antimateria

  • Materia e antimateria nucleare hanno massa uguale

    alice giubellinoIl superacceleratore Lhcì continua a regalare scorci nuovi sulla natura alla scala subnucleare. Nell’ambito dell’esperimento Alice, una delle quattro macchine fotografiche grandi come cattedrali che al Cern di Ginevra sbirciano i segreti dell’infinitamente piccolo, un team di fisici italiani dell’Infn ha verificato l’uguaglianza di una proprietà fondamentale di materia e antimateria nucleare, la massa, a un livello di precisione mai raggiunto prima. La ricerca si è guadagnata la pubblicazione su Nature Physics, la prima per Alice su questa prestigiosa rivista.

    Grazie all’abbondante produzione di nuclei leggeri nelle collisioni tra nuclei pesanti di piombo, l’esperimento Alice è riuscito a selezionare un campione di un milione di nuclei di antideuterio e di migliaia di nuclei dell’isotopo leggero dell’antielio, e a misurare la differenza di massa con i corrispondenti nuclei di materia. Questa differenza, entro le incertezze sperimentali, è risultata pari a zero. La misura conferma la validità di una simmetria fondamentale della natura, la simmetria CPT (carica, parità, tempo), in base alla quale se esiste un nucleo, allora esiste anche un antinucleo con la stessa massa, ma carica opposta.

    “È un risultato che dimostra le straordinarie possibilità aperte da esperimenti come Alice: il fatto di disporre di uno strumento cosi sofisticato per osservare la struttura della materia permette di effettuare misure molto diverse fra loro. Dobbiamo sempre essere pronti a possibili sorprese!”, sottolinea Paolo Giubellino, spokesperson di Alice.

    Le indagini volte a definire le caratteristiche dell’antimateria rappresentano da 50 anni uno dei punti di contatto tra la fisica delle particelle e lo studio dell’evoluzione dell’universo. L’antimateria è la controparte speculare della materia. Un concetto che sembra lontano dal senso comune. Eppure, è entrata ormai nelle vite quotidiane. Basti pensare alla Pet (Tomografia a Emissione di Positroni), dove la lettera “P” indica proprio un pezzetto di antimateria, il positrone, cioè l’antiparticella dell’elettrone.

    Storicamente, il primo scienziato a prevedere l’esistenza e il comportamento delle antiparticelle fu Paul Adrien Maurice Dirac, premio Nobel per la fisica nel 1933. La scoperta delle antiparticelle - la prima fu proprio il positrone, nel 1932, grazie a Carl Anderson - però, da sola non dimostra l’esistenza di stati di antimateria aggregata, cioè formata da antiparticelle, come avviene per le particelle ordinarie che costituiscono la materia. La parola antimateria, infatti, non solo implica l’esistenza delle antiparticelle previste dalla teoria di Dirac, ma anche che queste interagiscano fra loro in modo totalmente simmetrico rispetto a quanto avviene per la materia ordinaria. Solo nel marzo del 1965, al Cern, grazie al gruppo di Antonino Zichichi arriva la prova sperimentale dell’esistenza dell’antimateria nucleare, con la scoperta dell’antideuterio e la misura della sua massa. Successivamente, vengono osservati anche altri antinuclei leggeri (antitrizio, antielio e antialfa).

    “La scoperta del primo esempio di antimateria nucleare - afferma Antonino Zichichi, project leader del rivelatore Tof (Time of Flight, letteralmente tempo di volo) in Alice - è avvenuta al Cern, nel 1965, usando un fascio di antiprotoni della maggiore intensità mai raggiunta prima, e una tecnologia da record per la misura del tempo di volo. La scoperta dell’antimateria ha costituito la prova fondamentale che se l’universo è fatto esclusivamente di materia, ciò non accade perché l’antimateria non esiste e non fa parte della logica dell’universo, ma per via di altre fondamentali leggi e fenomeni della natura ancora da scoprire. Ciò ha portato Heisenberg a dire - nel suo libro The Physicist’s Conception of Nature - che questa scoperta dell’antimateria è stata forse il più grande balzo in avanti della fisica del XX secolo".

    Per ripetere con maggiore precisione questa misura, fisici di Alice hanno utilizzato un rivelatore la cui costruzione e messa a punto, con finanziamenti Infn, è interamente sotto responsabilità delle sezioni Infn di Bologna e Salerno e del Centro studi e ricerche Enrico Fermi di Roma. Si tratta proprio del rivelatore Tof, un grande cronometro alla frontiera della tecnologia. Il tempo di volo è la misura del tempo che impiega una particella prodotta in una collisione a raggiungere il rivelatore, a circa 4 m di distanza. Il rivelatore Tof misura con grande accuratezza questo tempo, grazie alle cosiddette Multigap Resistive Plate Chamber (Mrpc), camere sviluppate dai gruppi italiani e capaci di ottenere risoluzioni temporali di 80 picosecondi (80 millesimi di miliardesimi di secondo), su una superficie di 144 mq, grande quanto un campo di pallavolo. La particella di luce, il fotone, impiega ad esempio poco più di 10 nanosecondi, 10 miliardesimi di secondo, a raggiungere il rivelatore. I nuclei di antideuterio analizzati dal team di Alice, invece, vanno un po’ più lenti, in media il 30% più piano, e i fisici li identificano proprio perché arrivano 5 nanosecondi dopo la luce. Conoscendone l’energia (più precisamente la quantità di moto), attraverso la misura del loro ritardo si può misurare con grande precisione la loro massa.

    La misura di Alice si collega a quella effettuata 50 anni fa dal gruppo guidato da Antonino Zichichi, migliorando sensibilmente la precisione nella stima della differenza in massa di nuclei e antinuclei, fino ad arrivare a una parte su 10.000 nel caso dell’antideuterio e una parte su 1000 per l’antielio. In genere, misure di questo tipo richiedono esperimenti dedicati. Al contrario, nel caso di Alice la misura è stata effettuata nell’ambito di un programma di ricerca focalizzato su uno studio completamente diverso: la produzione e l’analisi di un plasma di quark e gluoni simile a quello prodotto nei primi istanti successivi al Big Bang. Ciò è stato possibile, non solo in virtù del grande numero di dati disponibili, ma anche grazie alle ottime capacità dell’esperimento, ai limiti della tecnologia esistente, di tracciare e identificare l’elevatissimo numero di particelle prodotte nelle collisioni.

    Lo studio appena pubblicato su Nature Physics, non solo conferma che esiste l’antimateria aggregata, come dimostrato 50 anni fa, ma che si comporta, con una precisione di una parte su 10.000, in modo analogo a quella ordinaria.

  • News-as11

    [as] news

    Piombo contro piombo
    Aprile 2011

    Dallo scorso novembre fino alla pausa natalizia, per il superacceleratore Lhc di Ginevra, è stato il "mese dei nuclei". La mattina dell'8 novembre 2010 gli esperimenti Alice, Atlas e Cms hanno iniziato a registrare le prime collisioni tra nuclei di piombo. A causa dell'elevata energia dell'urto e della compressione che subiscono nello scontro i 208 protoni e neutroni che compongono ciascun nucleo, si sono formate delle "sfere" con una densità di materia mai raggiunta finora in nessun acceleratore e una temperatura elevatissima: oltre centomila volte quella del nucleo del Sole. I risultati non si sono fatti attendere: sono stati visti, infatti, indizi del cosiddetto "brodo primordiale" o "plasma di quark e gluoni", cioè lo stato della materia che si creò subito dopo il Big Bang. Solitamente le collisioni producono getti di particelle in modo simmetrico in tutte le direzioni. Durante le collisioni piombo-piombo a Lhc si sono osservati, invece, getti di particelle sbilanciati. Questa asimmetria potrebbe indicare l'esistenza del plasma di quark e gluoni, perché i getti di particelle si attenuano maggiormente quanta più materia calda e densa attraversano. Il mese degli ioni è stato quindi un successo. [A.V.]

    Si parte!
    Aprile 2011

    È stato approvato dal Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca italiano (Miur) il progetto SuperB. Il programma di ricerca, proposto e sostenuto dall'Infn e inserito dal Governo fra i progetti bandiera contenuti nel Pnr (Programma Nazionale della Ricerca), prevede la realizzazione in Italia di un collisore a elettroni e positroni per la ricerca fondamentale, che permetterà studi complementari rispetto a quelli di Lhc. Come Lhc, anche SuperB indagherà la supersimmetria, ad esempio, ma lo farà con una tecnica diversa. Gli scontri tra elettroni in SuperB avverranno a un'energia di molto inferiore rispetto a quella tra protoni in Lhc, ma saranno così tanti da consentire ai ricercatori di "vedere" eventi rarissimi. I raggi X prodotti dai fasci di SuperB permetteranno applicazioni nel campo della biologia e della chimica e nei settori delle nanotecnologie, dei beni culturali e della diagnostica medica. Il progetto nel suo complesso richiederà un investimento di circa 400 milioni di euro, in parte provenienti dall'Italia, in parte dagli altri Paesi che fanno parte della collaborazione internazionale. Il Miur ha già stanziato una prima tranche di 19 milioni di euro e il progetto è quindi ora pronto per partire. [A.V.]

    Trappole per l'antimateria
    Aprile 2011

    Non vogliono portare l'antimateria a distruggere il Vaticano, come nel famoso libro Angeli e demoni di Dan Brown, anche perché scientificamente sarebbe impossibile, ma al Cern di Ginevra i fisici sono riusciti a intrappolarla in due tipi di esperimenti differenti. Con l'esperimento Alpha, grazie a magneti potentissimi, sono riusciti a intrappolare ben 38 atomi di anti-idrogeno per un paio di decimi di secondo prima che si disintegrassero. L'esperimento Asacusa, invece, a cui partecipa anche l'Infn, seguendo una strada diversa, ha bombardato gli antiatomi di idrogeno con microonde. Questa nuova "trappola" per l'antimateria si chiama Cusp e funziona grazie a una combinazione di campi magnetici che costringono antiprotoni e positroni a stare insieme per formare atomi di anti-idrogeno. Lo scopo futuro di Asacusa sarà quello di capire se gli antiatomi reagiscono in maniera diversa rispetto agli atomi o se la simmetria tra materia e antimateria resta inviolata. [C. P.]

     

     



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  • Notizie dalla stazione spaziale

    Notizie dalla stazione spaziale
    Antimateria e materia oscura al vaglio di Ams

    di Bruna Bertucci

     

    a.
    Un selfie scattato in orbita da un astronauta: in alto a sinistra è visibile l’esperimento Ams-02 installato sulla struttura della Iss.
    “[...] dobbiamo considerare un puro caso, che la Terra (e presumibilmente l’intero sistema solare) contenga una preponderanza di elettroni negativi e di protoni positivi. Tuttavia, è possibile che per alcune stelle valga il contrario, ossia che esse siano costituite principalmente da positroni (elettroni positivi, ndr) e protoni negativi...”. Terminò così, Paul Dirac, il discorso in occasione del conferimento del premio Nobel il 12 dicembre del 1933.
    La conclusione del discorso di Dirac rappresenta idealmente il punto di partenza per l’avventura dell’Alpha Magnetic Spectrometer (Ams-02), a cui partecipano per l’Italia l’Infn e l’Asi (Agenzia Spaziale Italiana), uno strumento che ora si trova sulla Stazione Spaziale Internazionale (Iss) concepito per cercare proprio i deboli segnali di antiparticelle di materia nel flusso ininterrotto dei raggi cosmici che popola lo spazio attorno alla Terra.
    La ricerca di questi segnali che appartengono all’infinitamente piccolo può infatti fornire gli indizi necessari a risolvere alcuni dei misteri ancora insoluti dell’infinitamente grande: l’universo.
    Il primo mistero è legato alla predominanza di particelle di “materia” attorno a noi (la bariogenesi): dove sono finite le particelle di antimateria? Nei primi istanti di vita dopo il Big Bang siamo infatti portati a supporre che l’universo fosse “simmetrico”, ossia popolato in egual misura di particelle elementari di materia e delle loro antiparticelle. La loro naturale e violenta annichilazione ha apparentemente condotto alla scomparsa dell’intera popolazione di antiparticelle e l’universo si sarebbe quindi evoluto a partire dalle particelle di materia – una 26 > 27 parte su un miliardo – sopravvissute all’annichilazione. Non esistono ad oggi giustificazioni teoriche sufficienti a spiegare la nascita di quest’asimmetria. Trovare quindi dei nuclei di anti-elio o di elementi più pesanti, che non possono essere prodotti naturalmente in un universo fatto di sola materia, aprirebbe un nuovo scenario in cui l’antimateria non sarebbe scomparsa, ma solo confinata in regioni dell’universo lontane dalla Terra.
    Il secondo mistero è la natura della materia che compone il nostro universo. Solo il 5% del contenuto di massa-energia del nostro universo è attribuibile alla materia ordinaria di cui siamo fatti, sostanzialmente protoni, neutroni ed elettroni, mentre circa il 22% è rappresentato da particelle di materia oscura, nuove specie di particelle elementari debolmente interagenti con la materia ordinaria e quindi “invisibili” ai telescopi sensibili alla luce prodotta dalle interazioni elettromagnetiche della materia. Ma da rare collisioni di particelle di materia oscura (che scontrandosi tra di loro si auto-annichilano), possono essere generati fotoni, particelle e antiparticelle di materia ordinaria (elettroni/positroni, protoni/antiprotoni), il cui flusso si sovrappone a quello dei raggi cosmici. Pur esistendo diverse teorie e ipotesi sulla natura della materia oscura e molte incertezze sul numero di collisioni attese, in tutti gli scenari possibili i flussi di particelle prodotti dalle collisioni di materia oscura sono di diversi ordini di grandezza più piccoli rispetto a quelli delle par ticelle dei raggi cosmici, prevalentemente protoni, nuclei di elio ed elementi più pesanti con una piccola percentuale (1%) di elettroni. L’unica speranza per individuare un segnale di materia oscura sono i flussi di antiparticelle, particolarmente deboli nei raggi cosmici ordinari. Abbondanze di circa un antiprotone ogni 10.000 protoni e di un positrone ogni 10 elettroni sono attese a causa delle collisioni dei raggi cosmici con il mezzo interstellare: questi flussi possono essere paragonabili a quelli attesi dalla materia oscura e costituiscono quindi un “fondo” contro cui lottare ad armi pari nella caccia a nuovi fenomeni. Sperimentalmente, la prima sfida nel cercare segnali deboli come le particelle di antimateria richiede di intercettare i raggi cosmici prima che essi abbiano la possibilità di interagire con l’atmosfera terrestre, generando un flusso di particelle di antimateria che potrebbero falsare la misura. Per questo motivo i rivelatori dedicati a questo tipo di ricerca sono inviati negli strati superiori dell’atmosfera con palloni aerostatici o messi in orbita nello spazio con satelliti, come Pamela o Fermi, o a bordo della Iss, come Ams-02. La seconda sfida è quella di riuscire a raccogliere un campione significativo di particelle. Il numero di antiparticelle atteso alle energie interessanti per identificare nuovi fenomeni è di poche centinaia di eventi all’anno per superfici esposte dell’ordine del metro quadro. Tuttavia, i limiti di peso e potenza elettrica per far funzionare uno strumento nello spazio impediscono di aumentare a piacimento le dimensioni degli apparati. Per tanto, l’unica alternativa è quella di progettare strumenti in grado di operare con alta ef ficienza per anni.

     

    b.
    L’esperimento Ams-02 al Kennedy Space Center della Nasa poco prima del suo inserimento nel vano di carico dello Shuttle Endeavour.
    Ma il punto fondamentale è quello di riuscire a identificare con precisione le rare antiparticelle: un elettrone o un protone differiscono dalle loro antiparticelle solo per il segno della carica elettrica. Solo l’effetto di un campo magnetico, in grado di curvare in direzioni opposte particelle positive e negative può separare particelle e antiparticelle. Allo stesso tempo, un positrone e un protone hanno entrambi lo stesso valore della carica elettrica, positiva, ma c’è solo un positrone ogni 1000 protoni. Per separare le due specie, come pure per separare gli antiprotoni dai più abbondanti elettroni, è necessario sfruttare le differenti maniere con cui le due specie interagiscono con la materia. L’esperimento Ams-02 è stato quindi concepito come uno spettrometro magnetico, il cui cuore è formato da un magnete permanente e un rivelatore di tracce costituito da circa 6,4 m2 di sensori a microstrip di silicio organizzati in nove differenti strati, in grado di misurare la posizione delle particelle che attraversano l’apparato con un’accuratezza di 10 micrometri. Altri cinque strumenti completano l’apparato, per definire con precisione l’identità delle particelle che lo attraversano mediante misure complementari e indipendenti.
    Le tecniche utilizzate e la complessità dell’apparato sono comparabili a quelle dei più moderni strumenti operanti negli acceleratori di particelle, ma adattate per operare in un ambiente spaziale. Ams-02 opera continuativamente, dal maggio 2011, a bordo della stazione spaziale internazionale, in orbita a circa 400 km dalla superficie terrestre, assorbendo una potenza complessiva di 2kW – meno di una lavatrice! Le dimensioni dell’apparato di 3 metri di larghezza per 3 metri di lunghezza e 5 metri di altezza, con un peso complessivo di circa 7 tonnellate, lo rendono un gigante nello spazio, ma corrispondono a una piccola frazione del tipico esperimento che opera in Lhc. Il controllo dell’esperimento avviene a distanza, mediante la rete satellitare della Nasa, che permette di comunicare con la Iss e attraverso cui vengono anche scaricati i dati dei suoi circa 300.000 canali di elettronica. Nella sala di controllo del Cern e nella sua gemella a Taiwan, i fisici di turno verificano 24 ore su 24 che non ci siano problemi nell’apparato e reagiscono in tempo reale, aggiustando i parametri di controllo dell’esperimento in base alle necessità che si presentano a bordo della stazione.
    Nei primi trenta mesi di presa dati, Ams-02 ha raccolto i segnali provenienti da circa 40 miliardi di particelle cosmiche, una statistica superiore a quella accumulata dall’insieme di tutti gli esperimenti condotti nel corso del secolo che ci separa dalla scoperta dei raggi cosmici. Tra queste particelle, sono stati identificati circa 10 milioni di elettroni e circa un milione di positroni, con cui è stata effettuata la misura del rapporto tra i positroni sull’insieme di elettroni e positroni, raggiungendo un limite di energie finora inesplorato per questi componenti della radiazione cosmica. Questo risultato conferma un eccesso di positroni rispetto alle abbondanze naturali aspettate nei raggi cosmici, come già osservato in precedenza da Pamela e nei primi 18 mesi di operazione di Ams-02, estendendo l’intervallo di energia misurata e migliorandone la precisione. Ciò è di estrema importanza per tracciare un identikit di possibili sorgenti di antimateria. Una di queste sorgenti potrebbero essere proprio le collisioni di materia oscura (vd. approfondimento).
    Ma l’aumento della frazione di positroni è dovuta a una sorgente aggiuntiva di positroni o a una “sparizione” di elettroni? Lo studio del flusso separato di elettroni e positroni ne caratterizza con estrema precisione l’andamento con l’energia.
     
    c.
    Lo Shuttle Endeavour, che nel 2011 ha portato Ams-02 sulla Iss, sulla rampa di lancio del Kennedy Space Center di Cape Canaveral, in Florida.
     
    [as] approfondimento
    Positroni di troppo
    1.
    Elaborazione grafica della misura effettuata da Ams-02 della frazione di positroni rispetto alla somma di elettroni e positroni (punti rossi). In azzurro l’andamento atteso dai raggi cosmici. La curva verde è quella che meglio descrive i dati sperimentali.

     

    Come si vede in fig. 1, la frazione di positroni osservata da Ams-02 cresce rapidamente a partire da un'energia di 8 GeV, indicando l’esistenza di una nuova sorgente di questa componente di antimateria, rispetto a quanto previsto dalla produzione “standard” di positroni nella radiazione cosmica. L’eccesso osservato di positroni appare isotropo (cioè ha la stessa intensità qualunque sia la direzione di osservazione) entro un’incertezza del 3%, suggerendo che non ci siano direzioni particolari da cui nasce questo eccesso di positroni. Un'analisi dettagliata della frazione di positroni con l’energia mostra un andamento graduale del suo tasso di crescita, escludendo variazioni improvvise, picchi o avvallamenti, e sembra indicare il raggiungimento di un valore massimo a energie attorno ai 275 GeV. Continuando l’osservazione nei prossimi anni, la misura sarà estesa a energie ancora superiori e questo potrà aiutarci a migliorare la comprensione della natura del fenomeno osservato e descriverne ancora più accuratamente le sue caratteristiche.

     
    I risultati indicano chiaramente che non ci sono brusche variazioni spettrali del flusso di elettroni, confermando quindi che l’andamento con l’energia della componente dei positroni richiede la presenza di nuovi fenomeni per la loro produzione.
    Queste osservazioni sono interpretabili con il flusso di positroni generato nelle collisioni di particelle di materia oscura (in particolare, i neutralini) di massa dell’ordine di 1 TeV. Tuttavia, per stabilire se l’origine dell’eccesso dei positroni è realmente legata alla materia oscura o se sia dovuto a sorgenti astrofisiche, ad esempio pulsar vicine al nostro pianeta, dovrà essere determinato il tasso di decrescita della frazione (vd. fig. 1) e confrontato l’effetto osservato con quello misurato in altre componenti di antimateria, ad esempio gli antiprotoni.
    D’altra parte, la missione di Ams-02 è solo all’inizio, e si prevede che l’esperimento continuerà la sua presa dati durante tutta la vita operativa della Iss, quindi ancora un decennio di osservazioni e misure lo attendono, per proseguire la caccia all’antimateria e osservare o definitivamente escludere la presenza di anti-elio nel nostro universo. Allo stesso tempo, le misure di composizione e di spettro energetico dei raggi cosmici ordinari permetteranno di avanzare nello studio delle loro sorgenti e dei meccanismi con cui giungono a noi attraversando la galassia, l’eliosfera e la magnetosfera terrestre.
     

