Universo su misura
Il dibattito sul principio antropico
di Antonio Masiero
L’universo, dalle sue scale di lunghezza più piccole a quelle più grandi, viene al momento descritto in fisica da due teorie: il modello standard delle particelle elementari e delle loro interazioni fondamentali e il modello standard cosmologico del Big Bang caldo. In entrambe le teorie compaiono parecchi “parametri liberi”, vale a dire quantità fondamentali (come ad esempio le masse delle particelle elementari, le intensità delle interazioni, la velocità con cui si espande l’universo, eccetera) il cui valore non è teoricamente predicibile. Esse devono essere misurate sperimentalmente e il loro valore viene poi introdotto come input nei due modelli standard. L’intera storia dell’universo, sino ad arrivare alla presenza di vita intelligente in esso, è strettamente legata ai valori di tali parametri. Si può pensare che eventuali estensioni teoriche dei modelli standard permettano di prevedere almeno alcuni di questi valori. Ma c’è un’alternativa a questo modo di procedere, rappresentata dal cosiddetto principio antropico. La prima formulazione esplicita di questo principio, sia nella sua forma debole che in quella forte, per opera di Brandon Carter nel 1974, venne poi rivista da John Barrow e Frank Tipler nel 1988. Nella loro versione, il principio antropico debole asserisce che i valori possibili delle quantità fisiche e cosmologiche sono ristretti dal prerequisito che l’universo a cui danno luogo permetta, a un certo punto della sua storia, l’esistenza della vita, anzi, più precisamente, di una forma di vita come la nostra, basata sul carbonio. Nella sua forma forte, invece, il principio antropico afferma che “l’universo deve avere le proprietà che gli permettano di sviluppare la vita in un qualche momento della sua evoluzione”. Naturalmente quel “deve” può far prendere strade distanti da un percorso scientifico, in particolare quella di un disegno intelligente alla base dell’origine dell’universo. Pertanto, ci soffermeremo solo sul principio antropico debole, che in realtà non è un vero e proprio principio, ma una forma di argomentazione.
A prima vista, l’affermazione contenuta nel principio antropico debole può sembrare una tautologia: l’universo ha le caratteristiche giuste per poter essere così com’è, cioè per poter ospitare noi quali suoi osservatori. Ma in qualche caso gli argomenti antropici possono permettere di predire i valori di quantità fisiche fondamentali. Nel 1987 Steven Weinberg (uno dei costruttori del modello standard particellare e per questo premio Nobel per la fisica nel 1979) affrontò il problema della costante cosmologica usando il principio antropico. Nell’equazione della relatività generale di Einstein, che mette in relazione la geometria dell’universo con il suo contenuto in energia, vi è una costante (chiamata da Einstein “costante cosmologica”) legata all’energia dello stato di vuoto quantistico in cui si viene a trovare l’universo (vd. ... che muove il Sole e l'altre stelle, ndr).
La costante cosmologica è un parametro libero nel senso che la relatività generale non ne predice il valore. In effetti, nessuna teoria a tutt’oggi è riuscita a render conto del suo valore osservato. Weinberg considerò un universo nel qualela costante cosmologica potesse assumere valori diversi in varie sue regioni. Studiando per quali valori nella “nostra” regione dell’universo fosse possibile la formazione di galassie, Weinberg risalì a un limite superiore sul valore della costante cosmologica (per valori più grandi l’espansione dell’universo sarebbe così rapida da precludere la formazione di galassie).
A quel tempo, la maggior parte dei fisici cercava di ottenere teorie in cui la costante cosmologica fosse rigorosamente nulla (a causa, ad esempio, di una qualche simmetria). Weinberg affermò invece che, essendo un valore della costante cosmologica non nullo compatibile con l’universo osservato, era improbabile che il valore della costante fosse proprio zero, mentre risultava molto più probabile che tale valore fosse non nullo e dell’ordine di grandezza del limite superiore da lui trovato. Perfezionando l’idea di Weinberg, Alexander Vilenkin nel 1995 arrivò a una “predizione”, intesa in termini di distribuzione di probabilità, della costante cosmologica non distante dal valore misurato sperimentalmente qualche anno dopo. Un’immediata e ragionevole obiezione a un argomento di questo genere, secondo cui una certa quantità fisica ha il valore che appare più probabile compatibilmente con il nostro universo, è che in realtà c’è un unico universo, e non si capisce bene a che cosa si applichi la distribuzione di probabilità di cui si è parlato. Due importanti evoluzioni in fisica e cosmologia sono però intervenute a modificare la nostra visione sull’unicità dell’universo. Nel modello standard cosmologico, subito dopo il Big Bang, si verifica una fase, detta di “inflazione cosmica primordiale” in cui lo spaziotempo dell’universo si espande in maniera estremamente accelerata. Tale espansione è causata dalla transizione dell’universo da uno stato di vuoto quantistico che si trova a energia maggiore (vuoto falso) a un altro di energia inferiore (vuoto vero) (vd. Un'intuizione spettacolare, ndr). Tuttavia, il tasso di espansione durante l’inflazione è così rapido da non permettere, presumibilmente, che la transizione avvenga ovunque nell’intero universo allo stesso istante. Come siamo abituati a vedere nella transizione di fase che porta all’ebollizione dell’acqua, si sarebbero formate nel primo universo tante bolle che si espandono in modo accelerato. Noi potremmo pertanto vivere in un universo-bolla con tanti, tantissimi, forse infiniti altri universi; bolle con cui non possiamo comunicare, essendo ognuno di questi uni-versi causalmente disconnesso da tutti gli altri. In schemi inflazionari, quali l’inflazione caotica di Andrei Linde, in ciascun universo-bolla i parametri fondamentali liberi assumono valori diversi, anche con differenti leggi fisiche.
L’uni-verso viene a essere così sostituito da un “multi-verso”. Lo scenario di nascita continua di un numero grandissimo, se non addirittura infinito, di universi con quantità e leggi fisiche molto diverse da quelle presenti nel nostro trova supporto in alcune versioni della teoria delle stringhe in cui esiste una pletora di vuoti veri alla stessa energia a cui può giungere l’universo nella sua transizione da vuoto falso a vuoto vero. Secondo Linde e altri fisici, la teoria delle stringhe, insieme a uno schema di inflazione di tipo caotico, può fornire la base per giustificare l’uso del principio antropico: non c’è più necessità di richiedere che il nostro universo sia l’unico possibile, ma basta che risulti essere tra quelli possibili (e, naturalmente, avendo a disposizione un numero grandissimo o infinito di universi con diversi valori delle costanti fondamentali, non è difficile immaginare che ne esista uno in cui sia garantita la nostra presenza di osservatori dell’universo stesso). Lo scopo della fisica, e della scienza più in generale, è quello di capire la natura dei fenomeni studiati sperimentalmente inquadrandoli nell’ambito di teorie predittive. Alle volte, come nel caso del problema della costante cosmologica, non riusciamo a intravedere alcuna teoria che riesca a fornire una tale spiegazione. È importante, comunque, che anche in questi casi l’utilizzo del principio antropico sia visto quale strumento di extrema ratio che non può e non deve frenare la nostra ricerca di una reale spiegazione scientifica di quanto osservato.
Biografia
Antonio Masiero è professore dell’Università di Padova e per sette anni è stato vice-presidente dell’Infn. La sua attività verte sulla ricerca di nuova fisica al di là del modello standard con particolare attenzione alle connessioni tra fisica delle particelle e cosmologia.