e il decadimento del protone, fenomeno mai finora osservato e inseguito dai fisici di tutto il mondo. Ciò che lo rende unico è la tecnologia innovativa del suo rivelatore. Un grande rivelatore a fili, immerso in 600 tonnellate di argon liquido, che registra il passaggio delle particelle grazie alle cariche elettriche rilasciate lungo il loro percorso dal processo di ionizzazione dell'argon. Icarus riesce in questo modo a ricostruire tracce di particelle in 3 dimensioni, replicando su un grande volume la risoluzione spaziale ed energetica delle vecchie camere a bolle, ma con una velocità estremamente maggiore. Lo si può considerare a pieno titolo il capostipite – per ora unico al mondo – di una nuova serie di apparati di rivelazione sempre più evoluti. [V.N.]

    Più veloce dell'impossibile
    novembre 2011

    I ricercatori dell'esperimento Opera – che studia i neutrini inviati dal Cern di Ginevra ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell'Infn – hanno dovuto chinare la testa di fronte all'evidenza. Dopo 730 km percorsi attraverso la crosta terrestre i neutrini si sarebbero infatti presentati all'arrivo con 60 nanosecondi di anticipo sul tempo che avrebbe impiegato la luce a percorrere la stessa distanza nel vuoto, un risultato che potrebbe far crollare uno dei pilastri della fisica moderna: nessuna particella può superare la velocità della luce. Grande precisione è stata usata per la misura del "via" ai neutrini dal Cern e del tempo di arrivo al Gran Sasso, e la distanza che separa i due laboratori è stata misurata con grande accuratezza, tenendo sotto controllo i movimenti della crosta terrestre lungo la traiettoria dei neutrini nei tre anni dell'esperimento. L'atteggiamento dei ricercatori di Opera è di estrema prudenza e di massima apertura al confronto con futuri risultati di esperimenti dello stesso tipo, come l'americano Minos o il giapponese T2K. [F.S.]



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    Segnali dall’antimateria
    Giugno 2009

    Pamela (Payload for Antimatter Matter Exploration and Light - nuclei Astrophysics), il satellite internazionale coordinato dai ricercatori dell’Infn, ha recentemente osservato importanti segnali di antimateria in una regione vicina alla nostra galassia. La scoperta, pubblicata su Nature il 2 aprile scorso, ha importanti implicazioni anche sulle possibili spiegazioni della materia oscura, l’ignota forma di materia che compone più di un quinto di tutto il nostro Universo. Da circa tre anni Pamela orbita intorno alla Terra a un’altezza compresa tra 350 e 600 chilometri: cerca l’antimateria nei raggi cosmici, le particelle accelerate a velocità vicine a quella della luce in seguito a fenomeni violenti nel Cosmo, come le esplosioni di supernovae. Sono soprattutto protoni e nuclei di atomi, ma vi si trovano anche particelle di antimateria e in particolare antiprotoni e antielettroni (positroni). I risultati pubblicati su Nature evidenziano un’anomalia nel rapporto tra il numero di positroni e di elettroni rivelati: un’abbondanza di positroni che trova una possibile spiegazione in segnali di materia oscura, anche se non si possono escludere per ora contributi dovuti alla presenza di buchi neri e pulsar. L’ipotesi sostenuta dal team internazionale che analizza quotidianamente i dati inviati da Pamela sulla Terra è che le particelle di materia oscura siano presenti nella nostra galassia perché attratte dalla forza di gravità. Annichilandosi, produrrebbero sciami di particelle secondarie di alta energia e, in particolare, le particelle di antimateria che Pamela sta rivelando. [F.S.]

    WWW
    Giugno 2009

    L’acronimo di tre lettere che digitiamo prima di (quasi) ogni indirizzo in Internet, ha compiuto 20 anni. Era il 13 marzo del 1989 quando T. J. Berners-Lee, fisico inglese in forza al Cern di Ginevra, presentò per la prima volta ai suoi responsabili un documento destinato a dar vita a una nuova era nell’industria e nella società globale. “Vago, ma interessante”, fu il commento di uno dei responsabili. In quel periodo al Cern lavoravano migliaia di scienziati da tutto il mondo, ognuno con il suo computer, la sua lingua e il suo sistema operativo. Il Lep era nel vivo della sua attività e i fisici avevano la forte esigenza di scambiarsi i dati da analizzare, cioè di comunicare senza dover conoscere gli indirizzi “tecnici” del computer di ciascun collega. Ed ecco che T. J. Berners-Lee ideò il progetto intitolato Gestione dei dati: una proposta, che gettò le basi per il world wide web, quell’alfabeto universale che tutti i computer connessi nel mondo oggi utilizzano continuamente. Il futuro della rete di oggi, invece, si chiama Grid: quando l’acceleratore Lhc sarà in fase di presa dati, più di 200 centri di calcolo in 33 paesi connessi dalla fibra ottica analizzeranno qualcosa come 20 milioni di gigabyte l’anno. [C.P.]

    SuperBeam
    Giugno 2009

    Un’innovativa metodologia sviluppata ai Laboratori Nazionali di Frascati ha permesso di migliorare notevolmente l’efficienza delle collisioni tra particelle negli acceleratori aumentandone la luminosità, il parametro fondamentale che determina il numero degli urti. Grazie alla tecnica sviluppata dal gruppo guidato da Pantaleo Raimondi, l’acceleratore Dafne di Frascati è oggi, tra le macchine che lavorano nella stessa regione d’energia, quella di più alta luminosità al mondo.
    La nuova metodologia rende possibile anche gli studi per lo sviluppo di un innovativo acceleratore italiano, la SuperB: una potente B-factory (fabbrica di particelle B) con una luminosità fino a 100 volte superiore rispetto alle due esistenti nel mondo, in California e in Giappone. Nella SuperB saranno fatti scontrare fasci di elettroni e positroni, con l’obiettivo di produrre grandi quantità di mesoni B (particelle formate da due quark, dei quali uno di tipo b, bottom) e studiarne i modi di decadimento molto rari. Gli esperimenti permetteranno di studiare, tra gli altri, il fenomeno noto come violazione della simmetria CP, secondo il quale non può esistere un mondo, immagine allo specchio del nostro, nel quale le particelle siano sostituite dalle loro antiparticelle, manifestando così la capacità della natura di distinguere tra materia e antimateria. Lo scorso dicembre l’Infn ha approvato l’inizio della fase di studio di fattibilità di SuperB, i cui risultati sono previsti entro i prossimi due anni. [F.S.]


    Per approfondimenti su materia oscura e antimateria si vedano rispettivamente i numeri 4 e 7 di Asimmetrie.

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  • [as] radici - L'equazione di Dirac.

    [as] radici
    L'equazione di Dirac.

    di Enrico Bellone, direttore de Le Scienze

    a.
    Dirac alla lavagna, nei primi anni ’30 dello scorso secolo.
    Siamo alla fine del 1927 e la comunità dei fisici ha molti problemi da risolvere. Uno di questi riguarda una proprietà enigmatica dell’elettrone che è stata battezzata con il nome spin e che consiste nella presenza di due numeri quantici, pari a + ½ e – ½. In termini di senso comune, l’elettrone si comporta come se potesse ruotare intorno a un asse in un senso e in quello opposto: un modo intuitivo di descrivere il fatto per cui questa particella ha lo spin. Ma l’intuizione non è un buon argomento. Essa permette certamente di costruire un modello di elettrone, presumendo che la particella abbia una forma geometrica tale da consentire rotazioni attorno a qualcosa. Altrettanto certamente, però, una teoria sull’elettrone non può partire da un modello di questo genere. Deve essere una teoria matematica, e su questo c’è un ampio consenso. Il giovane Paul A.M. Dirac ha, in generale, una posizione molto precisa: dobbiamo usare tutte le potenzialità della “matematica pura” con lo scopo di generalizzare la base formale della fisica teorica, e solo dopo possiamo tradurre i risultati matematici in un linguaggio che parla di “entità fisiche”. Quale entità fisica è allora in gioco? Nel caso dell’elettrone, la modellistica suggerisce che esso sia un oggetto corporeo e quindi dotato di dimensioni. Ma, come osserva Dirac nel 1928, non è affatto chiaro il motivo per cui “la Natura dovrebbe aver scelto questa particolare struttura per l’elettrone, invece di essere soddisfatta della carica puntiforme”. La vera questione sta invece nella necessità di superare “l’incompletezza delle precedenti teorie” e di sviluppare un sistema matematico che soddisfi sia i requisiti della teoria della relatività, sia quelli della teoria dei quanti. Il superamento si realizza con un capolavoro, intitolato The Quantum Theory of the Electron, che Dirac pubblica appunto nel 1928.
    È impossibile descrivere questo capolavoro senza ricorrere all’armamentario della matematica. In linea di massima, si può comunque ricordare che Dirac riprende certe matrici già impiegate da Wolfgang E. Pauli, in contesto quantistico, per esprimere certe proprietà dello spin. Quelle matrici, ora, devono per Dirac rispettare anche le clausole relativistiche sulle simmetrie fra spazio e tempo. Le matrici di Pauli erano a due righe e due colonne, quelle di Dirac sono a quattro righe e quattro colonne. Fatta questa operazione, altri passi puramente algoritmici sfociano necessariamente in una nuova equazione generale per l’elettrone. Per valutare lo spin era allora indispensabile esplicitare il comportamento dell’elettrone in un campo elettromagnetico. Un comportamento matematico, s’intende. Che culminava in un successo e in un nuovo enigma. Il successo stava nella deducibilità dello spin da un punto di vista puramente teorico. L’enigma era inatteso e riguardava proprio le soluzioni matematiche dell’equazione di Dirac. Esse infatti formavano una famiglia che, inaspettatamente, era formata da due sottofamiglie di pari entità. Solo una era tuttavia da prendere in considerazione: l’altra “metà delle soluzioni deve essere scartata in quanto si riferisce alla carica + e”. E dovrebbe essere scartata perché nessuno ha mai osservato in Natura un elettrone con carica positiva.
    Ma l’operazione di rigetto non era comunque ammissibile nella cornice della teoria quantistica. Quest’ultima non poteva infatti scartare a priori eventi connessi alla “altra metà” delle soluzioni e che implicavano la possibilità di salti quantici tra livelli energetici descrivibili come positivi o negativi. In un primo momento, quindi, parve giusto a Dirac sostenere che la sua teoria fosse da valutare come una “approssimazione”. Le carenze stavano tutte quante nella base empirica. La teoria di Dirac aveva in realtà scoperto il positrone, ma dovevano trascorrere alcuni anni prima che Carl D. Anderson, e soprattutto Patrick M. Blackett e Giuseppe Occhialini, nel 1933 scovassero le prove sperimentali di quella “approssimazione”. Nell’intervallo fra il 1928 e il 1933 molti furono i tentativi di fornire una interpretazione accettabile delle previsioni fatte da Dirac. Per tutti noi, ad ogni modo, quell’articolo di Dirac rimane come uno dei punti più alti della storia della cultura umana.

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  • A caccia di asimmetrie

    A caccia di asimmetrie
    Grandi esperimenti per scoprire piccole violazioni.
    di Fernando Ferroni

    a.
    La nebulosa Occhio di Gatto. Al momento del Big Bang materia e antimateria furono prodotte nella stessa quantità, ma oggi ciò che conosciamo nel nostro Universo è fatto di materia. L’antimateria originaria sembra così scomparsa.

    In fisica il concetto di simmetria gioca un ruolo fondamentale. In particolare nella meccanica quantistica, la teoria deputata a descrivere i fenomeni che avvengono nell’infinitamente piccolo, cioè a livello nucleare e subnucleare. È quasi ironico che, in un mondo dove tutte le leggi che lo governano sono figlie di una simmetria, ci sia una asimmetria fondamentale: quella tra materia e antimateria. Ad oggi non c’è alcuna evidenza che nell’Universo ci siano regioni composte di antimateria, tuttavia questa assenza è un fatto abbastanza misterioso. All’inizio del tempo, infatti, quando il Big Bang avvenne, necessariamente si produsse un’analoga quantità di materia e antimateria. Questo lo possiamo verificare quotidianamente nei nostri acceleratori di particelle dove l’annichilazione di un elettrone con la sua antiparticella, il positrone, produce stati finali assolutamente simmetrici rispetto alla quantità di materia e antimateria. La prova che all’inizio l’Universo fosse simmetrico è data inoltre dal cosiddetto fondo di microonde a 3  kelvin che lo permea (vd. Asimmetrie n.4, ndr). Esso è composto di fotoni, quelli creati nell’evoluzione iniziale dell’Universo dall’annichilazione delle particelle con le loro antiparticelle. Essi erano allora molto energetici ma il lungo cammino che hanno percorso, nei quasi 14 miliardi di anni di vita, per effetto dell’espansione dell’Universo seguita al Big Bang, li ha fatti diventare “freddi”, cioè di bassa energia. Bisogna anche dire che in un Universo totalmente simmetrico non saremmo ammessi noi, osservatori fatti di materia! Solo i fotoni dovrebbero esistere, mentre tutte le particelle dotate di massa dovrebbero aver subito il processo di annichilazione. Ma noi esistiamo e così i pianeti, le stelle e le galassie. Insomma, la materia c’è, persino quella “oscura”! Questo vuol dire che una parte delle particelle, quelle di un determinato “segno” (la materia, appunto), sono sopravvissute. Se le contiamo, vediamo però che esse sono straordinariamente poche: un protone ogni 100 milioni di fotoni. C’è dunque una violazione della simmetria tra materia e antimateria, ma da questo ultimo dato si deduce che essa debba essere molto piccola. Le particelle cioè si devono comportare in maniera impercettibilmente diversa dalle antiparticelle. Si è supposto che ciò si potesse attribuire a una differenza di comportamento tra particelle e antiparticelle per quanto riguarda le proprietà della coniugazione di carica (C) e della parità (P): questa differenza nel comportamento viene chiamata violazione CP (vd. CP, la simmetria imperfetta., ndr).
    Alla fine degli anni ’50 dello scorso secolo tutti erano convinti che la simmetria CP fosse inviolabile. Si pensava, cioè, che una particella riflessa da uno specchio si comportasse come la sua antiparticella davanti allo specchio. Due fisici statunitensi, Jim Cronin e Val Fitch, attaccarono questo tabù, e il coraggio fu premiato. La violazione fu osservata come un effetto minuscolo nel decadimento di un particolare tipo di particelle, i mesoni K0. Esistono due stati di mesoni K0: i “corti” (KS), a vita breve che generalmente decadono in 2 pioni, e i “lunghi” (KL), a vita medio-lunga, appunto, che decadono di solito in 3 pioni. Ciò che si trovò fu che il decadimento dei mesoni K0 “lunghi” produceva due pioni con una frequenza bassissima ma che corrispondeva comunque a un minuscolo effetto di violazione di CP. Così minuscolo che non a caso la scoperta della violazione di CP è del 1964 ma il successivo progresso significativo si è avuto dopo quasi 30 anni!
    Una delle conseguenze di questo fondamentale esperimento, premiato col Nobel, fu la formulazione di Andrej Sacharov delle condizioni necessarie per spiegare l’asimmetria tra materia e antimateria nell’Universo. In breve esse sono: prima, l’esistenza del decadimento del protone (assai raro visto che noi, fatti di protoni, siamo qui a discuterne), che è oggetto di ricerca sperimentale in laboratori sotterranei nel mondo, e in Italia ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Infn; seconda, la violazione CP, per l’appunto osservata nell’esperimento di Cronin e Fitch; e, terza, il fatto che, al tempo della scomparsa dell’antimateria, a ogni reazione non sia corrisposta una reazione opposta, che la controbilanciasse mantenendo così il sistema in equilibrio.

    b.
    La camera a vuoto dell’esperimento Na48, dove sono stati studiati i decadimenti spontanei dei mesoni K0 in coppie o triple di pioni. Nel 1999 dallo studio di questi decadimenti è stato ricavato un importante risultato: la misura della violazione CP diretta.
    c.
    Il rivelatore Kloe ai Laboratori Nazionali di Frascati dell’Infn. L’esperimento, ancora in funzione, ha consentito di eseguire misure molto precise sul decadimento dei mesoni K0 contribuendo in modo significativo a far luce su questi eventi, la cui comprensione è fondamentale per lo studio della violazione CP.

