Dopo la nube il Sole
Come si è formato il sistema solare
di Filippo Maria Zerbi
È curioso pensare come la nostra esistenza, la nostra esperienza soggettiva quotidiana, la filosofia, la musica, la fisica, l’amore, il dolore e tutto quello che ci caratterizza come specie animale dominante sul pianeta Terra, abbiano avuto origine da una modesta nube di gas e polveri in tempi abbastanza recenti, su una scala di tempi astronomica. Circa 4,5 miliardi di anni fa una perturbazione gravitazionale, probabilmente un’onda d’urto derivante da un’esplosione di supernova, ha creato un disequilibrio nella particolare regione della Via Lattea dove oggi troviamo il nostro sistema solare, allora occupata da una nube di gas diffuso e polveri in equilibrio termico e gravitazionale. A causa di questa perturbazione, si è creata una concentrazione di materia, attorno alla quale, per attrazione gravitazionale, si è aggregato il resto della nube, che ha cominciato quindi a scaldarsi e a ruotare sempre più rapidamente, trasformandosi in un disco rotante con maggiore massa e temperatura più elevata nella parte centrale: il “disco proto-planetario”. Sempre per via della gravitazione, le particelle nel disco si sono aggregate tra loro in piccoli agglomerati detti “planetesimi”.
Le alte temperature in prossimità del centro del disco hanno impedito la condensazione di molecole volatili quali l’acqua o il metano, consentendo la formazione unicamente di planetesimi di massa ridotta e composti da silicati e metalli. L’accrescimento gravitazionale attorno a questi planetesimi rocciosi ha portato alla formazione dei pianeti interni del sistema solare inclusa la Terra. Al contrario nelle zone più esterne e fredde la permanenza dei gas ha favorito la formazione di pianeti giganti gassosi come Giove e Saturno e di pianeti gassosi freddi come Urano e Nettuno aggregati attorno a nuclei di ghiaccio. Mentre il processo di formazione dei pianeti nel disco proto-planetario aveva luogo, al centro si andava accumulando sempre più massa della nube originale, aumentando contestualmente la temperatura e formando così la “protostella”. Raggiunta la temperatura necessaria, nel nucleo della protostella che sarebbe di lì a poco diventata il nostro sole, si è innescata la reazione di fusione nucleare dell’idrogeno.
Il Sole, nuova sorgente di energia e di particelle accelerate nel “vento solare”, ha con il tempo spazzato via il gas e le polveri residue spingendole nello spazio interstellare e creando quel vuoto interplanetario, che oggi caratterizza il sistema solare. Va detto che all’epoca il sistema solare non era affatto come lo vediamo oggi. Molti più corpi di dimensioni minori, ma non trascurabili, orbitavano attorno al neonato Sole che regolava il sistema non solo sul piano energetico, ma anche su quello gravitazionale e magnetico. Sappiamo da Keplero che due corpi celesti in rivoluzione l’uno intorno all’altro orbitano entrambi attorno al proprio centro di massa. Pertanto, per quanto piccolo possa essere un corpo e per quanto lontano possa essere dal corpo più grande attorno al quale è in rivoluzione, impercettibilmente lo muove. La sinergia di piccole perturbazioni e risonanze tra le componenti originarie del sistema solare ne ha determinato allontanamenti o avvicinamenti dal Sole, deviazioni dal piano originario del disco proto-planetario, la cosiddetta “eclittica”. Ci sono state anche, in una prima fase, espulsioni dal sistema verso lo spazio interstellare, aggregazioni di masse minori e impatti tra corpi piuttosto eclatanti e rovinosi; in una fase più avanzata, questi eventi sono stati meno frequenti e meno rovinosi. Il sistema solare è un sistema planetario piuttosto tranquillo. Oggi possiamo dirlo, dopo che nei 25 anni trascorsi dall’osservazione del primo sistema planetario in una stella diversa dal Sole (51 Pegasi, per la cui scoperta sono stati insigniti del premio Nobel per la fisica 2019 Michel Mayor e Didier Queloz) ne abbiamo individuati più di un migliaio.
Il Sole è una stella di massa relativamente piccola che ha bruciato idrogeno in maniera stabile per diversi miliardi di anni e continuerà a farlo per altri miliardi di anni prima di intraprendere il suo viale del tramonto trascinando con sé il sistema planetario che con essa si è formato. In aggiunta, nel sistema solare i pianeti giganti sono esterni. L’interazione gravitazionale, se da un lato aumenta all’aumentare della massa delle componenti, dall’altro diminuisce all’aumentare della distanza tra esse. Il fatto che i pianeti massicci siano esterni rende la zona dove alberga il nostro pianeta abbastanza al riparo da grandi perturbazioni gravitazionali.
Didier Queloz e Michel Mayor, premi Nobel per la fisica 2019, di fronte al telescopio da 3,6 metri dell’Eso all’Osservatorio di La Silla in Cile.
Infine, il Sole non ha una compagna, ovvero non è in un sistema binario o multiplo. La Terra ha quindi vita più semplice di Proxima B, il pianeta potenzialmente abitabile più vicino che conosciamo, che orbita intorno a Proxima (alpha C) Centauri a 4,3 anni luce da noi. Proxima B si trova infatti in una complessa situazione gravitazionale nel sistema triplo di alpha Centauri A, alpha Centauri B e alpha Centauri C (o Proxima). Nel caso di Proxima B sono quindi tre i soli che ne determinano l’equilibrio energetico, magnetico e gravitazionale, con tutte le instabilità che questo comporta. Forse proprio per la stazionarietà del Sole nell’erogare energia e la stabilità orbitale della Terra in tempi lunghi, si sono create le condizioni per la formazione ed evoluzione della vita sulla Terra. Nei prossimi anni, analizzando molti pianeti extrasolari potenzialmente abitabili, potremo scoprire quanto generiche o peculiari siano state le circostanze che hanno portato al processo che ci ha generato. Per citare l’eccellente astrofisico e divulgatore americano Carl Sagan, se la vita nell’universo si fosse formata solo sulla Terra “sarebbe un enorme spreco di spazio”.
Biografia
Filippo Maria Zerbi si laurea in astrofisica presso l’Università di Pavia dove consegue anche il dottorato. Dirigente di ricerca con varie esperienze in istituti internazionali, dal 2016 è il direttore scientifico dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf).