Le fantastiche quattro
Le forze fondamentali della natura
di Stefania De Curtis e Andrea Tesi
Da che cosa dipende la grande differenza tra le quattro forze che conosciamo, elettromagnetica, debole, forte e gravitazionale? Per quanto sorprendente, è solo nel contesto della fisica delle particelle che tali differenze diventano semplici da spiegare. Grazie a tale semplicità, è stato possibile organizzare in forma unificata forze all’apparenza molto diverse. Le particelle elementari interagiscono tra loro secondo regole decodificate nell’ultimo secolo e tali interazioni danno luogo a quelle che chiamiamo forze. Alcune particelle dette bosoni sono responsabili della generazione di forze. Lo scambio di un bosone tra due particelle genera infatti una forza, intesa come la tendenza del sistema a minimizzare l’energia. Per questo motivo i bosoni vengono definiti “mediatori”. Se pensiamo alle interazioni come mediate dallo scambio di particelle, non ci sorprende che le caratteristiche delle forze derivino direttamente dalle proprietà dei mediatori. Ad esempio, il raggio di interazione (range), una delle proprietà delle forze, è principalmente legato alla massa del mediatore. Più questo è leggero, più il range è grande, in accordo con l’interpretazione quantistica che associa a ogni particella una lunghezza d’onda inversamente proporzionale alla sua massa. Le uniche forze a lungo raggio sono la forza elettromagnetica e quella gravitazionale, corrispondenti a mediatori senza massa, fotone e gravitone (questo secondo non è ancora stato osservato sperimentalmente). La forza debole invece, responsabile dei fenomeni di radioattività naturale, è associata ai bosoni W e Z. Queste particelle sono pesanti e dunque la forza debole è attiva solo su scale subatomiche (dell’ordine di 10-16 cm). Le interazioni sono caratterizzate da un’altra quantità, detta “accoppiamento”, che determina l’intensità dell’interazione stessa e, in generale, dipende dall’energia del processo in questione. Questo nuovo ingrediente spiega l’apparente paradosso della forza forte, responsabile della stabilità dei nuclei. Sappiamo che essa è mediata da particelle senza massa, i gluoni, che si accoppiano ai quark, cioè ai costituenti di protoni e neutroni. Tuttavia, essa non ha effetti a lungo raggio perché l’accoppiamento aumenta con la distanza, come se i quark fossero legati da una molla. Non vediamo quark e gluoni liberi su distanze più grandi di 10-14 cm, bensì protoni e neutroni, entrambi costituiti da tre quark confinati.
Uno dei più importanti risultati della fisica moderna è la descrizione delle forze elettromagnetiche e deboli con un’unica teoria. Un successo per niente scontato, data la differenza che c’è tra un raggio d’azione di 10-16 cm e uno infinito!
Com’è possibile dunque che tali fenomeni siano facce della stessa medaglia? Occorre essere pragmatici. L’approccio vincente consiste nel costruire una teoria che metta sullo stesso piano le interazioni elettromagnetica e debole e aggiungere poi un meccanismo che permetta una naturale separazione di scale. Questa teoria è descritta dal modello standard delle particelle elementari, formulato alla fine degli anni ’60 da Sheldon Lee Glashow, Steven Weinberg e Abdus Salam.
Il meccanismo per realizzare tale separazione di scale fu ipotizzato da Peter Higgs negli stessi anni e si basa sulla presenza di un campo (che prende il suo nome) che permea lo spazio, con cui i mediatori W e Z interagiscono grazie ai loro accoppiamenti e acquistano massa. Se il campo di Higgs avesse un valore nullo, tutte le particelle sarebbero senza massa. In presenza di un campo non nullo, invece, i bosoni W e Z acquistano massa, mentre il fotone rimane senza massa, essendo il campo di Higgs elettricamente neutro e quindi non accoppiato a esso. Da qui deriva il range finito delle interazioni deboli. Per verificare che siamo in effetti immersi nel campo di Higgs è stato necessario far collidere molti protoni all’acceleratore Lhc di Ginevra fino a quando, nel 2012, non è stato possibile osservare la particella di Higgs.
A distanze più piccole del range delle interazioni deboli, le forze elettromagnetica e debole si comportano pressoché allo stesso modo, ed è possibile trattare i bosoni W e Z come privi di massa raggiungendo quindi una profonda simmetria con i fotoni. A basse energie, invece, non è possibile trascurare le masse dei mediatori e dunque, le scale della forza debole ed elettromagnetica sono molto diverse. Con la scoperta del bosone di Higgs abbiamo finalmente celebrato il successo dell’unificazione elettro-debole.