    Inizia a questo punto un’avventura non ancora conclusa che cerca di spiegare e inquadrare questa violazione nelle attuali teorie di fisica delle particelle, e soprattutto di capire se questo è quello che serve per rendere l’Universo asimmetrico. La prima domanda fondamentale che ci si pose fu se la violazione osservata potesse spiegarsi con effetti non ancora conosciuti delle interazioni deboli o se dipendesse da una nuova forza (in aggiunta alle quattro note). Solo gli esperimenti potevano dare la risposta e per darla era necessario osservare un altro caso di violazione CP in un diverso processo debole (e allora sarebbe stato un fenomeno comune alle interazioni deboli), oppure dimostrare l’unicità di quanto osservato.
    Una premessa è necessaria. Perché si verifichi la violazione di CP serve che una particella e la sua antiparticella possano decadere nello stesso stato finale attraverso due percorsi quantistici diversi. La ricerca di un nuovo processo con i K “lunghi” richiedeva di misurare con precisione una quantità molto più piccola della violazione di CP osservata nell’esperimento di Cronin e Fitch. Se si fosse riuscito a misurare una quantità non nulla, allora la violazione di CP sarebbe stata figlia delle interazioni deboli.
    Tre esperimenti si sono a lungo cimentati con questa misura in laboratori americani, al Cern di Ginevra e in Italia ai Laboratori Nazionali di Frascati dell’Infn, con l’esperimento Kloe all’acceleratore Dafne. Grazie alle prove sperimentali abbiamo verificato l’effetto, ed esso è sicuramente diverso da zero: dopo 30 anni si dimostra dunque che la violazione CP è generata dalle interazioni deboli.
    Il secondo grande progresso avviene in congiunzione con lo studio della cosiddetta matrice CKM (dalle iniziali dei nomi dei tre scienziati che la formularono, Nicola Cabibbo, Makoto Kobayashi e Toshihide Maskawa), che mostra come la violazione della simmetria CP nel caso delle interazioni deboli porti a prevedere l’esistenza di sei quark rispetto ai quattro allora noti. Si vuole verificare se la violazione di CP osservata sia quella prevista, non solo in base ai risultati sperimentali noti, ma anche in base alla teoria deputata a descrivere il fenomeno, cioè il Modello Standard delle interazioni elettrodeboli, che include anche la Cromodinamica Quantistica (Qcd, perché fa riferimento alle proprietà dei quark, dette colori, che non hanno però nulla a che vedere coi colori come li intendiamo noi comunemente). I mesoni K purtroppo però non sono efficaci per questa verifica perché la loro massa è piccola, così piccola che le correzioni dovute alla Qcd impediscono ogni calcolo capace di produrre predizioni.

    d.
    Il rivelatore di Babar allo Stanford Linear Accelerator. Scopo dell’esperimento è studiare la violazione CP nel decadimento dei mesoni B. Per studiarla Babar fa scontrare un fascio di elettroni con uno di positroni che collidendo producono sia mesoni sia le loro antiparticelle. Attraverso l’attento studio delle differenze tra il decadimento del mesone B rispetto a quello del suo partner, l’antimesone B, sono stati forniti interessanti contributi allo studio della violazione CP.

    Bisogna allora cambiare famiglia di particelle e sceglierne di più pesanti per le nostre ricerche: tocca ai mesoni B0, che sono particelle equivalenti ai K0 ma di massa circa 10 volte maggiore. Due acceleratori speciali, in grado di produrre mesoni B alla frequenza di 10 Hz, sono stati costruiti in Giappone e negli Stati Uniti, e gli esperimenti opportunamente progettati hanno avuto un completo successo, dimostrando in maniera inoppugnabile che la violazione CP è spiegata dalla matrice CKM.
    La fisica della violazione CP è diventata oggi un settore di grande precisione e offre la possibilità di esplorare l’esistenza di una fisica che dia traccia di nuovi fenomeni. Questo compito è affidato a Lhc-b, uno dei quattro principali esperimenti del Large Hadron Collider al Cern di Ginevra, e sarà forse affidato alle SuperB-factory di cui si sta discutendo la costruzione sia in Giappone che in Italia. L’avventura continua anche perché la violazione CP, che Sacharov pose come seconda condizione per l’asimmetria tra materia e antimateria, nonostante tutto quello che abbiamo imparato, non è ancora stata compresa in modo soddisfacente: l’entità della violazione osservata, infatti, non è ancora sufficiente a spiegare perché il nostro Universo sia fatto di materia e non di antimateria.

    Biografia
    Fernando Ferroni, professore all’Università La Sapienza, si occupa di fisica delle particelle elementari dal 1975 e ha partecipato a molti esperimenti tra cui Babar allo Slac. Attualmente è presidente della Commissione Scientifica Nazionale di fisica delle alte energie con acceleratori dell’Infn.

     

    Link
    http://www.sciam.com/article.cfm?id=what-is-antimatter-2002-01-24
    http://www.sciam.com/article.cfm?id=in-search-of-antimatter
    http://arxiv.org/abs/hep-ph/9712475

     

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  • Aegis, l'unione fa la forza

    Unisci i punti. No, non è il nome dell’arcinoto gioco enigmistico. È l’appello lanciato dalla collaborazione scientifica Aegis a tutti gli appassionati di fisica che abbiano voglia di collaborare all’analisi dati dell’esperimento del Cern che studia l’antimateria.

    L’obiettivo di Aegis è misurare gli effetti dell’accelerazione gravitazionale sull’antimateria. In particolare sull’anti-idrogeno. Atomi di quest’ultimo vengono fatti scontrare con atomi di materia e le particelle, prodotte nel processo di annichilazione che ne consegue, vengono fatte viaggiare attraverso un’emulsione che rende visibili le loro tracce. Ricostruendo punto per punto queste tracce è possibile stabilire dove esattamente è avvenuta l’annichilazione e perciò è possibile misurare il percorso di ciascuna particella: da queste informazioni la collaborazione Aegis spera di riuscire a calcolare l’effetto della gravità sull’antimateria.

    E siccome la quantità di dati raccolti è enorme, prendendo ispirazione dal motto “l’unione fa la forza”, gli scienziati di Aegis chiamano a raccolta tutti gli appassionati affinché li aiutino a "unire i punti", cioè a ricostruire le tracce delle particelle, grazie a un’applicazione sviluppata dagli studenti che hanno partecipato all’edizione di quest’anno della Cern Summer Webfest. E come sottolineano i ricercatori, collaborare a questa impresa è divertente e il contributo che ciascuno dà potrebbe essere incluso in una prossima pubblicazione scientifica. [Antonella Varaschin]

     

    Attenzione: la visione della ricostruzione delle tracce è sconsigliata alle persone epilettiche.

    Per collaborare ad Aegis clicca qui.

  • Al Cern misura di precisione della massa dell'antiprotone

    asacusaL'esperimento Asacusa (Atomic Spectroscopy And Collisions Using Slow Antiprotons) del Cern di Ginevra, cui l'Infn partecipa, ha migliorato la precisione nella misura della massa dell'antiprotone. Un risultato che si è guadagnato la pubblicazione su Science. I fisici di Asacusa hanno raggiunto questo traguardo grazie a una innovativa tecnica spettroscopica, in grado di raffreddare gli atomi a una temperatura di 1,5-1,7 gradi al di sopra dello zero assoluto. Una temperatura, quindi, più bassa di quella dello spazio profondo.

    "Queste misure forniscono uno strumento unico per comparare con alta precisione la massa di una particella di antimateria con la sua controparte di materia", affermano i ricercatori del Cern. La misura rientra nel filone di studi sulla cosiddetta simmetria CPT (carica, parità, tempo), una simmetria fondamentale della Natura, in base alla quale se esiste una particella, allora deve esistere anche un'antiparticella con la stessa massa, ma carica opposta. Molti esperimenti hanno provato a cercare violazioni di questa simmetria. Ma finora le misure hanno portato tutte allo stesso risultato: l'uguaglianza della massa tra protone e antiprotone.

    Le indagini finalizzate a definire le caratteristiche dell’antimateria rappresentano da 50 anni uno dei punti di contatto tra la fisica delle particelle e lo studio dell’evoluzione dell’universo. Quando materia e antimateria entrano in contatto, spariscono in un lampo di energia, in un fenomeno che i fisici chiamano "annichilazione". Gli scienziati non hanno ancora capito perché agli albori del cosmo tutta l'antimateria sia sparita e la materia abbia prevalso sull'antimateria, seppure di poco, permettendo l'esistenza del cosmo così come lo conosciamo oggi. Una rottura, anche minima, della simmetria CPT potrebbe proprio aiutare gli studiosi a comprendere le ragioni della scomparsa dell'antimateria formata al momento del Big Bang.

    In futuro, la precisione della misura della massa dell'antiprotone potrebbe essere ulteriormente migliorata con l'avvio, sempre al Cern, del deceleratore di antiprotoni Elena (Extra-Low ENergy Antiproton ring). [Davide Patitucci]

     

    Il link all'esperimento: http://asacusa.web.cern.ch/ASACUSA/asacusaweb/main/main.shtml 

  • Ams conferma l'eccesso di antimateria nello spazio: è materia oscura?

    ams dueConfermando le prime osservazioni di Pamela e Fermi, l'esperimento Ams 02 (collocato sulla Stazione Spaziale Internazionale) ha comunicato di aver osservato un eccesso di positroni (antimateria di elettroni) nello spazio rispetto all'atteso e con una importante distribuzione in un range di energia. Come afferma un comunicato del Cern, i risultati di Ams si basano su circa 25 miliardi di eventi registrati in un anno e mezzo di attività e includono 400.000 positroni con energia compresa tra 0,5 GeV e 350 GeV. Questi rappresentano la più grande collezione di particelle di antimateria mai rivelata nello spazio. La frazione di positroni cresce tra i 10 GeV e i 250 GeV e i dati mostrano una tendenza alla riduzione della crescita di un ordine di grandezza nel segmento 20-250 GeV. I dati mostrano anche che non vi è nessuna variazione nel tempo né una direzione privilegiata di provenienza. Questi risultati sono coerenti con la presenza di positroni originati dalla annichilazione di particelle di materia oscura nello spazio, ma non sono sufficientemente conclusivi da escludere altre spiegazioni.

    Secondo il presidente Infn, Fernando Ferroni: “I dati di Ams sono una interessantissima conferma – con precisione maggiore– dei dati rilevati dagli esperimenti spaziali Pamela e Fermi in questi ultimi anni. Una conferma che non risolve certo il rebus dell’antimateria in eccesso. Ma che indica come i dati dei due esperimenti (anche questi a fortissima presenza italiana) avessero visto giusto nel rivelare questa anomalia. Che sia o meno materia oscura non può che dirlo un ulteriore sforzo per produrre nuovi dati e analizzarli. Un lavoro che, come giustamente sottolinea il team Ams, richiede ancora del tempo e della prudenza”.

    L’Italia ha dato un importante contributo alla costruzione e operazione del rivelatore nonché all’analisi dei dati, sotto la guida del professor Roberto Battiston, deputy spokesperson di Ams, dell’Università e Infn-Tifpa, Trento. La partecipazione dell’Italia è stata sostenuta dall’Infn e dall'Asi e ha visto il coinvolgimento delle Università e delle Sezioni Infn di Bologna, Milano Bicocca, Perugia, Pisa, Roma “Sapienza” e Trento in collaborazione con le industrie nazionali (Cgs, Caen, G&A Engineering, Fbk). Il contributo alla realizzazione della strumentazione spaziale ha riguardato il sistema di tempo di volo e di anelli Cherenkov (Bologna), il tracciatore al silicio (Perugia, Trento), il calorimetro elettromagnetico (Pisa), il rivelatore a radiazione di transizione (Roma), nonché il segmento a terra dei dati (Milano Bicocca). L’analisi dei dati è stata realizzata usando le infrastrutture di calcolo dell' Infn-Cnaf (Bologna) e dell' Asi-Asdc (Frascati).

  • Antimateria cosmica a Lhc

    lhcb collaborationL’esperimento Lhcb, uno dei quattro esperimenti di Lhc al Cern, è riuscito a ricreare in laboratorio le collisioni cosmiche fra protoni, accelerati nell’anello a un'energia di 6,5 TeV, e atomi di elio a riposo. Si tratta della prima misura di produzione di antimateria in collisioni protone-elio, e rappresenta perciò un passo significativo verso una migliore comprensione della produzione secondaria di antiprotoni nella propagazione dei raggi cosmici. Questi dati sono importanti per una più accurata interpretazione dei risultati degli esperimenti spaziali Pamela e Ams-02 sulla misura del rapporto tra protoni e antiprotoni nei raggi cosmici.

    L'idea di questa misura nasce da un gruppo di fisici, sia teorici che sperimentali, attivi su progetti di fisica astroparticellare presso le sezioni Infn di Catania, Firenze e Torino, che l'hanno proposta alla collaborazione Lhcb. Il gruppo Lhcb della sezione di Firenze ha guidato la sua realizzazione attraverso un uso innovativo dei fasci di Lhc che ha reso per un giorno Lhcb un "esperimento spaziale”. I primi risultati di questa misura sono stati presentati alla conferenza Rencontres de Moriond 2017, a La Thuile. Negli scorsi anni, l’ultima generazione di esperimenti nello spazio per lo studio dei raggi cosmici ha portato grandi contributi alla nostra conoscenza sulla piccola componente di antimateria, circa una parte su diecimila, presente fra le particelle di alta energia che viaggiano all’interno della nostra galassia. In particolare, gli esperimenti Pamela, in volo su un satellite dal 2006, e più recentemente Ams-02, in orbita dal 2011 sulla Stazione Spaziale Internazionale (Iss), entrambi progetti con una importante partecipazione dell’Infn, hanno misurato con precisione il rapporto fra antiprotoni e protoni nei raggi cosmici, spingendosi a energie di centinaia di GeV, inaccessibili fino a pochi anni or sono (vd. anche Notizie dalla stazione spaziale, ndr). L’antimateria può fornirci informazioni su processi ancora ignoti che avvengono nell’universo perché, ad esempio, potrebbe essere il prodotto dell’annichilazione di particelle di materia oscura. Ma sappiamo che una piccola frazione di antimateria deve essere prodotta nelle collisioni fra i raggi cosmici e la “polvere di stelle”, cioè il gas interstellare di bassissima densità, composto prevalentemente di idrogeno ed elio, che i raggi cosmici incontrano nel loro cammino.

    Per effettuare la nuova misura, i fisici di Lhcb hanno iniettato una minuscola quantità di gas di elio nel tubo ad alto vuoto dove circolano i fasci di LHC in prossimità del loro rivelatore, utilizzando un dispositivo chiamato, in modo evocativo, Smog. La pressione del gas è inferiore a un miliardesimo della pressione atmosferica, cosa necessaria a non alterare i fasci di Lhc, ma grazie all'intensità dei fasci di protoni è comunque sufficiente a completare la misura in poche ore.

    “Grazie a Smog, Lhcb ha aperto la strada all'uso dei fasci di Lhc per esperimenti su bersaglio fisso”, commenta Giacomo Graziani, ricercatore dell’Infn di Firenze, principale autore dello studio. “Sebbene questa configurazione non fosse prevista nel programma iniziale di fisica a Lhcb, – prosegue Graziani – la geometria del rivelatore è particolarmente adatta allo scopo, e potremo dare contributi importanti alla fisica dei raggi cosmici e alla fisica nucleare, grazie anche alla possibilità di utilizzare bersagli con diverso numero atomico, come elio, neon e argon".