    Biografia
    Bruna Bertucci è professore di fisica presso l’Università di Perugia. La sua attività di ricerca nasce nel campo delle particelle elementari alla fine degli anni ’80 con la partecipazione agli esperimenti del Lep del Cern. Dalla fine degli anni ’90 si dedica prevalentemente allo studio sperimentale dei raggi cosmici nello spazio, prima con l’esperimento Ams-01 e quindi con Ams-02, di cui è attualmente responsabile italiano.


    Link
    http://www.ams02.org
    http://www.asdc.asi.it/


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  • Nuova evidenza di un eccesso di antiparticelle nei raggi cosmici dall’esperimento Ams sulla Iss

    ams 2015I risultati della collaborazione internazionale Alpha Magnetic Spectrometer (Ams), il cacciatore di antimateria installato dal 2011 sulla Stazione Spaziale Internazionale (Iss), saranno da oggi al centro della tre giorni "Ams Days at Cern", che vede coinvolti alcuni tra i più importanti fisici teorici e sperimentali a livello mondiale, tra cui i responsabili dei più importanti esperimenti dedicati allo studio della fisica dei raggi cosmici. L'obiettivo primario delle giornate è comprendere il significato dei più recenti risultati di Ams e confrontarlo con quelli degli altri esperimenti e con le teorie oggi più accreditate sulla fisica dei raggi cosmici.

    In particolare, Ams presenta la nuova misura di precisione del rapporto tra il flusso di antiprotoni e di protoni nei raggi cosmici, risultato che mostra per la prima volta una inattesa abbondanza di antiprotoni a energie di centinaia di GeV. Questa misura risulta complementare alla misura di precisione del flusso di antielettroni (positroni) pubblicata da Ams nel 2014, che evidenzia anch’essa un eccesso di antimateria ad alta energia. L’inaspettata abbondanza dell’antimateria nei raggi cosmici di alta energia potrebbe essere dovuta a un nuovo fenomeno fisico di tipo fondamentale. Saranno inoltre presentate le misure di precisione del flusso di protoni e di nuclei di elio fino a energie superiori al teraelettronvolt.

    Gli attuali modelli delle interazioni dei raggi cosmici ordinari con la materia interstellare non possono spiegare questi nuovi risultati di Ams: queste osservazioni forniscono informazioni importanti sui meccanismi di produzione e di propagazione dei raggi cosmici. Anche se non è ancora possibile escludere che i risultati siano riconducibili all'esistenza di nuove sorgenti astrofisiche o a nuovi meccanismi di accelerazione e propagazione, tuttavia i più recenti risultati di Ams potrebbero essere interpretabili come l’effetto di collisioni tra particelle di materia oscura, e quindi una possibile evidenza indiretta della sua esistenza e della sua natura particellare.

    Ams, al quale l’Italia partecipa con l’Infn e l’Asi, è l'unico esperimento di fisica delle particelle presente sulla Iss e il suo livello tecnologico è tale da permetterne la lunga permanenza nell’ambiente ostile dello spazio. Nei suoi primi quattro anni di orbita, agganciato esternamente alla stazione spaziale, il rivelatore ha raccolto più di 60 miliardi di eventi di raggi cosmici (elettroni, positroni, protoni, antiprotoni e nuclei di elio, litio, boro, carbonio, ossigeno,...) fino a energie dell’ordine del TeV.

    “Siamo eccitati per questi risultati che presentano un quadro difficilmente interpretabile nell’ambito della fisica tradizionale dei raggi cosmici. Questo straordinario rivelatore che opera nello spazio e al quale l’Italia ha contribuito in maniera molto significativa anche grazie al ruolo dell’industria nazionale, ci sta portando, con l’estensione dei risultati già ottenuti dal rivelatore spaziale Pamela e raggiungendo energie molto più alte, alla soglia di una possibile importante scoperta. Aspettiamo con trepidazione i futuri risultati”, è il commento di Fernando Ferroni, presidente dell'Infn.

    L’identificazione diretta di antimateria, in particolare di positroni e antiprotoni, nella radiazione cosmica è determinante per lo studio di fenomeni non ancora noti. Piccole quantità di antimateria, infatti, possono essere generate nell’urto tra le particelle che compongono la radiazione cosmica e le polveri interstellari, ma i primi risultati di Ams su elettroni e positroni, già pubblicati sulla rivista Physical Review Letters nel settembre del 2014, indicano l’esistenza di una nuova sorgente di questa componente di antimateria rispetto a quanto previsto dalla loro produzione “standard” nella radiazione cosmica. Durante la tre giorni al Cern, insieme a nuovi risultati sulle misure del rapporto tra antiprotoni e protoni, sul flusso di protoni, nuclei di elio e altri nuclei, saranno discussi anche risultati più precisi e a più alta energia sulla componente a elettroni e positroni.

    Per comprendere estensivamente questi risultati è necessaria una conoscenza approfondita del processo coinvolto nelle collisioni di raggi cosmici. Il confronto delle osservazioni di Ams con i risultati dei principali esperimenti per lo studio dei raggi cosmici (IceCube, Pierre Auger Observatory, Fermi-Lat, Magic, Hess e Cta, Jem-Euso e Iss-Cream) fornirà importanti contributi alla comprensione della produzione di raggi cosmici e dei loro meccanismi di propagazione. Ams continuerà a operare per tutta la vita della Stazione Spaziale Internazionale, fino al 2024, raccogliendo e analizzando un volume crescente di dati a energie più elevate e rendendo così disponibile una ingente quantità di informazioni.

     

    Per approfondire leggi anche: https://www.asimmetrie.it/index.php/notizie-dalla-stazione-spaziale

  • Nuovi risultati sull'asimmetria nelle oscillazioni dei neutrini e degli antineutrini

    SK-eventLa collaborazione T2k (Tokai to Kamioka), ha presentato oggi, a Chicago, alla 38° International Conference on High Energy Physics (Ichep), nuovi risultati che indicano con crescente chiarezza che i fenomeni di oscillazione non sono ugualmente probabili per i neutrini e per le loro antiparticelle (gli antineutrini). T2k ha osservato che il numero di antineutrini muonici che oscillano in antineutrini elettronici è inferiore rispetto a quello dei neutrini muonici oscillanti in neutrini elettronici. I risultati sono però preliminari e necessitano di ulteriori conferme. Questi dati hanno destato molta attenzione poiché comportamento diverso dei neutrini (materia) rispetto agli antineutrini (antimateria) potrebbe costituire l’ingrediente cruciale per rispondere a una delle questioni più importanti su cui la fisica contemporanea si confronta. Perché nel nostri universo ha prevalso la materia sull’antimateria? Per poter stabilire se ci troviamo davanti a una nuova scoperta sarà necessario aspettare nuove conferme e maggiore statistica. Come funziona: per misurare questo fenomeno nell’esperimento T2K, un potente fascio di neutrini (o anti-neutrini) muonici viene prodotto nel complesso di acceleratori per la ricerca (JPARC) presso il villaggio di Tokai sulla costa orientale del Giappone. I neutrini vengono prima misurati vicino nel luogo di produzione e poi inviati in direzione del gigantesco rivelatore sotterraneo Super-Kamiokande, a Kamioka, nei pressi della costa occidentale del Giappone, a 295 kilometri di distanza. Durante questo tragitto i neutrini (o gli antineutrini) muonici possono “oscillare”, trasformandosi in neutrini (o antineutrini) di tipo elettronico. T2K ha trovato che il numero di anti-neutrini muonici che oscillano in antineutrini elettronici è inferiore rispetto a quello dei neutrini muonici oscillanti in neutrini elettronici. [Eleonora Cossi]

