Da Star Trek a Dan Brown
L’antimateria nell’immaginario fantascientifico.
di Fabio Pagan

Il 6 gennaio 1996 il quotidiano francese Libération usciva con una prima pagina singolare, ispirata al mondo dei supereroi dei fumetti: un grande disegno a colori con una specie di Superman aggrappato a un meteorite. Titolo: Premiers pas dans l’antimonde. In didascalia si ricordava che nel settembre precedente, al Cern, erano stati fabbricati i primi antiatomi di idrogeno (due intere pagine del giornale erano infatti dedicate all’esperimento, con una lunga intervista all’italiano Mario Macrì) e che oggi, sulla Terra, non esistono più particelle di antimateria: “Salvo – veniva precisato – nelle teorie dei fisici e nella fantasia degli autori di science fiction”.
Una specie di tributo all’immaginario narrativo che ha sempre circondato l’antimateria. Ma, da quando Paul A.M. Dirac aveva previsto nella sua celebre equazione l’esistenza dell’antielettrone e aveva ricevuto nel 1933 il premio Nobel prospettando l’esistenza di un anti-universo, ci vollero una decina d’anni perché l’antimateria cominciasse a far capolino nei pulp magazine, le riviste da edicola dell’epoca. Gli storici della fantascienza attribuiscono a Jack Williamson – uno dei maestri dell’avventura spaziale, scomparso lo scorso novembre quasi centenario – il merito di aver usato per primo il concetto di antimateria nelle sue Seetee stories, apparse a partire dal 1942 sulla rivista Astounding Science Fiction con lo pseudonimo di Will Stewart (in Italia vennero pubblicate solo nel 1974 in un volume intitolato Il millennio dell’antimateria).
Il termine Seetee è la trascrizione fonetica di Ct, ovvero contraterrene: così l’antimateria veniva spesso chiamata dopo che Carl Anderson (nel 1932) aveva identificato il positrone nella radiazione cosmica. Qualche altro esempio? Alfred E. van Vogt (The Storm, 1943) parla di una tempesta cosmica innescata dallo scontro tra una nube di gas di materia ordinaria e una nube di antimateria. James Blish (Beep, 1954) si ispira a Dirac per un trasmettitore capace di collegare istantaneamente ogni punto della galassia grazie all’impiego di elettroni e positroni. Lo scrittore sovietico Anatolij Dneprov abbina universi paralleli e antimateria dapprima in un racconto (La mummia purpurea, 1961) e successivamente in un romanzo (Operazione antimateria, 1965). Larry Niven (Flatlander, 1967) racconta l’esplorazione di un oggetto di antimateria ai confini del Cosmo. Bob Shaw (A Wreath of Stars, 1976) immagina un intero mondo fatto di antineutrini. Fino al sofisticato Ripples in the Dirac Sea (1988), che ha fatto vincere il premio Nebula al suo autore, Geoffrey A. Landis, scrittore, inventore e ingegnere della Nasa, impegnato nelle missioni di esplorazione marziana.
Tuttavia non c’è dubbio che l’antimateria, nella fantascienza, resta legata soprattutto alla saga televisiva e cinematografica di Star Trek. Parafrasando Shakespeare, l’antimateria è infatti la materia di cui sono fatti i sogni di Star Trek. Senza l’antimateria, non sarebbero possibili – come veniva detto dalla voce fuori campo all’inizio del primo film della serie – “le crociere della nave stellare Enterprise: la sua missione è quella di esplorare nuovi mondi, alla ricerca di nuove forme di vita e di nuove civiltà, e di giungere arditamente dove nessun uomo è mai giunto prima d’ora”. Ma come far correre l’Enterprise a velocità superiore a quella della luce? Gene Roddenberry (il “papà” di Star Trek) decise di dotarla dell’ormai mitico warp drive, il motore di curvatura capace di contrarre lo spazio davanti all’astronave e di dilatarlo dopo il suo passaggio.
La distorsione spazio-temporale consente di creare una scorciatoia tra il punto di partenza e quello di arrivo, catapultando l’Enterprise da un angolo all’altro della galassia. L’energia per la manovra è ottenuta attraverso l’annichilazione di atomi di deuterio e antideuterio, ingabbiati da potenti campi magnetici. La camera in cui avviene la reazione è costruita attorno a una rete di cristalli di litio, che controllano l’annichilazione senza interagire con l’antimateria.
