Profondo nero
Origine ed evoluzione dei buchi neri
di Emanuele Berti
La prima immagine di un buco nero, ottenuta dalle osservazioni del centro della galassia M87 compiute dall’Event Horizon Telescope.
Qual è l’origine di un buco nero? Un buco nero nasce nel momento in cui la forza di gravità che agisce sulla materia diventa insostenibile, e il collasso gravitazionale rende ogni fuga di informazione impossibile. In questo senso, un buco nero è quanto vi è di più vicino in fisica alla morte biologica. Dal punto di vista di un astrofisico (o di un amante dei film dell’orrore!) l’origine di un buco nero è un po’ una reincarnazione: un buco nero è il modo in cui una stella di massa molto grande rinasce dopo aver esaurito la catena di reazioni nucleari che la manteneva in vita. Come nei sistemi biologici (e nei film dell’orrore), però, anche in astrofisica le cose sono spesso più complesse: per esempio, alcuni dei buchi neri osservati in natura hanno massa troppo grande per essere nati dal collasso di una stella.
L’origine stellare di un sistema binario di buchi neri.
T è la durata media del processo o della fase raffigurati a lato.
Fisici e astrofisici hanno proposto molti meccanismi per spiegare la nascita e la crescita di un buco nero. Quali e quanti dei meccanismi proposti in teoria producono i buchi neri osservati dagli interferometri per onde gravitazionali come Ligo e Virgo, o i buchi neri supermassicci al centro delle galassie? La risposta a questa domanda è legata a questioni profonde, come l’origine delle strutture osservate nell’universo, o la natura della materia oscura. L’origine di un buco nero è stata per lungo tempo una questione di principio, strettamente relegata nel dominio della fisica teorica. Stelle con massa confrontabile al Sole terminano la loro vita come nane bianche o stelle di neutroni. D’altra parte, osserviamo molte stelle con massa ben maggiore di quella del Sole. Che cosa succede a una stella di massa molto grande? Nel 1939 Robert Oppenheimer e Hartland Snyder dimostrarono che il collasso è inevitabile per una stella sufficientemente massiccia. Lo stato finale è quello che oggi chiamiamo un buco nero. A meno di correzioni di natura quantistica, la materia che attraversa l’orizzonte degli eventi, ovvero il confine di un buco nero, è destinata a incontrare una singolarità: una regione in cui la curvatura dello spaziotempo è infinita. L’esistenza di singolarità è un problema molto serio: la teoria della gravità di Einstein prevede il proprio fallimento a scale di energia (o curvatura spaziotemporale) molto alte. Per questo il dibattito sul collasso gravitazionale occupò i fisici per decenni. In un famoso articolo del 1969, Roger Penrose mostrò che nessuna delle possibili obiezioni (effetti dovuti a interazioni nucleari, accrescimento, carica elettrica, campi magnetici, rotazione e asimmetrie, presenza di una costante cosmologica, effetti quantistici, o perfino la possibilità che la relatività generale non sia corretta) può fermare il collasso gravitazionale: la formazione di buchi neri è inevitabile quando una stella ha massa abbastanza grande.
È possibile creare buchi neri sempre più grandi al crescere della massa di una stella? Modelli numerici del collasso gravitazionale indicano che è molto difficile, se non impossibile, produrre buchi neri con massa compresa tra circa 50 e 130 masse solari: per masse così grandi tutta la materia viene espulsa senza produrre un buco nero, a causa della creazione di coppie elettrone- positrone all’interno della stella.
Tre scenari possibili per la formazione di buchi neri. Buchi neri di prima generazione (I) possono formare buchi neri di seconda generazione (II) tramite fusione; questi a loro volta possono fondersi tra loro e generare buchi neri di generazioni successive.
Secondo la relatività generale, due buchi neri in un sistema binario perdono energia sotto forma di onde gravitazionali. L’orbita si stringe finché i due buchi neri collidono, nella cosiddetta “fusione” (o “merger”), in un solo buco nero rotante con massa poco inferiore alla somma delle masse dei buchi neri iniziali. In genere la scienza progredisce in maniera graduale, ma a volte è possibile datare il momento in cui succede un evento rivoluzionario. Il 14 settembre 2015 è una di queste date: è il giorno in cui, per la prima volta, sono state osservate le onde gravitazionali emesse dalla fusione di due buchi neri. Tramite merger è possibile produrre buchi neri di seconda (o terza, o quarta...) generazione che non sono figli diretti del collasso gravitazionale, e possono avere massa superiore a 50 masse solari.