    Grazie alla capacità di distinguere gli antiprotoni dalle altre particelle cariche, una specialità dell'esperimento, i fisici di Lhcb hanno misurato la probabilità che gli antiprotoni si formino in queste collisioni, che avvengono proprio all'energia rilevante per le attuali misure nello spazio. Per misurare con precisione la densità di questo bersaglio gassoso, è stata sviluppata una tecnica ad hoc: sono stati contati i singoli elettroni atomici che, “colpiti” dai protoni del fascio, un po' come palle da biliardo, vengono proiettati all'interno del rivelatore. Questo processo è conosciuto con grande precisione, e permette dunque di risalire al numero di atomi di elio esposti al fascio.

    “La misura realizzata contribuirà a ridurre le incertezze presenti sulla stima degli antiprotoni secondari nei raggi cosmici, dando quindi la possibilità di una interpretazione più chiara delle difficili misure sugli antiprotoni effettuate da Pamela e Ams-02, ed è una chiara dimostrazione dell’importanza della multidisciplinarietà in ambito scientifico”, sottolinea Oscar Adriani, direttore della sezione Infn di Firenze, uno dei proponenti della misura. “Questo risultato a Lhc – prosegue Adriani – è infatti segno della vivacità intellettuale delle collaborazioni scientifiche Lhcb e Pamela e dimostra la capacità di mettere insieme in modo complementare quello che osserviamo in cielo prodotto dagli ‘acceleratori spaziali’ e quello che realizziamo noi nei nostri ‘acceleratori terrestri’”.

    “L’antimateria cosmica è uno straordinario messaggero per la comprensione della produzione e propagazione di particelle nella galassia” spiega Fiorenza Donato, ricercatrice dell’Infn di Torino e professore di Fisica Teorica all’Università di Torino, che ha proposto la misura sull’elio ai colleghi sperimentali. “Tra gli antiprotoni misurati, - prosegue Donato - se ne potrebbero annidare alcuni originati dall’annichilazione di particelle di materia oscura, e i dati che Lhcb ha prodotto con notevole efficacia su bersaglio di elio potrebbero contribuire a rendere meno ambigua la loro individuazione. Questa misura può essere la prima di altre misure sviluppate dagli esperimenti al Cern con Lhc in collaborazione con la fisica cosmica, che ormai è diventata una scienza di alta precisione: la sinergia che si è creata può portare a importanti risultati per la soluzione di alcuni tra i più grandi misteri ancora irrisolti sul nostro universo, come quella della natura della materia oscura”, conclude Donato. [Antonella Varaschin]

  • Antiparticelle cosmiche

    Antiparticelle cosmiche
    Satelliti alla ricerca dell’antimateria primordiale.
    di Piero Spillantini

    a.
    La materia non è distribuita uniformemente nell’Universo, ma raggruppata in stringhe e nodi separati da enormi spazi vuoti, forse residui di regioni dove si è avuta annichilazione materiaantimateria. Questa immagine del Cosmo disseminato di galassie è stata ripresa dal telescopio spaziale Hubble tra il 2003 e il 2004.
    Pezzetti di mondi lontani nello spazio e nel tempo, i raggi cosmici sono messaggeri degli stessi fenomeni che li hanno creati e accelerati, in quelle zone remote e in quel tempo passato. Le leggi fondamentali della fisica affermano che il mondo materiale che ci circonda è il prodotto di una “deformazione” dell’Universo, che all’inizio della sua storia doveva essere molto diverso: rigorosamente simmetrico nel contenuto di particelle e antiparticelle, di materia e di antimateria. I fisici hanno chiamato questa deformazione violazione di CP, ossia dell’applicazione simultanea della simmetria di carica C (scambio particelle-antiparticelle) e della simmetria di parità P (riflessione spaziale) (vd. CP, la simmetria imperfetta., ndr). Questa simmetria iniziale presuppone che possa esistere, da qualche parte, un “riflesso” del nostro mondo fatto, invece che della materia di cui abbiamo comune esperienza, di sola antimateria.
    b.
    Sezione di Pamela: sono rappresentate le tracce di un elettrone e di un positrone. Una particella attraversa tutto il rivelatore senza arrestarsi, l’altra si annichila nel calorimetro convertendo la sua massa in energia. A destra, uno spaccato della configurazione finale del rivelatore Pamela.
    Dove sono, se esistono, gli “antimondi”? Quanti sono, e quanto sono lontani? Solo i pezzetti di antimateria presenti nei raggi cosmici possono dare una risposta, ma prima di arrivare a noi devono viaggiare a lungo e subire molte traversie: ne arrivano così pochi da essere confusi con quelli prodotti dalle interazioni tra i pezzetti di materia. Ecco perché è così difficile rivelarli, identificarli e contarli. Gli apparati devono essere grandi e complessi e devono intercettare i raggi cosmici direttamente nello Spazio, prima che interagiscano con l’atmosfera terrestre e divengano irriconoscibili.
    Dall’epica impresa dello scienziato tedesco Victor Hess, che nel 1912 portò un rivelatore nell’alta atmosfera su un pallone aerostatico, molte altre imprese sperimentali hanno permesso di accumulare una grande quantità di dati. Se Hess poté dimostrare l’origine cosmica della misteriosa radiazione che si manifestava nell’ambiente, oggi la curiosità degli scienziati si rivolge alla conoscenza dettagliata della sua natura e all’individuazione delle sue sorgenti. A questo scopo, anche se solo recentemente, si sono realizzati strumenti per satelliti in orbita, tali da rivelare i raggi cosmici prima che l’interazione con l’atmosfera terrestre ne modifichi la natura originaria. Uno di questi satelliti sta orbitando intorno alla Terra, trasmettendo dati dal giugno del 2006.
    Ha un nome accattivante, Pamela, e per identificare le antiparticelle è dotato di sistemi di rivelatori che raggiungono raffinatezze mai ottenute prima: un tracciatore elettronico, che rivela i punti di passaggio delle particelle con la precisione di 3 millesimi di millimetro, e un sistema di assorbimento dei raggi cosmici (il calorimetro), che fornisce un’immagine, con la risoluzione del millimetro, dell’interazione che il raggio cosmico subisce all’interno del rivelatore.
    [as] approfondimento
    Uno su un miliardo

    1.
    Illustrazione della Stazione Spaziale Internazionale, in orbita a 400 chilometri dalla Terra. Il rivelatore Ams è rappresentato nella posizione che occuperà a partire dal 2010. Oggi la Stazione Spaziale Internazionale è visibile dalla Terra e di notte è l’oggetto più brillante del cielo, dopo la Luna.
     

    Le osservazioni condotte negli ultimi decenni hanno messo in evidenza aspetti affascinanti e misteriosi sulla struttura dell’Universo. Tra questi, in particolare, appaiono decisivi per la comprensione delle origini e dell’evoluzione del Cosmo quelli che incidono sul bilancio globale di materia ed energia, come l’apparente scomparsa della antimateria primordiale e la presenza della materia oscura. Per dare risposta a interrogativi di questa natura, nel 1995 è stato proposto il programma Ams (Antimatter Matter Spectrometer), realizzato da una collaborazione internazionale nella quale l’Italia, con Infn e Asi (Agenzia Spaziale Italiana), ha un ruolo primario. Il sofisticato spettrometro superconduttore Ams-02, che entro il 2010 sarà installato sulla Stazione Spaziale Internazionale (Iss), pesa 7,5 tonnellate ed è dotato di un potente magnete superconduttore che avrà il compito di individuare eventuali antinuclei su oltre un miliardo di nuclei di fondo. Il magnete superconduttore di Ams-02 è il primo del suo genere a essere portato nello Spazio: opera a una temperatura di 1,4 gradi sopra lo zero assoluto (pari a –271,7 °C) e produce al suo interno un campo magnetico di 1 tesla, circa 20.000 volte superiore al campo magnetico terrestre. L’esperimento sarà completato e inviato al Kennedy Space Center della Nasa agli inizi del 2009: sarà quello il momento giusto per dare il via al conto alla rovescia. [Roberto Battiston]

    Biografia
    Roberto Battiston è professore di Fisica Generale presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Perugia. è responsabile nazionale dell’esperimento Infn Ams.

    Pamela è in grado di determinare con grande precisione la composizione e l’energia dei raggi cosmici: elettroni, positroni e antiprotoni, nuclei leggeri, e di rivelare eventuali antinuclei, in un intervallo di energia molto esteso: da alcune decine di milioni di elettronvolt ad alcune centinaia di miliardi di elettronvolt.
    La rivelazione accertata anche di un solo antinucleo sarebbe la testimonianza inconfutabile dell’esistenza di antimateria in qualche remota regione dell’Universo. La probabilità che l’antinucleo si formi dall’interazione di particelle, infatti, è praticamente nulla: l’antinucleo può essere creato solo dentro una antistella. A sua volta l’antistella può formarsi solo in un sistema di ammassi di antigalassie, la scala alla quale la gravità può formare i corpi celesti. La presenza dell’antinucleo, quindi, assicurerebbe che l’antimateria accertata è in quantità cosmologica, ossia sufficiente a tenere insieme gli ammassi di antigalassie in cui si è accesa la stella che ha prodotto l’antinucleo.Come accade per molti degli esperimenti che operano al confine delle possibilità tecniche, oltre che umane e sociali, la sperimentazione dà risposte anche a problemi fondamentali, non direttamente collegati allo scopo principale dell’esperimento.
    La ricerca di pezzetti di antimateria da antimondi lontani, infatti, spinge i ricercatori a indagare nel dettaglio il fondo di antimateria, fatto di positroni e antiprotoni, prodotto dalla materia ordinaria che ci circonda. Lo studio dettagliato delle particelle cosmiche che raggiungono i rivelatori offre un’altra occasione agli scienziati: rivelare la presenza e le caratteristiche della materia oscura nell’Universo.
    c.
    Andamento qualitativo previsto del rapporto tra i flussi di antiprotoni e di protoni in funzione dell’energia cinetica. In rosso, il caso di antiprotoni prodotti solo dall’interazione dei protoni con la materia interstellare (produzione secondaria). L’andamento costante, in verde, rappresenta il caso di produzione diretta di coppie protone-antiprotone da una sorgente, per esempio da materia oscura. Antiprotoni provenienti da regioni di antimateria nell’Universo contribuirebbero con andamento crescente (curva blu), poiché la possibilità che penetrino la Galassia aumenta con l’energia.
    Non ne conosciamo ancora la natura, ma sappiamo che la sua massa complessiva è circa l’85% di tutta la materia esistente (vd. Asimmetrie 4, ndr). E sappiamo che la sua presenza origina un’attrazione gravitazionale tale da tenere insieme le grandi strutture del Cosmo, come le galassie e gli ammassi di galassie. La materia oscura è tra le sorgenti possibili di particelle di antimateria: un eccesso di antiparticelle intrappolate nella nostra galassia sarebbe una inequivocabile testimonianza della presenza di materia oscura e lo studio di queste particelle potrebbe fornire indizi davvero preziosi per la sua comprensione. Promuovendo e guidando esperimenti per la ricerca di antimateria nei raggi cosmici a bordo di palloni stratosferici, l’Italia ha un ruolo trainante in questo percorso. è inoltre protagonista nello sviluppo di nuovi tipi di rivelatori su satelliti e nel perseguire l’obiettivo di portare questo tipo di sperimentazione nello Spazio. La paziente costruzione degli strumenti e la tenacia nel perseguire l’obiettivo sono stati per questa ricerca la chiave del successo di oggi.

    Biografia
    Piero Spillantini è professore all’Università di Firenze e consigliere scientifico all’ambasciata d’Italia a Mosca. È l’iniziatore dell’esperimento Pamela.

    Link
    http://www.scienzagiovane.unibo.it/antimateria.html
    http://ulisse.sissa.it/chiediAUlisse/domanda/2002/Ucau020923d006
    http://ulisse.sissa.it/chiediAUlisse/domanda/2008/Ucau080206d001
    http://pamela.roma2.infn.it/
    http://ams.pg.infn.it/

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  • Da Star Trek a Dan Brown

    Da Star Trek a Dan Brown
    L’antimateria nell’immaginario fantascientifico.
    di Fabio Pagan