  • Prodotto per la prima volta un fascio di anti-idrogeno

    L’esperimento Asacusa al Cern di Ginevra è riuscito per la prima volta a produrre un fascio intero di atomi di anti-idrogeno. Il risultato è presentato in un articolo pubblicato su Nature Communications, nel quale la collaborazione scientifica spiega di aver rivelato in modo inequivocabile 80 atomi di anti-idrogeno 2,7 metri a valle della sorgente. Per studiare l'antimateria, la collaborazione Asacusa ha sviluppato una tecnica innovativa: produrre un fascio di antiparticelle in modo da studiare gli antiatomi “in volo”, lontano dai campi magnetici, per mezzo dei quali fino ad ora venivano "intrappolati". “Il risultato appena pubblicato – spiega Luca Venturelli dell’Infn di Brescia e dell’Università di Brescia che coordina il gruppo italiano della collaborazione – rende molto più concreta e vicina la possibilità di realizzare misure di precisione con gli atomi di anti-idrogeno. E sondare le caratteristiche dell’antimateria – prosegue Venturelli – può aiutare a risolvere uno dei grandi misteri della fisica moderna: la prevalenza di materia rispetto all’antimateria nell’universo visibile”. [Antonella Varaschin]

  • Sospetti di materia oscura?

    Sospetti di materia oscura?
    Intervista a Piergiorgio Picozza.
    di Antonella Varaschin

    Nella primavera del 2009 è uscita sulla prestigiosa rivista internazionale Nature una ricerca firmata dalla collaborazione dell'esperimento Pamela (Payload for Antimatter-Matter Exploration and Light-nuclei Astrophysics). La notizia in breve tempo ha fatto il giro del mondo e la pubblicazione è stata sotto i riflettori dei più importanti convegni scientifici internazionali. Abbiamo chiesto di spiegarci di che cosa si tratta a Piergiorgio Picozza, ricercatore dell'Infn, docente all'Università di Roma Tor Vergata e responsabile internazionale dell'esperimento. "Pamela potrebbe aver visto la prima evidenza indiretta di materia oscura", ci racconta Picozza, senza nascondere la propria soddisfazione. "In particolare – approfondisce Picozza – Pamela ha misurato un inaspettato eccesso di positroni (antielettroni) di alta energia. Questo potrebbe appunto rappresentare un segnale di quella materia sulla cui natura non sappiamo ancora nulla e che chiamiamo 'oscura' perché non direttamente visibile ai nostri occhi e ai nostri strumenti, poiché non assorbe né emette radiazione, ma che supponiamo sia, sulla base di osservazioni sperimentali e calcoli teorici, ben cinque volte più abbondante della materia ordinaria nel nostro Universo". Frutto di una collaborazione internazionale che coinvolge Italia, Russia, Germania e Svezia, Pamela è un rivelatore di antimateria che può essere considerato un vero e proprio osservatorio spaziale, perché permette di condurre ricerche in diversi campi della fisica. Lanciato in orbita nel 2006 con un razzo russo partito dal cosmodromo di Baikonur, in Kazakistan, Pamela da allora invia a terra 16 gigabyte di dati al giorno, dalla cui analisi è emerso il risultato che tanto rumore ha provocato all'interno della comunità scientifica.
    I ricercatori stanno ora cercando di capire quale possa essere l'origine di queste antiparticelle così energetiche. Nel proporre una risposta a questo interrogativo Picozza è cauto e spiega: "Queste particelle possono essere prodotte da sorgenti astrofisiche altamente energetiche, come le pulsar, ma potrebbero, appunto, anche essere il prodotto dell'annichilazione della materia oscura". "Ovviamente – conclude Picozza – prima di considerare sorgenti esotiche come la materia oscura, dobbiamo escludere tutte le altre possibilità".
    Un aiuto alla comprensione di questo fenomeno potrebbe arrivare anche dai risultati di altri esperimenti: il satellite Fermi, i cui dati sugli elettroni concordano con quelli di Pamela, Ams-02 che sarà collocato il prossimo anno a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) dagli astronauti che partiranno con l'ultimo volo dello Shuttle, oppure l'acceleratore Lhc del Cern di Ginevra, dove si raggiungeranno energie che dovrebbero essere sufficienti a produrre artificialmente particelle di materia oscura.

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  • T2k: sempre più stringenti i risultati sull’asimmetria nelle oscillazioni dei neutrini e degli antineutrini

    Super KamiokandeA un anno di distanza la collaborazione T2k (Tokai to Kamioka), cui l’Infn partecipa da anni ricoprendo ruoli di responsabilità, presenta nuovi importanti risultati sull’asimmetria nelle oscillazioni dei neutrini e degli antineutrini.

    Nell’agosto 2016 a Chicago, alla 38° International Conference on High Energy Physics la collaborazione T2k aveva annunciato le prime indicazioni di una possibile asimmetria nei fenomeni relativi alle oscillazioni di neutrini e delle loro antiparticelle (antineutrini). I dati indicavano che i fenomeni di oscillazione non sono ugualmente probabili per i neutrini e per le loro antiparticelle (antineutrini). Benché non si potesse ancora parlare di “scoperta”, i risultati avevano destato grande interesse nella comunità scientifica internazionale. Infatti, l’esistenza di questo fenomeno in cui materia e antimateria si comportano in modo diverso potrebbe spiegare perché l’universo che ci aspettavamo fosse composto, subito dopo il Big Bang, da materia e antimateria, sia oggi costituito quasi esclusivamente dalla prima. I nuovi risultati, presentati per la prima volta il 4 agosto 2017 presso il laboratorio per la fisica delle alte energie di Kek, basati su un campione di dati di neutrino raddoppiati rispetto all’anno precedente, hanno non solo confermato, ma fortemente rafforzato l’ipotesi annunciata la scorsa estate.

    “La probabilità che l’effetto misurato da T2k sia dovuto a una fluttuazione statistica è ormai inferiore a 1 su 20 rendendo sempre più concreta la possibilità di essere vicini a una grande scoperta,“ commenta Gabriella Catanesi, responsabile nazionale di T2k per l’Infn e membro del comitato esecutivo che governa la collaborazione. Nei prossimi anni, con una statistica 7 volte maggiore, T2k potrebbe gettare luce su uno dei grandi misteri dell’universo e aprire la strada agli esperimenti con neutrini della prossima generazione attualmente in preparazione (Hyper-k, Dune), da cui ci attendiamo ulteriori grandi sorprese.