Ma come si è originato tale campo che permea l’universo? Stiamo cercando una risposta studiando il campo di Higgs sia agli acceleratori di particelle che in cosmologia. Sembra infatti plausibile che negli istanti iniziali dell’universo, data la grande energia in gioco, si siano verificate condizioni in grado di modificare il valore attuale del campo di Higgs, cioè che a temperature dell’ordine di 1015 kelvin l’energia termica dell’universo primordiale sia stata in grado di annullare il valore di tale campo per mezzo di una transizione di fase cosmologica. L’unificazione elettro-debole forse non ha ancora finito di meravigliarci!
Capire quale sia stata la natura della transizione di fase elettro- debole è di cruciale importanza. Infatti, se la transizione fosse stata del primo ordine (un esempio di cui abbiamo esperienza quotidiana è la transizione tra liquido e vapore) la coesistenza di fasi con diverso valore del campo di Higgs potrebbe aver lasciato tracce cosmologiche. In tal caso l’energia rilasciata durante il passaggio di stato sarebbe stata estremamente grande e le regioni di spazio “riempite” di campo di Higgs si sarebbero espanse a velocità relativistiche. Questi sono tutti ingredienti validi per la generazione di onde gravitazionali primordiali, e ciò che rende il fenomeno ancora più interessante è che tali onde gravitazionali, se scoperte, segnalerebbero la presenza di fisica oltre il modello standard che, infatti, non prevede una transizione di questo tipo. Esperimenti futuri di misura di onde gravitazionali, come l’interferometro Lisa, hanno come obiettivo scientifico anche la verifica di questa ipotesi.
Ci sono inoltre ulteriori motivazioni teoriche che privilegiano questo scenario, dettate dalla possibilità di risolvere il mistero dell’asimmetria materia-antimateria nell’universo (vd. Lo specchio rotto, ndr). Possiamo spingerci oltre l’unificazione elettro-debole? Abbiamo già detto che ad alte energie, cioè a piccole distanze, tutte le particelle del modello standard possono essere considerate prive di massa. In questo limite le forze diventano dunque tutte a lungo raggio, inclusa la forza forte, con il caveat che la dipendenza dall’energia dei tre accoppiamenti fondamentali (tralasciando la gravità) in generale è diverso.
Visualizzazione di un evento in cui un bosone W decade in un muone e un neutrino in collisioni protone- protone registrate dall’esperimento Atlas al Cern.
Sulla base delle predizioni del modello standard, si evince però, e in modo sorprendente, che tutti gli accoppiamenti diventano simili, con differenze del 10%, a scale dell’ordine di 1015 GeV. A tali energie, 9 ordini di grandezza maggiori di quelle raggiungibili da Lhc, diventa intrigante l’idea che le tre forze fondamentali si unifichino in una sola, caratterizzata da un comune accoppiamento fondamentale. La prima Teoria di Grande Unificazione (Gut) fu proposta da Howard Georgi e Sheldon Glashow nel 1974. Questa prevede che le tre forze fondamentali vengano unificate sotto la guida di un’unica simmetria in grado di descrivere sia le interazioni dovute alle forze esistenti che nuove forze. Queste ultime, tuttavia, non sono osservabili a energie molto inferiori a 1015 GeV, perché sono mediate da particelle molto massive, dette X e Y. Altri scenari Gut sono stati proposti successivamente e tutti utilizzano in modo cruciale la “separazione di scale” che si può ottenere tramite nuovi campi di Higgs, con valore pari a circa 1015 GeV, che danno massa ai nuovi mediatori e lasciano invece privi di massa tutti i mediatori delle forze noti (fotoni, W e Z e gluoni). La versione più semplice di teoria Gut, quella del ‘74, porta con sé alcuni problemi fenomenologici e altri di natura più tecnica relativi alla struttura delle interazioni dei nuovi campi di Higgs. In particolare, essa predice il decadimento del protone dovuto alle nuove forze mediate da X e Y e questo porterebbe a una instabilità della materia.
Nonostante siano necessari alcuni accorgimenti per migliorare la teoria originaria, lo scenario Gut rimane affascinante e predice l’esistenza di fisica oltre il modello standard che dovrà essere verificata dai futuri esperimenti. In modo ancora più ambizioso vorremmo arrivare a formulare una nuova teoria che includa anche le interazioni gravitazionali. Questo richiede la quantizzazione della teoria della relatività generale a grandi energie e una nuova simmetria o forse, addirittura, un nuovo spaziotempo.
Biografia
Stefania De Curtis è dirigente di ricerca in fisica teorica presso la sezione Infn di Firenze. Ha conseguito il PhD alla Sissa e trascorso lunghi periodi presso l’Università di Ginevra e il Cern per svolgere ricerche in fisica delle interazioni fondamentali. È direttrice del Galileo Galilei Institute for Theoretical Physics, Centro Nazionale di Studi Avanzati dell’Infn.
Andrea Tesi è ricercatore presso la sezione Infn di Firenze. Ha ottenuto il PhD alla Scuola Normale Superiore di Pisa nel 2014, e ha lavorato presso la University of Chicago. La sua attività di ricerca in fisica teorica è dedicata principalmente alla fisica oltre il modello standard.