    Il 6 gennaio 1996 il quotidiano francese Libération usciva con una prima pagina singolare, ispirata al mondo dei supereroi dei fumetti: un grande disegno a colori con una specie di Superman aggrappato a un meteorite. Titolo: Premiers pas dans l’antimonde. In didascalia si ricordava che nel settembre precedente, al Cern, erano stati fabbricati i primi antiatomi di idrogeno (due intere pagine del giornale erano infatti dedicate all’esperimento, con una lunga intervista all’italiano Mario Macrì) e che oggi, sulla Terra, non esistono più particelle di antimateria: “Salvo – veniva precisato – nelle teorie dei fisici e nella fantasia degli autori di science fiction”.
    Una specie di tributo all’immaginario narrativo che ha sempre circondato l’antimateria. Ma, da quando Paul A.M. Dirac aveva previsto nella sua celebre equazione l’esistenza dell’antielettrone e aveva ricevuto nel 1933 il premio Nobel prospettando l’esistenza di un anti-universo, ci vollero una decina d’anni perché l’antimateria cominciasse a far capolino nei pulp magazine, le riviste da edicola dell’epoca. Gli storici della fantascienza attribuiscono a Jack Williamson – uno dei maestri dell’avventura spaziale, scomparso lo scorso novembre quasi centenario – il merito di aver usato per primo il concetto di antimateria nelle sue Seetee stories, apparse a partire dal 1942 sulla rivista Astounding Science Fiction con lo pseudonimo di Will Stewart (in Italia vennero pubblicate solo nel 1974 in un volume intitolato Il millennio dell’antimateria).
    Il termine Seetee è la trascrizione fonetica di Ct, ovvero contraterrene: così l’antimateria veniva spesso chiamata dopo che Carl Anderson (nel 1932) aveva identificato il positrone nella radiazione cosmica. Qualche altro esempio? Alfred E. van Vogt (The Storm, 1943) parla di una tempesta cosmica innescata dallo scontro tra una nube di gas di materia ordinaria e una nube di antimateria. James Blish (Beep, 1954) si ispira a Dirac per un trasmettitore capace di collegare istantaneamente ogni punto della galassia grazie all’impiego di elettroni e positroni. Lo scrittore sovietico Anatolij Dneprov abbina universi paralleli e antimateria dapprima in un racconto (La mummia purpurea, 1961) e successivamente in un romanzo (Operazione antimateria, 1965). Larry Niven (Flatlander, 1967) racconta l’esplorazione di un oggetto di antimateria ai confini del Cosmo. Bob Shaw (A Wreath of Stars, 1976) immagina un intero mondo fatto di antineutrini. Fino al sofisticato Ripples in the Dirac Sea (1988), che ha fatto vincere il premio Nebula al suo autore, Geoffrey A. Landis, scrittore, inventore e ingegnere della Nasa, impegnato nelle missioni di esplorazione marziana.
    Tuttavia non c’è dubbio che l’antimateria, nella fantascienza, resta legata soprattutto alla saga televisiva e cinematografica di Star Trek. Parafrasando Shakespeare, l’antimateria è infatti la materia di cui sono fatti i sogni di Star Trek. Senza l’antimateria, non sarebbero possibili – come veniva detto dalla voce fuori campo all’inizio del primo film della serie – “le crociere della nave stellare Enterprise: la sua missione è quella di esplorare nuovi mondi, alla ricerca di nuove forme di vita e di nuove civiltà, e di giungere arditamente dove nessun uomo è mai giunto prima d’ora”. Ma come far correre l’Enterprise a velocità superiore a quella della luce? Gene Roddenberry (il “papà” di Star Trek) decise di dotarla dell’ormai mitico warp drive, il motore di curvatura capace di contrarre lo spazio davanti all’astronave e di dilatarlo dopo il suo passaggio.
    La distorsione spazio-temporale consente di creare una scorciatoia tra il punto di partenza e quello di arrivo, catapultando l’Enterprise da un angolo all’altro della galassia. L’energia per la manovra è ottenuta attraverso l’annichilazione di atomi di deuterio e antideuterio, ingabbiati da potenti campi magnetici. La camera in cui avviene la reazione è costruita attorno a una rete di cristalli di litio, che controllano l’annichilazione senza interagire con l’antimateria.
    a.
    L’autore davanti allo Shuttle sperimentale Enterprise montato su un Boeing 747 cargo, nel giugno del 1983 al 2Salone Aerospaziale" di Parigi.
    Il successo popolare di Star Trek fu tale che – sulla spinta delle richieste di migliaia di fan – la Nasa decise di battezzare Enterprise il suo primo Shuttle, realizzato non per andare in orbita ma per sperimentare le fasi di rientro e di atterraggio, sganciato in quota da un Boeing 747. La presentazione di Enterprise, nel settembre del 1976, negli stabilimenti Rockwell di Palmdale, California, fu accompagnata dalle note della fanfara di Star Trek, ospiti d’onore Roddenberry e gli attori della saga.
    Lawrence Krauss, fisico e cosmologo alla Case Western Reserve University di Cleveland, Ohio, dedica al motore di curvatura un capitolo del suo libro La fisica di Star Trek, uscito in Italia nel 1996. Divertendosi a smontarne ogni possibilità di realizzazione anche in quel XXIII secolo in cui sono ambientate le avventure del comandante Kirk e del capitano Picard, del vulcaniano Spock e dei malvagi Klingon.
    b.
    Il cast del telefilm Star Trek davanti allo shuttle Enterprise.
    c.
    Lawrence Krauss, autore del libro La Fisica di Star Trek, stringe in mano un modellino dell’Enterprise.
    Eppure Krauss – notissimo divulgatore scientifico, collaboratore del New York Times e di Scientific American – non rinnega la sua passione per Star Trek e per la fantascienza in generale, considerandola anzi uno strumento ideale per spiegare la scienza. Mi raccontò, la prima volta che lo incontrai al Centro Internazionale di Fisica Teorica di Trieste: “Tutto ebbe inizio quando seppi che una mostra sull’Enterprise di Star Trek, al Museo dello Spazio di Washington, aveva avuto più successo dell’esposizione dei veicoli spaziali reali.
    Mi dissi allora: quale via migliore per parlare di fisica alla gente digiuna di scienza? Così decisi di usare le storie di Star Trek come una specie di laboratorio in cui esplorare la fisica dell’Universo”. Tutt’altro discorso per Angeli e demoni, il romanzo che Dan Brown pubblicò nel 2000, prima del Codice da Vinci, ma apparso in Italia solo nel 2004, sulla scia del successo planetario del Codice. Thriller scientifico-religioso su un’antica setta (gli Illuminati) che vuole distruggere il Vaticano con una bomba di antimateria. La cosa più curiosa e intrigante è che l’antimateria è stata rubata al Cern (descritto nel libro in termini piuttosto fantasiosi), dove era stata ottenuta di nascosto da un bizzarro fisico-sacerdote che voleva impiegarla per rifare in laboratorio il Big Bang con l’obiettivo di dimostrare la plausibilità della Genesi e quindi l’esistenza di Dio. Un pastiche divertente ma sconclusionato, in cui l’antimateria acquista una dimensione metafisica ed esoterica. Al Cern, comunque, si è deciso di stare al gioco. L’ufficio stampa ha idealmente ringraziato Dan Brown per il picco di visite registrato dopo l’uscita del romanzo, ma non ha trascurato di fare le pulci agli errori scientifici presenti nelle sue pagine. Il più macroscopico è forse quello di aver attribuito a Lhc la capacità di fabbricare antimateria, la quale comunque – con buona pace dell’autore – non potrà mai servire a produrre energia.
    Ora al Cern attendono con curiosità (e un filo di preoccupazione) il film attualmente in fase di realizzazione, firmato dallo stesso regista del Codice da Vinci, Ron Howard, e interpretato ancora da Tom Hanks nei panni di Robert Langdon, docente di simbologia a Harvard. Dovrebbe arrivare sui nostri schermi a dicembre.

    Biografia
    Fabio Pagan, biologo di formazione e giornalista scientifico di professione, è vicedirettore e docente del Master in Comunicazione della Scienza della Sissa e conduttore del magazine quotidiano Rai- Radio3 Scienza.  

    Link
    http://www.fantascienza.com/catalogo
    http://en.wikipedia.org/wiki/Star_trek
    http://www.phys.cwru.edu/~krauss
    http://www.danbrown.com/angels-demons/
    http://public.web.cern.ch/public/en/Spotlight/SpotlightAandD-en.html  

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  • Fabbrica di antiatomi

    Fabbrica di antiatomi
    Dal 2002 al Cern produciamo atomi di anti-idrogeno.
    di Alberto Rotondi e Gemma Testera

    Fino agli anni ’90 dello scorso secolo, non erano mai stati fabbricati in laboratorio dei veri e propri antiatomi. I fisici erano riusciti a rivelare vari tipi di antiparticelle (tra le più note: positroni, antiprotoni e antineutroni) e anche a creare un antinucleo. La materia, però, è formata da nuclei intorno ai quali orbitano elettroni: cioè atomi. Creare degli antiatomi significa quindi produrre della vera e propria antimateria, per poterne studiare a fondo le proprietà.
    I primi tentativi in questa direzione si sono rivolti verso l’anti-idrogeno, il più semplice antiatomo, il cui nucleo è costituito da un unico antiprotone, con un solo positrone orbitante.
    I primi, pochissimi, atomi di anti-idrogeno furono creati al Cern e al Fermilab tra il 1995 e il 1996: essi però non erano sufficienti per studiare le proprietà dell’antimateria. Erano solo poche decine e, per giunta, risultò impossibile catturarli e manipolarli. Nacque così nel 1997 l’esperimento Athena (Apparatus for High precision Experiment on Neutral Antimatter), frutto della collaborazione di un gruppo di circa 40 fisici provenienti da Italia, Svizzera, Gran Bretagna, Danimarca, Giappone, Brasile, che si propose di produrre grandi quantità di atomi di anti-idrogeno, utilizzando il fascio di antiprotoni dell’Antiproton Decelerator del Cern di Ginevra. Il successo di Athena arrivò nell’agosto del 2002 quando riuscì a produrre 50 mila atomi di anti-idrogeno.
    Tra il 2002 e il 2004 ne fabbricò più di 2 milioni, trovando le condizioni ottimali per il processo di formazione, e mostrando così la fattibilità di nuovi esperimenti per lo studio della simmetria CPT (verificando se i livelli energetici dell’atomo di idrogeno sono identici a quelli dell’atomo di anti-idrogeno) e per i test sull’antigravità.
    L’apparato di Athena, che ha permesso la produzione di grandi quantità di antimateria, è piuttosto complesso ed è in grado di formare gli antiatomi combinando antiprotoni e positroni e di rivelare i singoli antiatomi uno ad uno, grazie a un rivelatore altamente sofisticato. Positroni e antiprotoni vengono immagazzinati in “scatole” che i fisici chiamano trappole: sono camere cilindriche, grandi poco più di una comune pompa da bicicletta, costituite da elettrodi coassiali di metallo e tenute sotto vuoto. Le particelle di antimateria (i positroni e gli antiprotoni) sono contenute nella scatola come un gas in una bottiglia, e rimangono confinate per mezzo di pareti non materiali costituite da campi elettrici e magnetici, che le tengono vicine al centro della scatola, in modo che non tocchino le pareti materiali perché altrimenti scomparirebbero per annichilazione. Quindi l’antimateria è intrappolata in una sorta di “bottiglia magnetica”.
    Per potersi legare insieme a costituire un atomo di anti-idrogeno, antiprotoni e positroni devono formare un gas molto freddo, a una temperatura di pochi gradi sopra lo zero assoluto.

    a.
    All’interno della trappola di ricombinazione gli antiprotoni (in giallo) penetrano nella nuvola di positroni (in blu). Gli anti-idrogeni (in rosa) che si formano si annichilano sulle pareti (annichilazione dell’anti-idrogeno).

    Queste particelle vengono però fornite all’esperimento a temperature molto più elevate. Ad esempio, gli antiprotoni prodotti con l’Antiproton Decelerator, hanno un’energia cinetica che corrisponde a una temperatura migliaia di volte più alta di quella del Sole. È proprio nelle trappole che avviene il processo di rallentamento, senza il quale l’antiatomo non si potrebbe formare. Gli antiprotoni vengono catturati in una prima trappola e qui rallentati attraverso uno scambio di energia con elettroni freddi: la loro temperatura diventa milioni di volte inferiore a quella iniziale in un tempo di soli circa 20 secondi.I positroni, che derivano invece dal decadimento di una sorgente radioattiva di sodio (22Na), vengono rallentati e quindi immagazzinati in una seconda trappola.
    La parte più complessa è ora il trasferimento e l’intrappolamento simultaneo di entrambe le nubi (plasmi) di antiparticelle in una terza trappola di ricombinazione posta tra le prime due. Prima si trasferisce la nube di positroni, che si posiziona in una buca di potenziale al centro della trappola e mantiene una temperatura di -258 °C. Poi, variando opportunamente i campi elettrici, si trasferisce la nube di antiprotoni, che rimane a energia superiore di quella dei positroni. Gli antiprotoni oscillano tra le barriere di potenziale della trappola, attraversando continuamente il plasma di positroni: in questo modo si riesce a formare l’anti-idrogeno. Questo antiatomo, essendo neutro, sfugge ai campi confinanti e arriva sulle pareti della trappola.

    b.
    L’esperimento Athena al Cern di Ginevra, in Svizzera. Quando materia e antimateria annichilano, producono alcune particelle elementari (mesoni) e due deboli lampi di radiazione, cioè due fotoni. Il rivelatore di Athena riusciva a individuare i mesoni, registrando i segnali elettrici che essi rilasciavano in due strati concentrici di sottili strisce di silicio, mentre i fotoni venivano rivelati dalla luce emessa attraversando i cristalli di ioduro di cesio.

    Qui l’antiprotone annichila con un nucleo di un atomo di materia, producendo alcune particelle nucleari (dette mesoni), e il positrone annichila con un elettrone, producendo due deboli lampi di radiazione, cioè due fotoni con un’energia di 511 keV ciascuno (pari cioè alle masse dell’elettrone e del positrone) che partono in direzioni opposte.
    Athena ha rivelato simultaneamente questi due tipi di segnali, segno dell’avvenuta annichilazione tra materia e antimateria. Si è dimostrato, così, che è possibile creare antiatomi freddi, aprendo la strada a una nuova generazione di esperimenti.

    [as] approfondimento
    Come cade l’antimateria
    1.
    Schema delle trappole per antiprotoni e positroni nell’esperimento Aegis e dell’apparato per la misura della gravità.
     

    Tutti i corpi, qualunque sia la loro forma o la loro composizione chimica, sono attratti dalla Terra allo stesso modo e cadono con la stessa accelerazione g = 9,8 m/s² (circa). Questo lo capì già Galileo, 400 anni fa, e Einstein fece di questa osservazione il pilastro su cui fondare la sua teoria della gravitazione, detta Relatività Generale. Dunque, secondo Einstein, anche atomi fatti di antimateria dovrebbero cadere verso la Terra con la stessa accelerazione g dei corpi materiali. Ma nessuno finora ha mai realizzato un esperimento per verificare direttamente questo fatto. Il motivo principale è che la forza gravitazionale su singoli atomi (o antiatomi) è molto molto debole e, per misurarne gli effetti, occorrerebbe mantenere gli antiatomi in interazione con la Terra per tempi estremamente lunghi, in apparati sperimentali grandi più di intere città! L’esperimento diventa invece fattibile quando gli antiatomi sono molto freddi (cioè quasi fermi), come quelli prodotti da Athena. Il successore di Athena sarà il nuovo esperimento Aegis, in preparazione al Cern di Ginevra, che dovrebbe entrare in funzione tra il 2010 e il 2011 e che coinvolgerà vari ricercatori dell’Infn oltre a numerosi collaboratori stranieri. Aegis produrrà antiidrogeno ancora più freddo di quello di Athena, con una temperatura di 0,1 gradi sopra lo zero assoluto, e misurerà la caduta degli antiatomi dopo un metro di percorso. Gli antiprotoni saranno raffreddati nella trappola superiore (vd. fig. 1). Una nuvola densa di positroni verrà fatta incidere sul bersaglio posta sotto la trappola e qui si formerà il positronio (un elettrone e un positrone legati). Il positronio sarà poi investito da un fascio di luce laser che lo porterà in uno stato eccitato. Ora, il positronio eccitato, attraversando la nuvola di antiprotoni freddi, ha una grande probabilità di formare dell’anti-idrogeno freddo. Occorre un sistema piuttosto sofisticato per misurare la caduta di questi atomi di anti-idrogeno: un fascio orizzontale passerà attraverso due grate materiali con scanalature orizzontali seguite da un rivelatore di posizione, con cui si misurerà la posizione verticale di arrivo di questi antiatomi. Alcuni arriveranno sul rivelatore, altri no perché saranno fermati dalla grata stessa. La distribuzione delle posizioni verticali degli atomi di anti-idrogeno che annichilano sul rivelatore mostrerà una struttura di “luce e ombra” come quella prodotta da una tapparella semichiusa attraversata dai raggi del Sole. È studiando le caratteristiche di questa struttura che si otterrà per la prima volta il valore di g per l’antimateria.

    Biografia
    Alberto Rotondi insegna Fisica Nucleare all’Università di Pavia ed è attualmente direttore della locale sezione Infn. È stato rappresentante al Cern degli esperimenti Obelix e Athena.

     

    Gemma Testera svolge la sua attività di ricerca presso l’Infn ed è impegnata da quasi 20 anni nel campo dell’antimateria e della rivelazione dei neutrini solari. È responsabile del gruppo italiano di Athena e rappresentante della collaborazione internazionale Aegis.