    Per misurare questo fenomeno nell’esperimento T2k, un potente fascio di neutrini (o antineutrini) muonici viene prodotto nel complesso di acceleratori per la ricerca (Jparc) presso il villaggio di Tokai sulla costa orientale del Giappone. I neutrini vengono prima misurati vicino nel luogo di produzione e poi inviati in direzione del gigantesco rivelatore sotterraneo Superkamiokande, a Kamioka, nei pressi della costa occidentale del Giappone, a 295 kilometri di distanza. Durante questo tragitto i neutrini (o gli antineutrini) muonici possono “oscillare”, trasformandosi in neutrini (o antineutrini) di tipo elettronico. T2k ha trovato che il numero di antineutrini muonici che oscillano in antineutrini elettronici è inferiore rispetto a quello dei neutrini muonici oscillanti in neutrini elettronici.

    T2k è sostenuto dal ministero giapponese per la Cultura, Sport, Scienza e Tecnologia, ed è ospitato congiuntamente dall’High Energy Research Accelerator Organization (Kek) e dall’ Institute for Cosmic Ray Research (Icrr) dell’Università di Tokyo. L’esperimento è stato realizzato ed è gestito da una collaborazione internazionale che conta circa 500 scienziati di 63 istituzioni in 11 paesi (Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Polonia, Russia, Spagna, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti d'America). La partecipazione italiana a T2k è coordinata dall’Infn e vede contributi delle sezioni Infn di Bari, Napoli, Padova e Roma 1. [Eleonora Cossi]

  • Un mare di antimateria

    Un mare di antimateria
    L’equazione di Dirac, dalla meccanica quantistica al modello standard

    di Graziano Venanzoni


    a.
    Lapide commemorativa di Paul Dirac, inaugurata il 13 novembre 1995 in una navata dell’Abbazia di Westminster (Londra), vicina al monumento dedicato a Newton.

    Paul Adrien Maurice Dirac fu senza dubbio uno fra i massimi fisici di tutti i tempi. Dal 1926 al 1928, in tre articoli, gettò le basi della meccanica quantistica, della teoria quantistica dei campi (che poi portò alla formulazione dell’elettrodinamica quantistica, Qed, la prima teoria quantistica dei campi che conciliava la meccanica quantistica e la relatività) e infine – con l’equazione che porta il suo nome – della moderna teoria delle particelle elementari (nota anche come modello standard). La famosa equazione di Dirac per l’elettrone apparve nel 1928. È difficile non provare ammirazione di fronte alla bellezza di una tale equazione. Conciliando la meccanica quantistica e la relatività di Einstein, introduceva un nuovo formalismo a quattro componenti (detti spinori) che andava al di là del concetto di tensore. Permettendo di descrivere il moto dell’elettrone libero, ma anche di entità composite libere come protoni e neutroni, prevedeva un moto di “rotazione” intrinseco dell’elettrone, il cosiddetto spin, con valori quantizzati seminteri (oggi diciamo che l’elicità dell’elettrone, ossia la componente dello spin lungo la direzione di moto, può prendere solo due valori, +1/2 o -1/2), associato a un momento magnetico, che permetteva di spiegare alcuni aspetti “misteriosi” degli spettri atomici, di cui parleremo tra poco. Ma poneva anche un problema nuovo: quello delle energie negative. Infatti, se si risolve l’equazione di Dirac per un singolo elettrone, si ottengono due soluzioni, una positiva e una negativa, allo stesso modo per cui la radice quadrata di 49 è +7 e -7. La soluzione negativa era preoccupante: l’energia negativa, che era in sé un’idea imbarazzante, implicava, per la famosa equazione della relatività speciale di Einstein E = mc² (vd. Creare materia, ndr), una massa negativa: una cosa chiaramente assurda! All’epoca, ovviamente nessuno aveva mai visto questi oggetti con energia negativa. Si racconta che un teorico li chiamò “elettroni asini”: “se li tiri in avanti, si muovono all’indietro”! Capita spesso nell’ambito della ricerca scientifica che la soluzione di un problema ne faccia emergere uno nuovo, completamente inaspettato, la cui soluzione rappresenta un progresso significativo della conoscenza. Capitò così anche a Dirac, che lottò con le energie negative per l’intero 1929, finché non giunse alla conclusione che esse non potevano essere evitate. La spiegazione che diede era che gli stati a energia negativa non si vedono, perché occupano lo stato di minima energia possibile che è lo stato di vuoto. Gli elettroni a energia positiva non possono cadere in questo mare senza fondo, perché non vi è spazio per loro. Però può succedere, così come ogni tanto un pesce salta fuori dall’acqua, che un elettrone presente in questo mare, investito da un fascio di luce, possa saltar fuori, acquistando un’energia positiva e lasciando una buca nella posizione originaria. Questa buca apparirebbe come una sorta di elettrone “opposto”: stessa massa, ma con carica positiva (corrispondente a un’assenza di carica negativa) ed energia positiva. Fu così che l’equazione di Dirac prediceva un nuovo tipo di materia: l’antimateria, del tutto simile alla materia ma con carica opposta (occorre dire, però, che per un bel po’ di tempo Dirac fu riluttante ad accettare la predizione dell’esistenza di un antielettrone, a tal punto da identificarlo con il protone). Qualche anno più tardi l’antielettrone (chiamato positrone) fu scoperto da Carl D. Anderson nei raggi cosmici, scoperta che gli valse il premio Nobel per la fisica del 1936. Fu un vero trionfo per l’equazione di Dirac. “L’equazione – egli disse in seguito – era stata più intelligente di me”. Ma il trionfo sperimentale ancora maggiore fu la produzione di antiprotoni da parte di Emilio Segré e Owen Chamberlain nel 1956, la produzione di antideutoni da parte di Antonino Zichichi e altri nel 1965, per arrivare alla produzione dell’antidrogeno al Cern alla fine del secolo scorso. Oggigiorno i positroni vengono prodotti e utilizzati quotidianamente sia in ambito scientifico che medicale (basti pensare alla Pet – Positron Emission Tomography). L’equazione di Dirac aveva inoltre un’altra conseguenza ancora più sorprendente, destinata a cambiare radicalmente il modo di concepire la materia: le particelle elementari non erano enti immutabili (come secondo la filosofia di Democrito), ma potevano trasformarsi tra loro, così come un fotone (quanto di luce) che interagisse con la materia poteva trasformarsi in una coppia elettrone-positrone.

     
    b.
    La Pet (Positron Emission Tomography, tomografia a emissione di positroni) è una delle tecniche diagnostiche utilizzate oggi per la diagnostica avanzata di neoplasie. Nella foto una Discovery 690 dell’unità di Medicina Nucleare dell’Ospedale Cannizzaro di Catania, utilizzata anche dai fisici medici dei Laboratori Infn del Sud per la loro formazione.
     