a.
L’autore davanti allo Shuttle sperimentale Enterprise montato su un Boeing 747 cargo, nel giugno del 1983 al 2Salone Aerospaziale" di Parigi.
Il successo popolare di Star Trek fu tale che – sulla spinta delle richieste di migliaia di fan – la Nasa decise di battezzare Enterprise il suo primo Shuttle, realizzato non per andare in orbita ma per sperimentare le fasi di rientro e di atterraggio, sganciato in quota da un Boeing 747. La presentazione di Enterprise, nel settembre del 1976, negli stabilimenti Rockwell di Palmdale, California, fu accompagnata dalle note della fanfara di Star Trek, ospiti d’onore Roddenberry e gli attori della saga.
Lawrence Krauss, fisico e cosmologo alla Case Western Reserve University di Cleveland, Ohio, dedica al motore di curvatura un capitolo del suo libro La fisica di Star Trek, uscito in Italia nel 1996. Divertendosi a smontarne ogni possibilità di realizzazione anche in quel XXIII secolo in cui sono ambientate le avventure del comandante Kirk e del capitano Picard, del vulcaniano Spock e dei malvagi Klingon.
b.
Il cast del telefilm Star Trek davanti allo shuttle Enterprise.
c.
Lawrence Krauss, autore del libro La Fisica di Star Trek, stringe in mano un modellino dell’Enterprise.
Eppure Krauss – notissimo divulgatore scientifico, collaboratore del New York Times e di Scientific American – non rinnega la sua passione per Star Trek e per la fantascienza in generale, considerandola anzi uno strumento ideale per spiegare la scienza. Mi raccontò, la prima volta che lo incontrai al Centro Internazionale di Fisica Teorica di Trieste: “Tutto ebbe inizio quando seppi che una mostra sull’Enterprise di Star Trek, al Museo dello Spazio di Washington, aveva avuto più successo dell’esposizione dei veicoli spaziali reali.
Mi dissi allora: quale via migliore per parlare di fisica alla gente digiuna di scienza? Così decisi di usare le storie di Star Trek come una specie di laboratorio in cui esplorare la fisica dell’Universo”. Tutt’altro discorso per Angeli e demoni, il romanzo che Dan Brown pubblicò nel 2000, prima del Codice da Vinci, ma apparso in Italia solo nel 2004, sulla scia del successo planetario del Codice. Thriller scientifico-religioso su un’antica setta (gli Illuminati) che vuole distruggere il Vaticano con una bomba di antimateria. La cosa più curiosa e intrigante è che l’antimateria è stata rubata al Cern (descritto nel libro in termini piuttosto fantasiosi), dove era stata ottenuta di nascosto da un bizzarro fisico-sacerdote che voleva impiegarla per rifare in laboratorio il Big Bang con l’obiettivo di dimostrare la plausibilità della Genesi e quindi l’esistenza di Dio. Un pastiche divertente ma sconclusionato, in cui l’antimateria acquista una dimensione metafisica ed esoterica. Al Cern, comunque, si è deciso di stare al gioco. L’ufficio stampa ha idealmente ringraziato Dan Brown per il picco di visite registrato dopo l’uscita del romanzo, ma non ha trascurato di fare le pulci agli errori scientifici presenti nelle sue pagine. Il più macroscopico è forse quello di aver attribuito a Lhc la capacità di fabbricare antimateria, la quale comunque – con buona pace dell’autore – non potrà mai servire a produrre energia.
Ora al Cern attendono con curiosità (e un filo di preoccupazione) il film attualmente in fase di realizzazione, firmato dallo stesso regista del Codice da Vinci, Ron Howard, e interpretato ancora da Tom Hanks nei panni di Robert Langdon, docente di simbologia a Harvard. Dovrebbe arrivare sui nostri schermi a dicembre.

Biografia
Fabio Pagan, biologo di formazione e giornalista scientifico di professione, è vicedirettore e docente del Master in Comunicazione della Scienza della Sissa e conduttore del magazine quotidiano Rai- Radio3 Scienza.  

Link
http://www.fantascienza.com/catalogo
http://en.wikipedia.org/wiki/Star_trek
http://www.phys.cwru.edu/~krauss
http://www.danbrown.com/angels-demons/
http://public.web.cern.ch/public/en/Spotlight/SpotlightAandD-en.html  

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