     

    Link
    http://athena.web.cern.ch/athena/

     

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  • I nuovi risultati di Ams-02 aprono gli orizzonti della comprensione dei raggi cosmici

    L'Alpha Magnetic Spectrometer Ams-02, il grande cacciatore di antimateria, al quale l’Italia partecipa con l’INFN e l’Agenzia Spaziale Italiana (Asi), ha pubblicato i nuovi risultati sulle misure di positroni fino a energie di 500 GeV ed elettroni a energie fino a 700 GeV, basate su 10 milioni di elettroni e positroni identificati tra i 41 miliardi di raggi cosmici raccolti nei primi 30 mesi della missione. Questi risultati estendono e migliorano le prime osservazioni pubblicate nella primavera dello scorso anno. Le nuove misure raggiungono un limite di energia finora inesplorato per queste componenti della radiazione cosmica e, grazie anche alla loro precisione, aprono nuovi orizzonti nella ricerca di fenomeni ancora sconosciuti in atto nel nostro universo.  
    L’identificazione diretta dei positroni è particolarmente significativa per lo studio di fenomeni non ancora noti. Deboli quantità di antimateria possono, infatti, essere generate nell’urto tra le particelle che compongono la radiazione cosmica e le polveri interstellari, ma la loro presenza è attesa scemare rapidamente al crescere dell’energia. Invece, la frazione di positroni osservata da Ams cresce rapidamente a partire da un’energia di 8 GeV, indicando l’esistenza di una nuova sorgente di questa componente di antimateria rispetto a quanto previsto dalla loro produzione “standard” nella radiazione cosmica. L’eccesso osservato di positroni appare isotropo entro un’incertezza del 3% suggerendo che non ci siano direzioni particolari da cui nasce questo eccesso di positroni. Un’analisi dettagliata del tasso di crescita della frazione di positroni con l’energia esclude strutture fini, e per la prima volta indica chiaramente il raggiungimento di un valore massimo della frazione a energie attorno ai 275 GeV. Un punto importante da affrontare per l’interpretazione di questo risultato è se questo aumento della frazione di positroni sia dovuto a una sorgente aggiuntiva di positroni o a una “sparizione” di elettroni.  
    Oltre all’eccesso di positroni, il secondo risultato che Ams pubblica oggi riguarda lo studio del flusso separato di elettroni e positroni, ovvero la misura del numero di queste particelle che arriva nell’unità di tempo alla sommità dell’atmosfera terrestre, e ne caratterizza con estrema precisione l’andamento con l’energia. I risultati indicano chiaramente che non ci sono brusche variazioni nello spettro dei flussi di elettroni, confermando quindi che l’andamento con l’energia della componente dei positroni richiede la presenza di nuovi fenomeni per la loro produzione. Questi risultati sono di estrema importanza per tracciare un identikit di possibili sorgenti di antimateria e discriminare il contributo della materia oscura. Collisioni di materia oscura producono, infatti, antimateria (positroni, antiprotoni) e, a seconda del tipo di materia oscura considerato, sono attesi diversi andamenti in dipendenza dall’energia dei flussi di particelle prodotte. I risultati pubblicati oggi in Physical Review Letters definiscono con alta precisione le caratteristiche dell’eccesso di positroni in funzione dell’energia e sono consistenti con particelle di materia oscura (neutralini) di massa dell’ordine di 1 TeV. Tuttavia, per stabilire se l’origine dell’eccesso dei positroni sia realmente legato alla materia oscura o se sia dovuto a sorgenti astrofisiche, ad esempio pulsar, dovrà essere esteso ulteriormente l’intervallo di energia della misura per determinare le modalità con cui la frazione di positroni decresce dopo aver raggiunto il suo massimo. Di particolare importanza sarà anche il confronto dell’effetto osservato con quello misurato in altre componenti di antimateria, ad esempio gli antiprotoni. Queste misure sono attualmente in corso in AMS e saranno oggetto delle prossime pubblicazioni. [Antonella Varaschin]

     

  • Idrogeno allo specchio

    Idrogeno allo specchio
    Studi di antimateria in laboratorio

    di Luca Venturelli

    a.
    La simmetria CPT è l’invarianza delle leggi fisiche rispetto alla combinazione di tre trasformazioni: la coniugazione di carica C, che scambia ogni particella con la rispettiva antiparticella; la trasformazione di parità P, che inverte gli assi spaziali, scambiando la destra con la sinistra, il sopra con il sotto, il davanti con il dietro; l’inversione temporale T, che inverte la direzione del tempo.

    Gran parte della conoscenza delle leggi della Natura e di come è fatto il nostro universo proviene dallo studio dell’idrogeno (H), l’elemento chimico più semplice, composto da un protone e da un elettrone. Oggigiorno ci sono grandi aspettative che il partner di antimateria dell’idrogeno, formato da un antiprotone e da un positrone e chiamato anti-idrogeno, possa contribuire a sviluppare ulteriormente le nostre conoscenze e a risolvere alcuni dei misteri dell’universo.
    Uno degli enigmi più intriganti della fisica è il fatto che l’universo visibile è composto quasi completamente di materia, mentre l’antimateria è di fatto assente. È ragionevole assumere che con il Big Bang materia e antimateria siano state create in ugual quantità. Ma se, venendo a contatto, si fossero annichilate completamente, il nostro mondo e noi stessi non esisteremmo.
    Una possibilità è che una parte di materia e una di antimateria siano sopravvissute isolandosi in regioni separate dell’universo. Se così fosse, dalle zone di confine tra materia e antimateria dovrebbero comunque provenire segnali dell’annichilazione che in realtà non sono mai stati osservati. Quindi allo stato attuale sembra che l’universo sia asimmetrico.
    Che la materia e l’antimateria non siano esattamente simmetriche, quando si considerano i processi fisici in cui è coinvolta l’interazione debole, cioè che ci sia la cosiddetta “violazione CP”, è cosa nota (vd. Specchi imperfetti, ndr). Questa asimmetria e le altre finora osservate sono però troppo piccole per spiegare l’asimmetria dell’universo.
    La spiegazione potrebbe risiedere nella violazione di una simmetria più fondamentale, chiamata CPT e consistente nell’invarianza delle leggi fisiche rispetto a un cambiamento della carica (trasformazione C), all’inversione degli assi spaziali (trasformazione P) e all’inversione del tempo (trasformazione T). Ma la validità di questa simmetria è stabilita da un teorema molto generale e ad oggi la sua violazione non è mai stata osservata.
    La simmetria CPT implica che la massa, la vita media e i valori assoluti della carica elettrica e del momento magnetico di un’antiparticella siano esattamente uguali a quelli della corrispondente particella. Inoltre, le proprietà spettroscopiche di un antiatomo come l’anti-idrogeno devono essere esattamente uguali a quelli del corrispondente atomo, nel nostro caso l’idrogeno.

    Esperimenti che mostrassero una sia pur piccola differenza tra le proprietà di particelle e di antiparticelle, o di atomi e di antiatomi, sarebbero una dimostrazione diretta della violazione di CPT e richiederebbero una profonda revisione delle leggi della Natura.
    Numerose ricerche sono state realizzate e sono tuttora in corso in questo ambito. Dal momento che l’idrogeno è uno dei sistemi fisici meglio misurati, studi accurati sul suo partner di antimateria possono permettere di verificare la simmetria CPT con grande precisione.
    I primi atomi di anti-idrogeno furono creati al Cern nel 1996, ma a velocità relativistiche che li rendevano inadatti a un confronto preciso con l’idrogeno.
    È nel 2002 che sono stati prodotti e rivelati i primi atomi di anti-idrogeno di bassa velocità, a opera dell’esperimento Athena prima e di Atrap poco dopo, presso l’Antiproton Decelerator del Cern. Da allora diversi milioni di atomi di anti-idrogeno sono stati prodotti, e notevoli progressi sono stati realizzati nello studio delle loro caratteristiche.
    La produzione di anti-idrogeno viene realizzata generalmente sovrapponendo nuvole di antiprotoni e di positroni. Il problema principale di questa sperimentazione è che l’antimateria non può venire a contatto con la materia perché si annichilerebbe. Antiprotoni con una velocità di circa un decimo di quella della luce sono forniti dall’Antiproton Decelerator ai diversi esperimenti, dove vengono ulteriormente rallentati in opportune trappole elettromagnetiche tenute a temperature di qualche decina di kelvin e sovrapposti a un plasma di positroni in equilibrio termico con l’ambiente.
    I positroni sono prodotti usando delle sorgenti radioattive (solitamente il sodio-22, 22Na), mentre la produzione di antiprotoni relativamente lenti è di notevole complessità. Al momento l’unica sorgente esistente al mondo è l’Antiproton Decelerator del Cern.
    Quando un antiprotone si lega a un positrone si forma un atomo di anti-idrogeno che, essendo neutro, non è intrappolato dai campi elettromagnetici della trappola ed è libero di volare via dalla zona di produzione (vd. in Fabbrica di antiatomifig. a, ndr). Per poter realizzare misure di precisione è necessario che l’anti-idrogeno possa essere osservato per periodi relativamente lunghi.
    Per questo l’esperimento Alpha, in funzione al Cern dal 2005, ha realizzato un apparato che è in grado di intrappolare, oltre alle particelle cariche, anche gli atomi neutri di anti-idrogeno, sfruttando il fatto che, essendo dotati di momento magnetico, possono risentire di piccole forze in presenza di un campo magnetico che varia nello spazio.
    Grazie allo sviluppo di queste tecniche Alpha ha potuto ad oggi intrappolare decine di migliaia di atomi di anti-idrogeno e realizzare le prime misure di spettroscopia di un sistema atomico di antimateria. I risultati più recenti hanno una precisione di 2 x 10-12 nella misura della transizione tra lo stato fondamentale (1S) e il primo stato eccitato (2S) dell’anti-idrogeno e una precisione di 4 x 10-4 per la transizione tra i due sottostati dello stato 1S (la cosiddetta struttura “iperfine”).

     
    b.
    L’esperimento Athena, del Cern, che nel 2002 ha prodotto per primo atomi di anti-idrogeno
    a bassa velocità.

     
    c.
    Il nuovo anello di decelerazione Elena rallenterà le particelle di antimateria più che mai per migliorare l’efficienza degli esperimenti sullo studio dell’antimateria.
     
    Alpha è riuscito anche a misurare la “transizione Lyman-alfa” (1S-2P), ottenendo una precisione di 5 x 10-8. Nei limiti della precisione delle misure, il confronto con l’idrogeno non mostra alcuna differenza tra i due sistemi, e quindi ad oggi la simmetria CPT non risulta essere violata.
    L’esperimento Asacusa (in funzione dal 2006) si propone di misurare lo spettro iperfine utilizzando un fascio di atomi di anti-idrogeno lenti. In questo caso si avrebbe il vantaggio di poter fare la spettroscopia iperfine lontano dai forti campi magnetici della trappola, che possono disturbare la misura. Nel 2010 Asacusa è riuscito a creare il primo fascio di atomi di anti-idrogeno lenti e al momento ne sta ottimizzando le caratteristiche per poter effettuare la spettroscopia a microonde, con l’obiettivo iniziale di ottenere una precisione di 10-6.
    All’Antiproton Decelerator vi sono anche studi dell’interazione gravitazionale di antimateria (gli atomi di anti-idrogeno) con la materia (la Terra), per verificare se il principio di equivalenza di Einstein, che afferma che tutti i corpi in presenza di un campo gravitazionale subiscono la stessa accelerazione, vale anche per l’antimateria. Per questo l’esperimento Aegis intende realizzare un fascio di atomi di anti-idrogeno ancora più lenti di quelli di Asacusa per misurarne la deflessione con tecniche interferometriche nel campo gravitazionale della Terra. L’esperimento Gbar, invece, creerà ioni di anti-idrogeno rallentati a velocità bassissime (0,5 m/s), in modo da catturarli, renderli neutri per poi lasciarli cadere liberamente
    e misurarne l’accelerazione.
    Dal 2021 entrerà in funzione Elena (vd. fig. c), un ulteriore deceleratore posto a valle dell’Antiproton Decelelerator, che fornirà antiprotoni di velocità pari a circa un centesimo di quella della luce, incrementando il numero di antiprotoni utilizzabile dagli esperimenti.
    Sarà così possibile aumentare la precisione nelle misure sull’antimateria per avvicinarsi a quanto noto per la materia. Un risultato di per sé sorprendente, se pensiamo quanta sia la materia a disposizione e con quale difficoltà invece deve essere prodotta l’antimateria.
     

    Biografia
    Luca Venturelli è professore di fisica sperimentale presso l’Università degli Studi di Brescia. La sua attività di ricerca è rivolta prevalentemente a studi di fisica fondamentale attraverso la realizzazione di esperimenti che utilizzano fasci di particelle di bassa energia. Attualmente è responsabile nazionale per l’Infn dell’esperimento Asacusa al Cern per lo studio dell’antimateria.


    Link
    https://home.cern/science/physics/antimatter


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    DOI: 10.23801/asimmetrie.2019.26.5
     

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  • Il cacciatore di antimateria Ams festeggia i suoi primi 5 anni

    ams issOltre 90 miliardi di particelle cosmiche, tra cui più di milione di rare particelle di antimateria, osservate in 5 anni, e lo studio sistematico di tutte le specie nucleari presenti nei raggi cosmici, evidenziando caratteristiche inaspettate nelle forme degli spettri di protoni, elio e litio. Questo primo bilancio dell’attività del grande cacciatore di antimateria Alpha Magnetic Spectrometer (Ams), installato a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (Iss) nel maggio 2011, e al quale l’Italia partecipa con l’Infn e l’Asi, apre per la ricerca in fisica delle particelle nello spazio un’epoca di misure di alta precisione, che richiede nuove e più approfondite teorie per spiegare le osservazioni effettuate.

    I principali risultati che la missione Ams è riuscita a ottenere, grazie alle eccellenti prestazioni dello strumento e alla prolungata esposizione nello spazio, sono stati presentati in un seminario al Cern dal premio Samuel C.C. Ting del Mit, responsabile internazionale della collaborazione, e fondatore dell’esperimento, nel 1994, insieme a Roberto Battiston, oggi presidente dell’Asi. I contributi principali di Ams consistono nello studio delle particelle di antimateria: Ams studia lo spettro di positroni e antiprotoni nella radiazione cosmica in un intervallo di energie inesplorato. Lo studio dell’antimateria presente nel cosmo è, infatti, uno dei principali obiettivi per cui è stato progettato Ams, e su cui la collaborazione ha concentrato i suoi sforzi in questi cinque anni.

    Deboli quantità di antiparticelle possono essere generate nell’urto tra le particelle che compongono la radiazione cosmica e le polveri interstellari, ma ogni eccesso di antiparticelle osservato, rispetto a quanto prevedibile dalla produzione “standard”, può essere potenzialmente legato alla presenza di nuove sorgenti esotiche, ad esempio annichilazioni di particelle di materia oscura. Dall’energia rilasciata in collisioni di particelle di materia oscura possono, infatti, essere prodotte particelle ordinarie, protoni o elettroni, insieme alle loro antiparticelle, antiprotoni e positroni. Sperimentalmente, questa è una sfida in cui si cerca un ago in un pagliaio: per osservare un antiprotone devono essere “scartati” 10.000 protoni, 1.000 nuclei di elio e 100 elettroni, questo è stato possibile in Ams dall’utilizzo simultaneo di più tecniche di rivelazione mutuate dagli esperimenti di fisica delle alte energie negli acceleratori di particelle.

    Ams ha misurato i flussi di antiprotoni e positroni in un ampio intervallo di energie mai raggiunto prima, e ha studiato le differenti caratteristiche dei loro spettri rispetto alle rispettive particelle. In entrambi i canali è stato rilevato un “eccesso” rispetto a quanto atteso, eccesso che, con maggiore precisione e in un intervallo di energia più esteso, conferma quello visto da Pamela nel 2009. Per spiegare queste osservazioni sono richieste nuove sorgenti di antiparticelle e/o nuovi meccanismi di generazione di queste antiparticelle nel mezzo interstellare. L’eccesso osservato è particolarmente significativo nei positroni, studiati per la prima volta fino a energie di 700 GeV, compatibile con modelli in cui la materia oscura è dovuta all’esistenza di nuove particelle con massa al TeV. Alternativamente, la produzione da sorgenti astrofisiche, quali le pulsar, rappresentano una sorgente “tradizionale” che potrebbe spiegare le osservazioni di Ams. La discriminazione tra queste due ipotesi è l’obbiettivo delle misure che Ams continuerà sulla Iss nei prossimi anni dopo aver aumentato ulteriormente la statistica di eventi raccolti.

    Un altro mistero dell’antimateria investigato da Ams è legato alle origini dell’universo: nel modello del Big Bang iniziale è prevista la generazione di un’eguale quantità di materia e antimateria, ma l’universo che conosciamo è fatto di materia. Ad oggi non ne conosciamo il perché, non sappiamo né quali siano i meccanismi che possano aver portato alla annichilazione di tutta l’antimateria nei primi istanti di vita dell’universo, né se ci siano ancora residui di antimateria di origine primordiale. L’identificazione certa di anche un singolo antinucleo nella radiazione cosmica, ad esempio antielio o anticarbonio, riveste quindi un’estrema importanza, perché potenzialmente dovuto a nuova fisica, sia che sia stato prodotto nell’universo primordiale o in fasi successive dell’evoluzione dell’universo, per esempio attraverso l’annichilazione di materia oscura, oppure mediante processi ancora non studiati nel mezzo interstellare. In cinque anni Ams ha selezionato 3,7 miliardi di nuclei di elio. La proporzione tra il segnale cercato (antielio) e il possibile fondo (elio) in queste osservazioni è molto piccola, circa uno su un miliardo: questo implica che, per avere la certezza della natura di questi eventi è necessario avere una comprensione di ogni possibile effetto strumentale in estremo dettaglio. Anche in questo caso occorre accumulare più dati per giungere alla piena comprensione di questi eventi, evidentemente uno degli obiettivi primari dei prossimi anni di Ams.