    Inoltre, le loro caratteristiche (come per esempio la carica e la massa) erano determinate dalla presenza del vuoto quantistico con il quale esse interagivano. Un’altra predizione dell’equazione di Dirac era il valore pari a due per il fattore giromagnetico g dell’elettrone (o di qualsiasi altra particella elementare di spin pari a 1/2). Si tratta del rapporto (opportunamente “normalizzato”) tra il momento magnetico e quello angolare di spin. Classicamente, un corpo carico rotante intorno a un asse di simmetria produce un momento (di dipolo) magnetico (si pensi a una spira percorsa da corrente) e un momento angolare. Si può dimostrare che in questo caso g = 1, uguaglianza che rimane valida anche nella meccanica quantistica. Nel 1925 Samuel Goudsmit e George Eugene Uhlenbeck mostrarono come l’introduzione di un campo magnetico associato allo spin dell’elettrone poteva spiegare gli spettri atomici osservati nel litio e nel sodio, se si assumeva per g il valore empirico g = 2. Questo valore ebbe la sua naturale giustificazione solo nel 1928, come predizione dell’equazione di Dirac. Dovettero passare circa altri vent’anni prima che misure sperimentali, condotte da John Nafe, Edward Nelson e Isidor Rabi sulla struttura iperfine dell’idrogeno e del deuterio e da Polykarp Kusch e Henry Foley su atomi di gallio, mostrassero nel 1947 che g invece differiva da 2 per circa lo 0,1 %, ossia che esisteva un contributo “extra” (anomalo) al momento magnetico dell’elettrone, espresso dall’anomalia del momento magnetico (indicata con a) nella semplice formula a = (g−2)/2.
    Ma cosa provocava questo contributo anomalo al momento magnetico dell’elettrone?
    Non potevano che essere le correzioni radiative, il ribollire del vuoto, quel vuoto quantistico pieno di particelle virtuali (le particelle fantasma, presenti ma invisibili, che sono un carattere centrale della teoria quantistica dei campi), a permettere all’elettrone di emettere e assorbire un fotone virtuale. Detto in altre parole, i demoni di Dirac che si agitavano nello stato di vuoto avevano degli effetti tangibili e misurabili! Non fu Dirac, o la prima generazione di fisici che fondarono la meccanica quantistica a calcolare gli effetti delle fluttuazioni del vuoto quantistico, ma una nuova generazione di fisici tra cui Julian Schwinger, enfant prodige della fisica teorica del dopoguerra, che all’età di quattordici anni ebbe modo di assistere a una conferenza di Dirac sulla teoria delle buche. Nel 1948 egli calcolò il contributo anomalo al momento magnetico dell’elettrone trovando un ottimo accordo con il valore sperimentale di Kusch e Foley. Per la misura del momento magnetico anomalo dell’elettrone Kusch ricevette il premio Nobel nel 1955 e Schwinger, assieme a Richard Feynman e Sin- Itiro Tomonaga, nel 1965 per lo sviluppo dell’elettrodinamica quantistica.
    La storia delle misure del momento magnetico dell’elettrone e poi, successivamente, del muone è uno dei capitoli più belli della fisica sperimentale. Esperimenti di precisione sempre maggiore hanno messo in evidenza come all’anomalia dell’elettrone e del muone (che data la massa 200 volte quella dell’elettrone, ha una sensibilità maggiore alle fluttuazioni del vuoto quantistico e ai possibili contributi di nuova fisica) contribuiscano non solo le coppie di elettroni e positroni, ma anche i quark e i portatori delle interazioni forti e anche i bosoni W+, W, Z°, messaggeri delle interazioni deboli. Anche il bosone di Higgs dà il suo contributo all’anomalia del muone.
     
    c.
    Di Julian Schwinger, fisico teorico, si diceva che il suo laboratorio fosse nella penna.
     
    All’inizio degli anni 2000, misurando il momento magnetico anomalo del muone a una precisione di 540 parti per miliardo (che equivale a conoscere il fattore giromagnetico g, paragonato al diametro della Terra, con un’incertezza pari alle dimensioni di una formica), i fisici del Brookhaven National Laboratory di Upton, nello Stato di New York, hanno trovato che il valore misurato si discosta da quello teorico di tre deviazioni standard (e la probabilità che questo accada a causa di una fluttuazione statistica è dello 0,3%). Questa discrepanza, per quanto non conclusiva, potrebbe essere spiegata dal contributo all’anomalia del muone di particelle tuttora ignote, come le particelle supersimmetriche (che si cercano ora in Lhc) o dei nuovi fotoni (particelle di spin pari a 1) con una massa diversa da zero (che potrebbero spiegare la materia oscura). Per poter capire se si tratta di una crepa nel modello standard o di una fluttuazione statistica o di un eventuale effetto strumentale, è in fase di costruzione al Fermilab di Chicago (Usa) un nuovo esperimento (Muon g-2) che misurerà l’anomalia del muone con una precisione di 140 parti per miliardo (vd. fig. d). Anche grazie al risultato di questo esperimento, a cui partecipa per l’Italia anche l’Infn, tra qualche anno sapremo se il modello standard debba essere abbandonato a favore di una teoria più completa.
     
    d.
    La collaborazione del nuovo esperimento Muon g-2 al Fermilab nei pressi di Chicago, all’interno dell’anello dove verranno accumulati i muoni.
     

    Biografia
    Graziano Venanzoni è ricercatore presso i Laboratori Nazionali di Frascati. Da sempre interessato alla fisica di precisione, è responsabile nazionale del nuovo esperimento Muon g-2 per la misura ad altissima precisione del momento magnetico anomalo del muone presso il laboratorio americano Fermilab.

     

    Link
    http://muon-g-2.fnal.gov/
    http://www.treccani.it/enciclopedia/elettrodinamica-quantistica_%28Enciclopedia_del_Novecento%29/


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  • Una tomografia galattica

    Una tomografia galattica
    Positroni per una Pet alla Galassia.
    di Enrico Costa

    Se escludiamo l’elusiva materia oscura, e l’ancora più sfuggente energia oscura, l’Universo, fatto di stelle, galassie, polveri e plasma, è costituito da protoni, neutroni ed elettroni. E così il nostro mondo. Piccole quantità di antimateria in forma di antiparticelle, soprattutto positroni e antiprotoni, si formano e si annichilano continuamente, su scale di tempo molto diverse. La massima concentrazione di positroni si ha nel centro della nostra galassia: una caratteristica che offre agli scienziati un’importante opportunità di conoscenza della struttura di questa regione. Quando un positrone interagisce con un elettrone della materia ordinaria, infatti, si annichila originando due fotoni. Rivelando i fotoni da annichilazione è quindi possibile sottoporre la Galassia a una vera e propria indagine Pet, simile a quella sviluppata in campo medico sfruttando i positroni emessi da una sostanza radiotracciante introdotta nel corpo umano.
    Tuttavia, un aspetto non trascurabile distingue la Pet medica da quella “galattica”: quando al centro della Galassia si annichila una coppia elettrone-positrone, se uno dei due fotoni generati è emesso verso di noi – e impiegherà 25.000 anni ad arrivare! – l’altro si muoverà nella direzione opposta e si perderà nello spazio.
    La Pet galattica non gode quindi di un vantaggio di cui gode la Pet in laboratorio: la presenza di due fotoni di energia esattamente pari a 511 keV (equivalente a metà della massa della coppia elettrone-positrone scomparsa) che rivelati simultaneamente indicano la linea lungo cui si trova la sorgente. La certezza che l’unico fotone rivelato sia originato dall’annichilazione di coppie elettrone-positrone si ha solo misurandone l’energia con rivelatori che abbiano una buona capacità di distinguere energie molto simili (buona risoluzione energetica). Per ricostruire la direzione di provenienza dei fotoni, invece, e distinguere sorgenti vicine (per ottenere, cioè, una buona risoluzione angolare), sono stati ideati nel tempo metodi diversi.
    Il pioniere dei rivelatori di fotoni galattici da annichilazione, sviluppato nel 1978, consisteva in un rivelatore al germanio con un collimatore, posto su un pallone stratosferico e in grado di registrare fotoni entro un angolo di 11°.

    a.
    Lo spettrometro del satellite europeo Integral. I rivelatori di germanio raffreddati misurano con grande precisione l’energia dei fotoni gamma e, in modo approssimativo, il punto in cui vengono assorbiti. Bloccando i fotoni da tutte le direzioni, tranne quelli che passano attraverso una maschera di tungsteno, si ricostruiscono immagini del cielo.