I rivelatori di onde gravitazionali osservano gli ultimi secondi di vita di una binaria di buchi neri. Dalla forma d’onda possono misurare le masse dei buchi neri, una certa combinazione dei loro momenti rotazionali nota come “spin effettivo”, e la distanza a cui si trova la binaria. Queste quantità sono simili ai fossili di un dinosauro: dallo scheletro possiamo risalire alla vita del dinosauro, ovvero all’evoluzione della binaria prima del merger, e collezionando molti scheletri possiamo fare archeologia e risalire alle proprietà dell’intera specie. Fuor di metafora: Ligoe Virgo stanno ormai osservando decine o centinaia di fusioni di buchi neri, e la combinazione di queste osservazioni ci dirà qual è il meccanismo più probabile per l’origine delle binarie osservate. Gli scenari più probabili includono l’evoluzione di binarie stellari isolate, la dinamica di binarie in ambienti molto densi (cluster), la produzione in dischi di nuclei galattici attivi, o addirittura una possibile origine primordiale. In quest’ultimo scenario i buchi neri si formerebbero nei primi istanti di vita dell’universo (vd. Un'intuizione spettacolare, ndr), e potrebbero spiegare almeno parte della materia oscura che sembra comporre l’universo. Nello scenario forse più comune, il punto di partenza sono due stelle in un sistema binario (vd. fig. b). Gli strati esterni della stella più massiccia, detta primaria, si espandono e comincia un processo di trasferimento di massa sulla secondaria.
Il nucleo di elio della primaria esplode in una supernova creando così un buco nero. In genere l’esplosione è asimmetrica e gli scenari possibili sono due: o il sistema binario si distrugge o assume un’orbita ellittica. Se il sistema binario sopravvive,dopo l’esplosione consiste di un buco nero e una stella, detta secondaria, che continua a evolvere e si espande finché non comincia un secondo processo di trasferimento di massa, stavolta dalla secondaria alla primaria. Il gas che circonda il sistema binario ne assorbe parte dell’energia e alla fine viene espulso. Dopo questo trasferimento di energia, l’orbita del sistema binario è così stretta che l’esplosione della secondaria in una supernova raramente distrugge il sistema: i buchi neri prodotti dalle due successive esplosioni continuano a perdere energia in onde gravitazionali finché non si fondono in un unico buco nero. Questo scenario può riprodurre le masse e il numero di eventi osservati dalla collaborazione Ligo-Virgo, ma prevede che la maggior parte degli eventi abbia uno spin effettivo maggiore di zero, mentre la maggior parte degli eventi osservati hanno spin effettivo molto vicino a zero.
Come è possibile spiegare spin effettivi vicini a zero? La possibilità più semplice è che le binarie si formino in isolamento ma che il collasso produca quasi sempre buchi neri non-rotanti. Una seconda possibilità è che la binaria si formi tramite interazioni dinamiche in un ambiente stellare molto denso, detto “ammasso stellare”.
In questo caso ci sono due effetti principali: un sistema triplo tende a espellere il corpo più leggero dei tre, e questo favorisce la formazione di binarie più massicce; e per la conservazione dell’energia, i corpi più pesanti tendono ad affondare verso il centro del cluster. Entrambi gli effetti tendono a produrre buchi neri di massa più grande. In interazioni dinamiche l’orientamento dello spin dei buchi neri è generalmente casuale, e quindi è più probabile avere uno spin effettivo vicino a zero. È possibile che in futuro Ligo e Virgo osservino binarie con componenti di massa superiori alle 50 masse solari. Questi buchi neri possono essere formati tramite successive generazioni di merger in un ammasso, ma solo se gli ammassi stellari sono abbastanza densi. Un’altra possibilità per formare buchi neri pesanti è che si formino tramite meccanismi simili a quelli che hanno formato i pianeti nel sistema solare: in questo caso i buchi neri si formerebbero nel disco di accrescimento di un buco nero supermassiccio (un “nucleo galattico attivo”, o Agn), che crea delle “trappole orbitali” dove è possibile accumulare buchi neri e farli incontrare molte volte. Un’altra possibilità affascinante è stata proposta molti anni fa da Hawking: i buchi neri osservati da Ligo e Virgo potrebbero essersi formati da fluttuazioni dell’universo primordiale durante l’inflazione (vd. Un'intuzione spettacolare, ndr). Se questo fosse vero, gli interferometri potrebbero aver osservato (parte) della materia oscura! Questa possibilità è la più entusiasmante, ma forse anche la più improbabile. Grazie al lavoro infaticabile dei fisici sperimentali, nei prossimi anni avremo più interferometri (incluso uno in Giappone e uno in India) operanti con maggiore sensibilità. I rivelatori terrestri di terza generazione, come Einstein Telescope e Cosmic Explorer, e Lisa, un rivelatore spaziale in collaborazione tra Nasa ed Esa, saranno così sensibili da osservare fusioni di buchi neri nell’intero universo. Questo è importante perché i buchi neri supermassicci al centro delle galassie sono troppo grandi per essersi formati dal collasso stellare: questa famiglia di buchi neri deve essere cresciuta tramite una combinazione di merger e accrescimento. Osservando sorgenti di onde gravitazionali molto lontane sarà possibile, per esempio, stabilire se i primi buchi neri erano relativamente leggeri e prodotti dal collasso di stelle primordiali, o se invece si sono formati dal collasso di gas in protogalassie, galassie giovanissime e lontanissime. L’astronomia gravitazionale è ai primi passi, ma presto ci dirà come l’universo primordiale ha piantato i semi da cui i buchi neri hanno iniziato a crescere.
Biografia
Emanuele Berti è professore alla Johns Hopkins University negli Stati Uniti. Svolge attività di ricerca nell’ambito della fisica di buchi neri e stelle di neutroni, lavora a verifiche osservative della relatività generale e si occupa di astronomia con onde gravitazionali.