    In questi cinque anni di attività, Ams ha anche iniziato uno studio sistematico di tutte le specie nucleari presenti nei raggi cosmici, dalle più leggere, come protoni, elio, litio, alle più pesanti, fino al ferro, presentando risultati fino ai nuclei di ossigeno. La grande statistica di eventi accumulati e l’accuratezza dei rivelatori che costituiscono Ams hanno permesso di evidenziare caratteristiche inaspettate nelle forme degli spettri, di protoni, elio e litio, distinguendo anche i diversi comportamenti delle specie “primarie”, prodotte dalle sorgenti, e “secondarie” prodotte principalmente nelle collisioni con il mezzo interstellare. L’interpretazione di queste misure è direttamente legata sia ai meccanismi che originano i raggi cosmici, che ai processi che ne segnano il percorso all’interno della galassia scandendo, in base ai rapporti trovati tra i flussi di diverse specie, i tempi del loro viaggio. L’estensione delle misure finora effettuate alle specie più pesanti, permetterà nei prossimi anni di formare per la prima volta un quadro complessivo delle proprietà spettrali dei raggi cosmici fino a energie del TeV.

    “I venti anni spesi nel costruire e poi operare Ams sono pienamente ricompensati dai risultati presentati e quelli che ancora ci aspettano negli anni a venire”, commenta Bruna Bertucci, responsabile Infn e vice-responsabile internazionale del progetto Ams. “Ams ha dato un nuovo indirizzo alla fisica delle particelle nello spazio – prosegue Bertucci – e la nostra soddisfazione è resa anche maggiore dal contributo fondamentale dei nostri giovani ricercatori ai risultati presentati oggi. L’entusiasmo per la ricerca che Ams ha trasmesso alle nuove generazioni di ricercatori e l’esperienza che hanno maturato in una collaborazione internazionale così competitiva permetteranno loro di proporre e guidare nuovi progetti, anche più ambiziosi, mantenendo così alta l’eccellenza italiana in questo campo”, conclude Bertucci. Per la piena comprensione dei fenomeni osservati da Ams nell’ambito della fisica dei raggi cosmici, la discriminazione tra differenti scenari alla base degli eccessi osservati nei flussi di anti-particelle e la possibile conferma dei candidati di anti-elio sarà quindi fondamentale la continuazione della presa dati dell’esperimento nei prossimi anni, fino alla permanenza in orbita della Stazione Spaziale Internazionale. [Antonella Varaschin]

     

    Vd. anche: Notizie dalla stazione spaziale

  • Il grande passo dell'antimateria nucleare

    Il grande passo dell'antimateria nucleare
    La scoperta dell’antideuterio al Cern.
    di Antonino Zichichi

    “Coloro i quali dicono che l’antidrogeno è antimateria debbono riflettere su un dettaglio: beviamo acqua, non idrogeno liquido”. Sono le parole di Paul Dirac a un gruppo di fisici riuniti attorno a colui che, con un’equazione, aprì orizzonti nuovi alle umane conoscenze.
    Per avere l’acqua non basta l’idrogeno. Ci vuole anche l’ossigeno, il cui nucleo è fatto con 8 protoni e 8 neutroni. L’idrogeno è l’unico elemento della Tavola di Mendeleev fatto con due particelle cariche, l’elettrone e il protone, senza alcun bisogno che entrino in gioco le forze nucleari. Il primo esempio di elemento per la cui esistenza sono necessarie le forze nucleari è l’idrogeno pesante, il cui nucleo è fatto con un protone e un neutrone. Queste due particelle, per stare insieme, hanno bisogno della “colla nucleare”. Dall’idrogeno pesante in su, tutti gli elementi della tavola chimica, hanno bisogno, per esistere, del neutrone. Senza neutroni non potrebbe esistere altro che l’idrogeno leggero. Addio acqua. E addio materia a noi familiare.
    Nella famosa battuta di Dirac ci stanno 70 anni di scoperte teoriche e sperimentali, la cui conclusione è che l’esistenza dell’antimateria nucleare si regge su basi esclusivamente sperimentali. Infatti – come messo in evidenza da T.D. Lee – il teorema CPT perde le sue basi alla scala di Planck (circa 1019 GeV) dove convergono tutte le forze fondamentali della Natura. Essendo la Teoria della Grande Unificazione l’origine di tutto, se CPT crolla sul livello energetico della Grande Unificazione, addio a tutto ciò che deriva da CPT.
    Due parole sui tre operatori di invarianza CPT. Il primo a essere stato scoperto è C: esso dice che tutta la realtà fisica deve restare invariata se si scambiano le cariche additivamente conservate con le corrispondenti anticariche. Il primo esempio fu quello dell’elettrone e dell’antielettrone. L’operatore C venne introdotto da H. Weyl nel 1931.
    L’operatore P (introdotto da E. P. Wigner, G. C. Wick e A. S. Wightman) dice che, scambiando i sistemi destrorsi con quelli sinistrorsi, i risultati di qualsiasi esperimento fondamentale non cambiano. L’operatore T (scoperto da Wigner, J.S. Schwinger e J.S. Bell) stabilisce che, invertendo l’asse del tempo, la realtà fisica resta inalterata.
    Il formalismo matematico, noto come Relativistic Quantum Field Theory, costruito per descrivere una forza fondamentale della Natura possiede la proprietà di invarianza CPT: invertendo tutto non cambiano i risultati fisici. Riassumendo: se invertiamo tutte le cariche usando C, i tre assi dello spazio (x y z) usando P e l’asse del tempo usando T, tutto rimane come prima.
    Adesso è necessario precisare che la materia è fatta di masse accoppiate con numeri quantici additivamente conservati (esempio: cariche elettriche, numeri leptonici, numeri barionici, cariche di “sapore” ecc.). Se a uno stato di materia applichiamo i tre operatori CPT otteniamo antimateria. Questo vuol dire che l’esistenza della materia, se vale il teorema CPT, implica l’esistenza dell’antimateria, e le masse di pezzi di materia debbono essere le stesse di quelle della corrispondente antimateria.
    Supponiamo che la Natura debba obbedire alla legge di invarianza C. In questo caso l’esistenza della materia esige che deve esistere l’antimateria. Se però non vale l’invarianza C, l’esistenza dell’antimateria è garantita da CPT.

    a.
    Il professor Dirac circondato da giovani fisici a Erice, dopo una lezione in cui spiegava la differenza tra antiparticelle e antimateria. È in questa occasione che ha detto quanto riportato in apertura di questo articolo.
    b.
    Eugene P. Wigner, Antonino Zichichi, Paul Dirac (Erice, 1982).

    Supponiamo che CP sia valida. Anche in questo caso l’esistenza della materia esige che deve esistere l’antimateria. Se però CP non vale, l’esistenza dell’antimateria è garantita da CPT. Se però crolla CPT, allora l’esistenza dell’antimateria è solo la fisica sperimentale a poterla garantire. Questa telegrafica rassegna non è un racconto, ma la sintesi di ciò che è effettivamente avvenuto nel corso di quasi 70 anni, a partire dal 1929 quando Dirac scoprì la sua equazione. H. Weyl scoprì C e si pensava che la scoperta dell’antielettrone da parte di C.D. Anderson e della produzione in coppia di elettroni e antielettroni da parte di P.M.S. Blackett e G. Occhialini ne fossero la prova. C’era poi l’eguaglianza delle vite medie dei muoni positivi e di quelli negativi.
    Si andò così avanti con la scoperta dell’antiprotone (E. Segrè e altri), dell’antineutrone (O. Piccioni e altri) e infine del secondo mesone strano neutro, con lunga vita media (L.M. Lederman e altri).
    Questo apparente trionfo degli operatori di invarianza andava in parallelo col successo nella identificazione di un formalismo matematico in grado di descrivere le forze fondamentali della Natura. Partendo dalle quattro equazioni di Maxwell e portando avanti il discorso era venuta fuori una costruzione meravigliosa, da noi già citata: la Relativistic Quantum Field Theory. Questo formalismo avrebbe dovuto essere in grado di descrivere non solo le forze elettromagnetiche (da cui aveva tratto le sue origini), ma anche le forze deboli e quelle nucleari. A reggere queste convinzioni erano due grandi conquiste: la prima formulazione matematica delle forze deboli, fatta da E. Fermi, e il trionfo di H. Yukawa con la scoperta della colla nucleare, grazie a C. Lattes, Occhialini e C. Powell. A questi straordinari successi fecero però seguito enormi difficoltà. Nella Quantum Electro-Dynamics i poli di Landau e la conclusione che la carica elettrica fondamentale (“nuda”) doveva essere zero; nelle forze deboli il fatto che ai livelli energetici di 300 GeV crollava l’unitarietà; nelle forze nucleari l’enorme proliferazione di mesoni e barioni. Questa proliferazione era totalmente fuori da qualsiasi comprensione in termini di Relativistic Quantum Field Theory. Ed è così che viene fuori un formalismo matematico che è la totale negazione del concetto di “campo”: la cosiddetta “matrice di scattering”, detta matrice-S.
    Per la sua esistenza bastavano tre cose: analiticità, unitarietà e crossing. Perché complicarsi la vita con la Relativistic Quantum Field Theory se basta la matrice-S? Se però non c’è la Relativistic Quantum Field Theory, come la mettiamo con l’esistenza dell’invarianza rispetto a tutti gli operatori insieme, CPT? Ed ecco aprirsi un altro fronte.
    Nel 1953 R.H. Dalitz tirò fuori il famoso (θ–τ) puzzle: due mesoni con proprietà identiche dovevano essere con parità opposte. Spinti da questo “puzzle” T.D. Lee e C.N. Yang analizzarono i risultati sperimentali nello studio delle forze deboli e scoprirono che non esisteva alcuna prova a conferma della validità di C e P nelle interazioni deboli. Nel giro di un anno C.S. Wu scoprì che le leggi di invarianza C e P vengono violate nelle interazioni deboli. Come la mettiamo con l’esistenza dell’antimateria? Venne così fuori l’idea di L.D. Landau: se ciascun operatore C e P è violato, il loro prodotto CP può essere conservato.

    c.
    John S. Bell a Erice nel 1963.
    d.
    Lee durante la sua lezione in cui spiega perché il teorema CPT perde la sua validità alla Scala di Planck (a sinistra nella foto Melvin Schwartz, all’estrema destra Isidor I. Rabi).

    L’esistenza dell’antimateria è garantita dalla validità di CP. Si arriva così al 1964, anno in cui viene scoperta la violazione di CP nel decadimento dei mesoni neutri strani. C’è un piccolo dettaglio su cui si è sempre sorvolato. Nel 1957, prima che venisse sperimentalmente scoperta la violazione di P e C, in un lavoro da pochi letto (o capito) Lee, R. Oehme e Yang avevano messo in evidenza che – contrariamente a quanto da molti detto e ripetuto – l’esistenza dei due mesoni neutri strani θ1 e θ2 non era prova né della validità di C né di P né del loro prodotto CP.
    La rottura di CP coinvolge quella di T se vogliamo che rimanga integro il prodotto CPT. Per alcuni dei padri fondatori della fisica moderna l’invarianza rispetto all’inversione del tempo, a livello delle leggi fondamentali, doveva restare intoccabile. Quindi doveva crollare CPT. Dopotutto perché no. In fondo il baluardo di CPT era la Relativistic Quantum Field Theory, ma adesso questo formalismo matematico sembrava dovesse cedere il passo alla matematica della matrice-S.
    Il crollo degli operatori di invarianza (C, P, CP) e l’apparente trionfo della matrice-S erano accoppiati a risultati sperimentali i quali dicevano che di antideutoni non c’era traccia nonostante fossero prodotti dieci milioni di pioni.
    Ero a Dubna quando, nel 1964, Jim Cronin presentò i risultati del suo lavoro. Avevo alla mia destra Bruno Touschek e alla mia sinistra Bruno Pontecorvo. Entrambi mi dissero: “E questi hanno perso la loro reputazione”. A quella novità che metteva in crisi l’invarianza CP furono pochi a crederci. Tra questi però c’era Dirac: la prese sul serio ed entrò in una fase di grande depressione scientifica. Lui, famoso per la sua prudenza, aveva giurato sull’invarianza C. Adesso crollava addirittura CP. E per avere il primo esempio di antimateria era necessario salvare CPT, quindi invocare la violazione di T. Le uniche cose da fare erano di natura tecnologico-sperimentale. E infatti la scoperta dell’antimateria ha richiesto la costruzione del più potente fascio di particelle negative nel protosincrotone del Cern e l’invenzione di una tecnica nuova per riuscire a misurare con precisione, mai prima realizzata, i tempi di volo delle particelle cariche. È così che siamo riusciti a scoprire che un antideutone viene prodotto non dopo dieci milioni, bensì dopo cento milioni di pioni.
    Per capire l’importanza di questa scoperta è necessario avere le idee chiare su cosa si deve intendere per materia. Le particelle non bastano per costruire la materia. Ci vuole anche la colla. Usando quella elettromagnetica si fanno atomi e molecole. Per fare i nuclei ci vogliono protoni, neutroni e colla nucleare. È come se avessimo mattoni. Per costruire una casa ci vuole la colla, non bastano i mattoni. La materia corrisponde alla casa, non ai mattoni e basta.
    Se, grazie a determinate leggi, sappiamo che devono esistere mattoni e antimattoni, tutto ciò che si può fare è avere mucchi di mattoni e mucchi di antimattoni. Non case e anticase. Se la realtà in cui viviamo ci dice che esistono le case; per essere sicuri che debbano esistere le anticase ci vuole una legge che stabilisca l’esistenza delle anticolle esattamente identiche alle colle che permettono ai mattoni di incollarsi per fare le case. Affinché questo avvenga è necessaria la validità della legge di invarianza CPT.
    Oggi sappiamo che tutte le forze fondamentali convergono all’energia di Planck, dove non vale più l’invarianza CPT. D’altronde se al “punto” sostituiamo la “cordicella” le cose non cambiano: la Relativistic Quantum String Theory non riesce a tirar fuori la validità di CPT. Questo vuol dire che non c’è teoria che possa garantire, partendo dall’esistenza delle “case”, che devono esistere le “anticase”. Ecco perché la certezza che oltre all’antidrogeno devono esistere tutti gli antiatomi con i loro antinuclei nasce da quell’esperimento fatto al Cern nel marzo del 1965. Ed ecco perché vorrei chiudere con la citazione di Heisenberg che Lee ha fatto a Bologna, nella sua lezione d’apertura al simposio celebrativo del 30° anniversario della scoperta dell’antimateria: “Nel suo libro The Physicist’s Conception of Nature Werner Heisenberg scrive: ‘Penso che la scoperta dell’antimateria sia forse il maggiore dei grandi salti nella fisica del nostro secolo’. Ora, Heisenberg ha scoperto la meccanica quantistica nel 1925. Dal 1972, egli è stato testimone di quasi tutti i grandi salti della fisica moderna. Ebbene egli classificherebbe la scoperta dell’antimateria come il più grande di tutti i salti”.

    Approfondimento
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    Biografia

    Antonino Zichichi. Fondatore del Centro di Cultura Scientifica Ettore Majorana e autore del progetto dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Infn è tra i protagonisti della ricerca di fisica sperimentale italiana. Mentre nel 1978 era alla guida del gruppo di studio per nuovi acceleratori dell’Ecfa (European Committee for Future Accelerators), fu elaborato, su sua proposta, il progetto per una macchina da 27 km di circonferenza, da cui nacque prima il Lep e in seguito Lhc.