    1. La maschera codificata: una piastra di tungsteno con una matrice di fori disposti secondo uno schema definito.
    2. Matrice di rivelatori di germanio.
    b.
    Trenta anni fa la scoperta dell’antimateria galattica in un esperimento condotto nel 1978 ai laboratori Bell. Un rivelatore di Germanio di 120 cm2 posto su un pallone stratosferico era raffreddato con azoto liquido e schermato con ioduro di sodio per impedire ai fotoni gamma di raggiungere il rivelatore. Un foro (collimatore) lasciava passare solo i fotoni entro un angolo di 11° dal centro galattico.

    Puntando alternativamente il centro della Galassia e altre parti del cielo, per differenza, si trovò un flusso di fotoni dal centro riconducibile a un’emissione di 2,6 x 1043 positroni al secondo. Quale misteriosa sorgente poteva fare tanto? Le attuali osservazioni radio, ottiche e nei raggi X, mostrano nella zona innumerevoli sorgenti della natura più disparata e, tra queste, anche un buco nero gigante. Oggi il collimatore è stato sostituito da un nuovo strumento, la maschera codificata, capace di ricostruire una vera e propria immagine del cielo e di distinguere sorgenti vicine tra loro anche in zone molto affollate.

    c.
    L’immagine della Galassia ottenuta con i fotoni di energia 511 keV. Al centro, l’emissione del bulge galattico di forma sferica. Più aIl’esterno il raccordo tra il bulge e il disco di forma ellittica. Si nota che a destra (a longitudini crescenti) la regione è più estesa.
    d.
    L’effetto è più chiaro se si sommano tutti gli eventi entro una latitudine di 10° e si riproduce una mappa unidimensionale in longitudine. Il bulge è molto luminoso al centro e si estende per circa 10° a destra e a sinistra. Le ali si estendono sino a circa ±50° ma l’ala a destra è il doppio di quella a sinistra.
    e.
    Un’immagine del cielo ai raggi X al di sopra di 20 keV, ottenuta con il rivelatore Ibis di Integral, con una risoluzione angolare di 0,2°. Ogni punto è una stella binaria costituita da una stella di piccola massa e un buco nero o una stella di neutroni. Si trova che, nelle regioni corrispondenti alle ali della mappa a 511 keV, il numero di binarie di piccola massa alla destra è il doppio di quello alla sinistra.

    Ne è dotato il satellite Integral (INTErnational Gamma-Ray Astrophysics Laboratory) dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa), in orbita intorno alla Terra dall’ottobre del 2002. Integral è costitutivo da due strumenti principali: Spi, dotato di una grande risoluzione energetica, e Ibis che eccelle in quella angolare. Le osservazioni condotte da Integral sono in grado di stabilire che i fotoni di annichilazione provengono da una regione al centro della Galassia, detta bulge, di forma sferica con un diametro di circa 20°. Ibis, però, non è in grado di risolvere l’emissione in sorgenti, quindi probabilmente i positroni sono emessi da una regione diffusa o da molte sorgenti deboli.
    Di tutte le ipotesi possibili a priori, per spiegare l’intensa emissione di positroni, solo due sono ammissibili al confronto con i dati sperimentali, in quanto non incompatibili con essi. La prima è data dai numerosi buchi neri e stelle di neutroni presenti nella zona centrale della Galassia, anche sotto forma di sistemi binari, che a causa degli intensi campi possono produrre coppie elettrone-positrone. Una seconda possibilità è che, in una regione di alta densità e in prossimità del buco nero gigante, alcune delle particelle ipotizzate come costituenti della materia oscura decadano o si eccitino rilasciando coppie elettrone-positrone.

    Anche se la materia visibile ha pochissime interazioni con la materia oscura, quest’ultima ipotesi potrebbe essere la chiave per svelare la natura della materia oscura.
    Vi è però un’interessante “asimmetria nell’asimmetria”. La evidenziano i dati di Spi pubblicati a gennaio di quest’anno: dove il bulge si raccorda col disco galattico, su entrambi i lati, sono presenti due ali che si estendono per circa 30°. Sorprendentemente la regione a destra ha una luminosità doppia di quella a sinistra. Le sorgenti che ricadono nella nostra prima ipotesi, buchi neri, stelle di neutroni, sistemi binari, emettono raggi X e sono ben risolte da Ibis. Mentre il numero di tutte le altre sorgenti di raggi X è sostanzialmente simmetrico ai lati del bulge, le binarie costituite da una stella ordinaria di piccola massa e da un buco nero o una stella di neutroni presentano, a energie maggiori di 20 keV, la stessa asimmetria spaziale dei fotoni di 511 keV. Visto anche che i modelli di materia oscura non spiegano la asimmetria, è probabile che proprio queste binarie, numerose nel bulge, siano la principale sorgente dei positroni. Forse questo risolve il mistero!

    [as] approfondimento
    La maschera codificata


    La maschera codificata è un’estensione del principio della camera oscura utilizzata per ottenere “fotografie” del cielo nelle quali siano distinguibili le sorgenti di raggi gamma. Se il rivelatore è in grado di misurare, oltre all’energia, anche la posizione in cui il fotone è stato rivelato, grazie alla maschera è possibile risalire alla posizione delle sorgenti. La maschera codificata consiste di uno strato di materiale assorbitore con una matrice di fori disposti secondo uno schema predefinito: disponendola a una certa distanza dal rivelatore, su questo verrà proiettata un’ombra della maschera, che dipenderà dalla direzione da cui provengono i raggi gamma. Se le sorgenti in campo sono più di una, si otterrà la sovrapposizione di più immagini, la cui intensità e posizione dipenderanno dalla posizione e dalla luminosità delle diverse sorgenti. In questo modo, analizzando le immagini con metodi statistici e matematici, è possibile ricostruire una vera e propria “fotografia” del cielo nella quale sono distinguibili le sorgenti dei raggi gamma. Il metodo non è molto sensibile, ma permette di studiare un grande campo di vista (centinaia di gradi quadrati) separando le sorgenti, soprattutto in zone del cielo molto affollate.

    Biografia
    Enrico Costa è dirigente di ricerca presso l’Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica dell’Inaf, a Roma. Ha collaborato alla missione BeppoSAX ed è oggi responsabile di SuperAGILE.

     

    Link
    http://isdc.unige.ch/Outreach/Integral/integral_it.html
    http://www.esa.int/SPECIALS/Integral/index.html

     

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