    Link

    http://www.ccsem.infn.it

     

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  • L'ombra della materia sull'antimateria

    testera-2014L’esperimento Aeḡis (Antimatter Experiment: Gravity Interferometry and Spectroscopy) (vd. anche Fabbrica di antiatomi, ndr), realizzato al Cern con la collaborazione dell’Infn, annuncia oggi su Nature Communications di aver misurato, grazie allo strumento chiamato deflettometro moiré, la deflessione di un fascio di antiprotoni sotto l'effetto di una debolissima forza magnetica. Si tratta di un primo test dello strumento che ne ha verificato l’efficienza e la sensibilità, nella prospettiva di eseguire in futuro misure degli effetti della gravità su atomi di anti-idrogeno. Non esiste infatti ad oggi una misura diretta del fatto che l'antimateria subisca la forza gravitazionale in modo del tutto equivalente alla materia. "È molto probabile che questa equivalenza sia vera – ha commentato Gemma Testera, viceresponsabile di Aeḡis e coordinatrice Infn della collaborazione italiana – ma la nostra misura fornirà in ogni caso un'indicazione molto utile per capire come costruire una teoria quantistica della gravità e quindi una visione unitaria delle forze fondamentali della natura, di cui ancora non disponiamo". Il deflettometro moiré usato da Aeḡis è costituito da due grate parallele tra di loro poste in successione a una certa distanza, formate da fenditure orizzontali e seguite da un rivelatore (una emulsione) che registra la posizione di arrivo delle particelle. Le scanalature delle grate provocano un “effetto ombra” (deflessione di moiré) e fanno in modo che le particelle possano arrivare sul rivelatore solo in certe specifiche posizioni verticali, selezionando la direzione del raggio incidente. Se una debole forza agisce sulle particelle durante il volo tra le grate la forma dell'ombra si modifica e si può risalire al valore della forza. È con questo dispositivo che la collaborazione Aeḡis è riuscita a misurare gli effetti di una debolissima forza magnetica sugli antiprotoni. “Questo risultato rappresenta la prima misura della deflessione moiré con l'antimateria”, ha aggiunto Gemma Testera. “Aeḡis si prepara in futuro a misurare l'effetto della forza di gravità su atomi di anti-idrogeno, con un dispositivo simile a questo, ma molto più grande, che provocherà uno spostamento della forma dell’ombra, analogo a quello ottenuto ora con il campo magnetico su antiprotoni". [Sara Cacciarini]

  • La Fisica, la Bellezza e l'Antimateria

    La Fisica, la Bellezza e l'Antimateria
    La storia enigmatica dell’antimateria e della simmetria nell’Universo.
    di Andrea Vacchi

    a.
    Il quadro Day and Night di M. C. Escher. Il positrone, la controparte di antimateria dell’elettrone, fu inizialmente immaginato come una lacuna nel mare di Dirac. Una scatola piena di elettroni, salvo un piccolo spazio, può essere vista come una scatola vuota con un positrone in quello stesso spazio.
    Nell’estate del 1931 Wolfgang Pauli assisteva a un seminario di Robert Oppenheimer sul lavoro del fisico teorico Dirac. Si racconta che, nel bel mezzo di quella lezione, scattò in piedi, afferrò un pezzo di gesso camminando verso la lavagna, e lì davanti si fermò brandendolo come per intervenire, poi disse: “Ach nein, das ist ja alles falsch!”… tutto questo è certamente sbagliato! Più tardi Pauli scrisse, a proposito della spiegazione che Dirac dava dei risultati della sua teoria,“non crediamo che tutto questo debba essere preso sul serio”.
    Di carattere molto schivo, ai limiti della scontrosità, quando nel 1933 Paul Dirac seppe di aver ricevuto il premio Nobel la sua prima tentazione fu di rinunciare al riconoscimento. Accettò solo davanti all’obiezione di Ernest Rutherford, Nobel nel 1908, che il rifiuto avrebbe suscitato una pubblicità perfino maggiore. Aveva 31 anni e la convinzione che le leggi fondamentali della Natura fossero pervase da una bellezza matematica che resta tale da qualsiasi punto di vista e sempre. In quel periodo la recente teoria della meccanica quantistica spiegava come il mondo delle cose molto piccole seguisse leggi diverse da quelle suggerite dal nostro intuito: la meccanica quantistica è una delle maggiori rivoluzioni nella fisica del ventesimo secolo e, anche se può apparire bizzarra e lontana dall’intuito, è probabilmente la descrizione della Natura più vicina alla realtà. Nel frattempo, Einstein proponeva la sua teoria della relatività speciale, dove si mostrava come lel eggi che descrivono cose molto veloci sfidino i nostri criteri di buonsenso e che la materia è una tra le tante forme di energia. Nel 1927, Paul Dirac fece il passo fondamentale per accordare fisica quantistica e teoria della relatività speciale di Einstein, introducendo un’equazione in grado dispiegare il comportamento degli elettroni ad ogni velocità, fino alla velocità della luce: quale è la giusta descrizione dell’elettrone come onda quantica? E quale l’equazione che governa la dinamica di queste onde, rispettando le regole della relatività? Il lavoro di Dirac era volto a descrivere la Natura attraverso una formula che rispettasse un’estetica nella matematica. Gli capitò di dire: “È più importante arrivare a equazioni belle che ottenere da esse la riproduzione di osservazioni sperimentali”. Questa impostazione lo condusse a risultati spettacolari. È fondamentale che l’esperimento confermi una teoria scientifica, ma certe teorie appaiono troppo belle per essere scartate, anche se restano in attesa di una conferma sperimentale. Semplicità ed eleganza sonole caratteristiche che appaiono quando una teoria è sviluppata con il minimo numero di assunzioni, quando è universale e descrive fenomeni ai quali non era diretta in origine.
    b.
    Un ritratto di Paul Dirac.

    Dirac amava la montagna: tra le sue ascensioni si ricorda il monte Elbruz nel Caucaso. Si preparava a queste escursioni arrampicandosi sugli alberi nelle colline attorno a Cambridge, vestito degli stess iabiti scuri che usava nel campus. Se per gli artisti la bellezza è spesso soggettiva, nella scienza si cercano equazioni che mantengano la loro forma anche attraverso trasformazioni che le adattano ai diversi sistemi di riferimento. L’equazione della sfera, ad esempio, non cambia quando le coordinate sono invertite: la sfera resta tale vista da qualunque prospettiva, anche attraverso uno specchio. La sua affermazione sull’importanza della bellezza era diretta a Erwin Schrödinger. Dirac era dell’avviso che Schrödinger avrebbe dovuto continuare il suo sviluppo teorico senza curarsi degli esperimenti. Egli fece in questo modo, arrivando a scoprire un’equazione consistente con la relatività, ma in una forma matematica nuova, insolita per la maggior parte dei fisici di allora. È un’equazione che ha la stessa forma in ogni sistema di riferimento e resta invariata nelle trasformazioni di spazio e tempo richieste dalla teoria della relatività.
    Il lavoro di Dirac, intitolato La Teoria Quantistica dell’Elettrone, fu pubblicato ottanta anni fa, nel febbraio del 1928. Lo sviluppo che vi si proponeva portava alla sua equazione, in grado di fornire una spiegazione naturale per le caratteristiche dell’elettrone come lo spin, ma conduceva anche a risultati sorprendenti e apparentemente paradossali: ogni soluzione in cui l’elettrone aveva una prevedibile energia positiva, permetteva una controparte con energia negativa, stati a energia negativa che apparivano come particelle con numeri quantici inversi rispetto alla materia “normale”: tutti lo ritenevano innaturale, impossibile.
    Furono necessari tre anni di ipotesi e discussioni e finalmente nel 1931, interpretando i suoi risultati, Dirac intuì e propose l’esistenza dell’antielettrone, chiamato anche positrone, una particella con la stessa massa e lo stesso spin dell’elettrone, ma con carica elettrica opposta.
    Era un’ipotesi ardita nata come risultato di una formulazione teorica che diede luogo, tra i fisici, a discussioni infuocate. Dirac predisse, inoltre, che se un elettrone avesse incontrato un antielettrone, la coppia si sarebbe dovuta annichilare e la massa ricombinata trasformarsi in radiazione, così come richiesto dalla celebre equazione di Einstein E = mc2. Una simile particella era sconosciuta.
    Dirac formulò l’ipotesi che in altre parti dell’Universo le cariche positive e negative fossero invertite, che esistesse quindi un Universo di antimateria. L’insistere sulla consistenza e bellezza della teoria portava a immaginare aspetti inattesi della Natura. Naturalmente questo richiedeva un’intelligenza intuitiva straordinaria, che certo a lui non mancava.

    c.
    Carl Anderson vicino alla camera a nebbia con cui scoprì il positrone nel 1932.

    Nel 1932, mentre studiava le tracce lasciate dalle particelle dei raggi cosmici nel suo rivelatore, la camera a nebbia, Carl Anderson notò che alcune di esse, pur avendo tutte le caratteristiche lasciate di solito dagli elettroni, reagivano al campo magnetico come se avessero carica opposta. Si trattava della prima chiara evidenza sperimentale dell’esistenza di una particella di antimateria, l’antielettrone di Dirac. Una scoperta sensazionale: l’antielettrone previsto dai risultati dell’equazione di Dirac era stato identificato senza possibilità di errore. Un trionfo esaltante per la fisica teorica che vide confermata dall’esperimento la sua predizione, frutto di immaginazione e bellezza matematica.

    [as] approfondimento
    Il mistero dei raggi cosmici

    1.
    Questo strumento è una delle camere a nebbia usate da Carl Anderson in un forte campo magnetico. Millikan aveva chiamato la linea sperimentale, impostata attorno al 1930 con l’uso di questi strumenti, study of cosmic rays, the birth cries of the universe, ossia “studio dei raggi cosmici, il primo vagito dell’Universo”.
     

    2.
    La famosa fotografia del 1932: raffigura il positrone che entrando dal basso attraversa uno spessore di piombo perdendo energia. Una minore energia, infatti, determina una maggiore curvatura della traccia nel campo magnetico. L’elettrone avrebbe avuto una curvatura opposta.
     

    La più naturale sorgente di antimateria era, allora come oggi, la radiazione proveniente dal Cosmo. Già nel 1912 Victor Hess, salendo a 5.000 metri con un pallone aerostatico, aveva notato che la ionizzazione prodotta sui suoi strumenti dalla radiazione cresceva aumentando la quota. “I risultati delle mie osservazioni si spiegano perfettamente supponendo che una radiazione di grandissimo potere penetrante entri dall’alto nella nostra atmosfera […]”, scrisse più tardi. Una pioggia incessante di particelle provenienti dallo Spazio colpisce la Terra: sono i raggi cosmici, l’unico contatto materiale con la Galassia e l’Universo. Come e dove nascono? In che modo raggiungono la loro energia? Fuori dell’atmosfera terrestre i raggi cosmici sono particelle di ogni tipo: i più abbondanti sono protoni (i nuclei di idrogeno), poi nuclei di elio e di elementi più pesanti. Il campo magnetico della Terra ne devia la traiettoria in modo più o meno importante in base alla loro energia. Arrivando negli strati alti dell’atmosfera e urtando contro le molecole dell’aria, i raggi cosmici primari producono uno sciame, una vera e propria cascata di particelle secondarie, ricca anche di antiparticelle. La natura delle particelle, nello sciame prodotto dai raggi cosmici, muta mentre esse sprofondano nell’atmosfera. Per questo, per poterne studiare le caratteristiche originarie, da sempre i fisici portano i loro strumenti in alta quota. Carl Anderson usava la camera a nebbia, uno strumento studiato da Charles Wilson, che permetteva di fotografare la traccia lasciata in un gas dalle particelle prodotte dai raggi cosmici. Nata per studiare la formazione delle nuvole, consisteva di un cilindro riempito d’aria, chiuso all’estremità da un pistone. Lo spostamento veloce del pistone causava un’espansione del volume della camera con un conseguente calo di temperatura dell’aria satura di vapore acqueo, e questo induceva la formazione di minuscole gocce liquide. Wilson aveva scoperto che le cariche elettriche (ioni) prodotte dal passaggio delle particelle nel gas agivano da centri di condensazione.

    3.
    Il lancio dall’Antartico di un moderno pallone stratosferico. Sgonfio, il pallone è alto come la torre Eiffel, mentre gonfio ha un diametro di 176 metri. Tra gli obiettivi dell’esperimento Bess-Polar c’è quello di chiarire il puzzle dell’asimmetria materia-antimateria studiando l’antimateria nei raggi cosmici.
    4.
    Lord Rutheford definì la camera a nebbia o di Wilson “il più originale e meraviglioso strumento della storia della scienza”. Nella camera a nebbia la radiazione entra in una camera di espansione che contiene un gas saturo di vapor d’acqua. L’espansione causata dal pistone raffredda il gas e si formano gocce di vapore attorno agli ioni prodotti dal passaggio delle particelle. La camera a bolle (vd. fig. 4), che valse il premio Nobel a Glaser nel 1960, è lo strumento complementare alla camera a nebbia. Levando il tappo a una bottiglia d’acqua minerale, abbassiamo la pressione e si formano bolle di gas. Nella camera a bolle un liquido è mantenuto a una temperatura prossima al punto di ebollizione. Se la pressione è tolta rapidamente dalla camera con il movimento del pistone il liquido avrà la tendenza a bollire. La particella che attraversa il liquido genera degli ioni sul suo tragitto e questi agiscono da punti di origine di piccole bolle. Una fotografia potrà riprendere la traccia e l’interazione della particella come se si trattasse di un fuoco d’artificio.

    Questa prova sperimentale fu confermata pochi giorni dopo da Patrick Blackett e Giuseppe Occhialini che, con uno strumento simile ma reso più selettivo dall’impiego di circuiti elettronici molto avanzati (la specialità del giovane Occhialini), osservarono due fenomeni già previsti da Dirac: la generazione di coppie di elettroni e positroni prodotti direttamente dalla radiazione, e l’annichilazione, il processo nel quale particelle e antiparticelle riunite sparivano emettendo radiazione.
    Nella lezione che tenne, ricevendo il premio Nobel nel 1933, Dirac ipotizzò l’esistenza dell’antiprotone, o protone negativo. Gli acceleratori di particelle oggi generano antiprotoni, antineutroni e antimesoni. Nella visione di Dirac, come verificato dalla fisica sperimentale, ogni particella elementare ha un complementare, un’antiparticella. Se l’elettrone è un piccolo rilievo, una goccia nello spazio, la sua antiparticella, il positrone, è una fossa, una lacuna. Particella e antiparticella possono essere create o distrutte solo in coppia e la loro somma è radiazione. Questi eventi di creazione e annichilazione di coppie si realizzano oggi normalmente nei grandi acceleratori e vengono osservati con raffinati strumenti negli apparati sperimentali.
    L’equazione di Dirac, una delle cattedrali della scienza, spianò la strada allo studio dell’antimateria e inaugurò un periodo fertilissimo di scoperte. La caccia alle antiparticelle era iniziata. Il passo successivo era dimostrare l’esistenza dell’antiprotone. Questa era messa in dubbio da un valido argomento: nell’Universo non c’è simmetria tra materia e antimateria. Inoltre, per produrre l’antiprotone è necessaria un’energia molto maggiore a quella necessaria a produrre positroni.

    c.
    Il laboratorio Berkeley come appariva nel 1955. Il Bevatron si trova sotto la cupola centrale.
    d.
    Da sinistra Emilio Segrè, Clyde Wiegand, Edward Lofgren, Owen Chamberlain e Thomas Ypsilantis, i componenti del gruppo che scoprì l’antiprotone. Lofgren era responsabile dell’acceleratore.

    Nel 1955 a Berkeley, in California, fu messo in funzione il più potente acceleratore mai costruito fino a quel momento (vd. Asimmetrie n. 6, ndr). Proposto da Ernest Lawrence, il Bevatron era capace di raggiungere 6,2 GeV (allora il miliardo di elettronvolt, il GeV di oggi, era chiamato BeV, da cui il nome dell’acceleratore). Lawrence era cosciente del fatto che questa era l’energia necessaria per superare la soglia di produzione degli antiprotoni.
    Emilio Segrè era stato il primo studente a laurearsi con Fermi all’Università di Roma. Anche Owen Chamberlain aveva studiato con Fermi ed era diventato poi assistente di Segrè durante il progetto Manhattan. Insieme progettarono un labirinto di magneti e contatori elettronici attraverso i quali potevano passare solo antiprotoni. L’ingegnoso esperimento usava rivelatori e dispositivi elettronici che per l’epoca erano di frontiera. “Dovemmo selezionarli e pesarli in molto meno di un milionesimo di secondo”, spiegò in seguito Segrè.
    Nell’ottobre del 1955, lui e i suoi collaboratori bombardarono un bersaglio di rame con i protoni accelerati dal Bevatron. Si contarono 60 particelle identiche ai protoni, ma con carica elettrica negativa: 60 antiprotoni!

    e.
    Un antiprotone (traccia colorata artificialmente in azzurro) entra in una camera a bolle dal basso e colpisce un protone. L’energia rilasciata nell’annichilazione produce quattro particelle positive (pioni in rosso), quattro particelle negative (pioni in verde). La traccia gialla è un muone, prodotto di decadimento di uno dei pioni da cui ha origine. I ricci blu sono prodotti da elettroni di bassa energia, da reazioni che non hanno a che vedere con l’antiprotone.
    f.
    L’evento chiamato “Faustina”, trovato nel febbraio 1955 dal gruppo di ricerca guidato da Edoardo Amaldi in una delle emulsioni fotografiche esposte ai raggi cosmici durante la spedizione in Sardegna del 1953, è interpretabile come processo di “produzione, cattura e annichilamento di un protone negativo”.

    Iniziarono anche altre ricerche indirizzate, ad esempio, verso la scoperta del primo antinucleo (vd. “Primo passo verso l’antinucleo” p. 12, ndr), e si scatenò da allora la fantasia dei narratori di fantascienza e non solo. La stampa locale, il Berkeley Gazette, usciva con un titolo preoccupato: “Minacciosa scoperta all’Università di California”.
    Pare che al giornalista fosse stato detto che un antiprotone avrebbe causato l’esplosione di chi ne fosse venuto a contatto. Oggi miliardi di antiprotoni vengono prodotti normalmente al Cern di Ginevra e al laboratorio Fermi di Chicago, senza alcun pericolo. Poco dopo la scoperta dell’antiprotone Oreste Piccioni individuò l’antineutrone. Erano anni di vera passione scientifica tra grandi scoperte teoriche e sperimentali. Oreste Piccioni ebbe un importante ruolo anche nella scoperta dell’antiprotone, come ricordarono Segrè e Chamberlain nel ricevere il premio Nobel. Ma il suo contributo di grande fisico sperimentale resta storicamente l’elegantissima misura che, studiando la reazione di scambio della carica in cui un protone e un antiprotone danno un neutrone e un antineutrone, dimostrò l’esistenza dell’antineutrone. La teoria di Dirac richiede che ogni particella abbia un partner di antimateria di massa uguale e carica elettrica opposta. Ogni particella ha la sua “anti”. I protoni sono composti da quark.
    Analogamente gli antiprotoni sono composti da antiquark. In questo modo è possibile produrre la famiglia completa di antiparticelle. Vengono chiamate particelle di Dirac le particelle che hanno un complementare di antimateria. Nel 1937 il giovane fisico Ettore Majorana pubblicò il suo lavoro scientifico più famoso, Teoria simmetrica di elettroni e positroni, in cui si introduce l’ipotesi rivoluzionaria che il partner di antimateria di alcuni tipi di particelle siano loro stesse. Questo era in contraddizione con ciò che Dirac aveva proposto. Majorana suggerì che il neutrino, da poco introdotto da Pauli e Fermi per spiegare le caratteristiche del decadimento con elettroni di alcune sorgenti radioattive, fosse un esempio di particella capace di essere l’antiparticella di se stessa.

    g.
    Questa immagine, ottenuta nel 1958 nella camera a bolle di Berkeley, dimostra l’esistenza dell’antineutrone, l’antiparticella del neutrone. Nel punto segnato dalla freccia nera un antiprotone prodotto dall’acceleratore subisce una reazione di scambio della carica. L’antineutrone prodotto non lascia una traccia visibile, percorre una decina di centimetri prima di annichilare in una caratteristica stella di annichilazione. L’energia rilasciata è consistente con quella che ci si aspetta quando le massa a riposo di un neutrone e di un antineutrone vengono convertite in energia.
    h.
    L’esperimento Cuore presso i Laboratori del Gran Sasso dell’Infn, di cui qui vediamo una colonna, è un rivelatore modulare costituito da 1.000 cristalli di ossido di tellurio disposti in una matrice quadrata di 25 colonne, ciascuna delle quali contiene 40 cristalli di TeO2 di 5x5x5 cm3. Questi, a una temperatura di ca. 7-10 mK, molto vicino allo zero assoluto, fungono sia da rivelatore che da sorgente di 130Te. L’esperimento permetterà di studiare con grande sensibilità il decadimento raro, con due elettroni senza neutrino, del 130Te. La misura delle caratteristiche di questo decadimento senza neutrini indicherà se il neutrino è una particella di Majorana e aiuterà a spiegare l’asimmetria particella-antiparticella nell’Universo. L’osservazione di questo decadimento avrà sulla fisica, sull’astrofisica e sulla cosmologia un impatto molto profondo.

    I neutrini non hanno carica, non necessariamente si comportano come i quark e gli elettroni e le altre particelle di Dirac. L’assenza di carica permette l’ipotesi che il neutrino e l’antineutrino siano la stessa particella. Ettore Majorana propose questa idea e una particella che coincide con la sua antiparticella viene chiamata particella di Majorana.
    La scoperta della massa del neutrino ha messo questo tema in primo piano. Per ordinare il neutrino all’interno del modello teorico chiamato Modello Standard è necessario sapere se i neutrini sono particelle di Dirac o particelle di Majorana. Oggi, moderni e raffinati esperimenti sono tesi a chiarire questo particolare aspetto dei neutrini.
    Dai primi lavori di Dirac sono trascorsi ottanta anni, l’idea dell’antimateria è ancora sorprendente e affascinante perchè l’Universo appare composto completamente di materia. L’antimateria sembra andar contro tutto ciò che sappiamo a proposito dell’Universo. L’Universo è completamente composto di materia anche se nel Big Bang sono state create quantità uguali di materia e antimateria. Perché?
    Tutte le particelle di materia e antimateria dovrebbero essere annichilite lasciando solo fotoni, ma in qualche modo una piccolissima frazione della materia ha potuto sopravvivere per creare l’Universo come lo conosciamo.
    È uno dei più grandi misteri della fisica moderna.

    Biografia
    Andrea Vacchi dirige la sezione di Trieste dell’Infn. È tra gli iniziatori dell’esperimento Infn Pamela per la ricerca di antimateria nei raggi cosmici. È direttore editoriale di Asimmetrie.


    Link

    http://nobelprize.org/nobel_prizes/physics/laureates/1933/dirac-bio.html
    http://www.upscale.utoronto.ca/GeneralInterest/Harrison/AntiMatter/AntiMatter.html

     

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  • La meccanica quantistica domina anche l'antimateria

    QUPLAS 2019Realizzato per la prima volta con singoli antielettroni il classico esperimento della doppia fenditura: viene così dimostrato in modo diretto che il dualismo onda-particella vale anche per l’antimateria.

    Anche il positrone, ossia la corrispondente antiparticella dell’elettrone, ha una doppia natura: è sia onda che particella. Questa sua caratteristica è stata ricavata osservando per la prima volta l’interferenza di onde di antimateria con singoli positroni, e conferma che le leggi della meccanica quantistica valgono anche per l’antimateria.

    Si tratta della versione con singole particelle di antimateria del classico esperimento di interferenza della doppia fenditura, realizzato per la prima volta con fotoni da Thomas Young, proposto poi a livello concettuale con singole particelle da Albert Einstein, e quindi realizzato con singoli elettroni da Gian Franco Missiroli, Pier Giorgio Merli e Giulio Pozzi e pubblicato nel 1976.

    I ricercatori del Politecnico di Milano, dell’INFN Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, dell’Università degli Studi di Milano e del Centro Albert Einstein (AEC) per la Fisica Fondamentale e Laboratorio di Fisica delle Alte Energie (LHEP) dell’Università di Berna, sono, infatti, riusciti nella sofisticata impresa di realizzare l’esperimento impiegando singoli positroni.

    “I grandi successi non si ottengono solo nei grandi laboratori, - commenta Rafael Ferragut, responsabile del Laboratorio Positroni L-NESS del Politecnico di Milano a Como, che ospita l’esperimento – questo risultato è il frutto del lavoro tenace ed entusiasta di un piccolo gruppo di ricercatori appassionati”.

    Nell’esperimento, che si basa sulla tecnica dell’interferometria, ‘le onde’ di antimateria, generate da un singolo positrone, quando interferiscono costruttivamente collassano e si localizzano in un punto, comportandosi come ‘una singola particella’, e vengono così rivelate, dimostrando per la prima in modo diretto che il dualismo onda-particella vale anche per l’antimateria. Lo studio è stato pubblicato il 3 maggio, su Science Advances.

    “Il successo di questo nostro esperimento apre la strada dell’interferometria quantistica per sistemi con antimateria”, sottolinea Marco Giammarchi, ricercatore della sezione INFN di Milano e responsabile della collaborazione QUPLAS (Quantum interferometry with Positrons and LASers) che ha realizzato l’esperimento.

    Nel classico esperimento della doppia fenditura, un fascio di particelle viene lanciato da una sorgente a un rivelatore. Nel corso del tragitto sono poste delle grate con due fenditure attraverso le quali passano le particelle. Se le particelle si comportassero solo come particelle, allora viaggerebbero in linea retta e produrrebbero sul rivelatore un disegno corrispondente alle fenditure. Ma se le particelle hanno una natura ondulatoria, sul rivelatore allora appare una figura a strisce, con diversi massimi e minimi, che non corrisponde alle fenditure. La nuova figura è generata dall’interferenza delle onde che passano attraverso le fenditure.

    L’esperimento della collaborazione QUPLAS

    Dal punto di vista concettuale, per interpretare il risultato dell’esperimento è, quindi, necessario considerare che una singola particella si propaghi nello spazio anche come una vibrazione periodica, ossia come un’onda: un concetto introdotto da Louis de Broglie nel 1923. Dal punto di vista tecnico, per la sua realizzazione, i ricercatori hanno progetto e implementato un apparato estremamente accurato e di altissima precisione.

    “Dimostrare l’interferenza di particella singola è stato possibile grazie a tre elementi cruciali: un fascio di positroni a particella singola, un interferometro in modalità Talbot-Lau progettato appositamente, e le emulsioni nucleari come rivelatore di alta risoluzione”, spiega Simone Sala, dell’Università degli Studi di Milano, la cui tesi di dottorato è incentrata su questo esperimento.

    “Siamo molto soddisfatti che le emulsioni nucleari si siano dimostrate una soluzione vincente per il successo del nostro esperimento e che abbiano potuto trovare ancora una volta applicazione in un progetto rilevante”, sottolinea Ciro Pistillo, dell’AEC e del LHEP di Berna.

    L’esperimento consiste, infatti, di tre elementi principali: il fascio, l’interferometro e il rivelatore. Il fascio di positroni singoli di energia ben determinata è stato collimato per migliorarne la qualità di parallelismo. L’interferometro consiste in due serie di fenditure micrometriche con un alto grado di parallelismo e periodicità. La prima serie di fenditure è stata utilizzata per dare coerenza alle onde singole. In seguito, le onde si propagano nello spazio per una certa distanza sino ad arrivare alla seconda serie di fenditure dove formano fronti di onde secondarie. Queste onde interferiscono fra loro in modo costruttivo o distruttivo formando una figura o diagramma di interferenza sulle emulsioni posizionate più distanti. L’originalità di aver usato una configurazione asimmetrica dell’interferometro consente di avere un ingrandimento, pari a cinque volte, della periodicità rispetto alla prima fenditura. In questo modo, la periodicità presente nella figura di interferenza ottenuta sulle emulsioni è stata di circa 6 micrometri. Si è trattato di un lavoro di estrema accuratezza. Per due anni sono stati raccolti dati, e parallelamente sono stati apportati miglioramenti all’interferometro, sino a riuscire a vedere la risonanza con un segnale di alta visibilità. Per ogni misura è stata accumulata una statistica di circa venti milioni di positroni sulle emulsioni, uno alla volta, per un tempo di circa 8 giorni. L’andamento della visibilità delle frange in funzione dell’energia dimostra inequivocabilmente la natura quantistica dell’interferenza.

    Ora, l’obiettivo a lungo termine dell’esperimento è utilizzare la straordinaria accuratezza dell’interferometria per misurare l’interazione gravitazionale materia-antimateria.

  • Lhcb rivela imperfezione nello specchio della materia

    LHCb magneti copia 2Lo specchio dell’universo rivela una nuova imperfezione. Alcune particelle gemelle si sono scomposte in forme diverse, mentre avrebbero dovuto mantenere la propria uguaglianza anche in questa trasformazione. Il fenomeno è stato osservato da un gruppo di scienziati, con una vasta partecipazione di fisici dell’Infn, all’esperimento Lhcb dell’acceleratore di particelle Large Hadron Collider al Cern di Ginevra, diretto da Pierluigi Campana. Lo studio, che viene pubblicato su Physics Review Letter, ha osservato questo comportamento in un tipo di particelle chiamato mesoni Bs, composti da un cosiddetto quark “bello” (beauty) e da un quark “strano” (strange). Per la prima volta, l’esperimento Lhcb è stato in grado di osservare una differenza - un’asimmetria di comportamento - tra i decadimenti dei mesoni Bs e delle loro particelle gemelle (ma con cariche opposte) di antimateria, i mesoni anti-Bs.

    Grazie alle collisioni che si realizzano all’interno di un acceleratore di particelle, qual è Lhc, oggi i fisici sono in grado di produrre quotidianamente migliaia di miliardi di particelle di antimateria. E possono studiare con precisione il loro comportamento, confrontandolo con quello delle gemelle di materia. Se particelle e antiparticelle avessero proprietà esattamente speculari - nel gergo tecnico dei fisici: se la simmetria CP fosse esattamente conservata - non vi sarebbe motivazione apparente per giustificare la scomparsa dell’antimateria dall’universo. Senonché, negli esperimenti si osservano piccole asimmetrie di comportamento tra materia e antimateria. Ricostruendo un campione di circa 1065 decadimenti di questi mesoni, Lhcb ha rivelato che in 676 casi i mesoni anti-Bs scompaiono (in gergo tecnico “decadono”) producendo una coppia di mesoni K e pioni, rispettivamente carichi positivamente e negativamente. Ci si aspettava che i mesoni Bs di materia ordinaria producessero anche loro un numero uguale di decadimenti identici (con cariche invertite). Invece è accaduto solo in 389 casi. Una bella differenza.

    “L’entità di questa asimmetria di comportamento è molto grande – spiega Vincenzo Vagnoni dell’Infn di Bologna e uno dei firmatari dell’articolo - e la misura effettuata da Lhcb apre un nuovo settore d’indagine che potrà portare, con l’aumento della precisione statistica, una migliore comprensione dei fenomeni alla base della violazione della simmetria CP, e possibilmente alla scoperta di nuovi effetti che possano finalmente spiegare il mistero della scomparsa di antimateria dal nostro universo”.

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