Indizi nello Spazio
Tre satelliti in orbita alla ricerca di tracce che rivelino la presenza di materia oscura.
di Piergiorgio Picozza

a.
Parte del tracciatore dell’esperimento Pamela.
Tre satelliti in orbita alla ricerca di tracce che rivelino la presenza di materia oscura. I depositari del messaggio originario sulla nascita dell’Universo sono indizi molto lontani nello spazio e nel tempo e, tuttavia, buona parte dell’Universo sconosciuto è più vicina di quanto si pensi. La materia oscura, ad esempio, che compone la quasi totalità della materia esistente, partecipa all’ambiente in cui viviamo, portando con sé informazioni fondamentali che non è facile decifrare. Le particelle candidate a spiegare la materia oscura, infatti, sembrerebbero interagire molto debolmente con la materia cosiddetta ordinaria e non lascerebbero tracce chiaramente “visibili” del loro passaggio. Per questa ragione molti esperimenti cercano segnali in modo indiretto, rivelando particelle o radiazioni secondarie che devono la loro esistenza proprio alla materia oscura. Secondo le teorie supersimmetriche odierne, infatti, le particelle di materia oscura avrebbero la proprietà di annichilarsi fra loro dando origine a raggi gamma (fotoni di alta energia) e a sciami di particelle secondarie (quark, leptoni, bosoni di gauge e bosoni di Higgs). Queste ultime, poi, possono dar luogo a particelle stabili, in particolare positroni (o antielettroni) e antiprotoni, che è possibile rivelare e identificare all’interno dei raggi cosmici che colpiscono costantemente la Terra. L’osservazione dei raggi gamma e delle particelle prodotte nell’annichilazione offrono quindi un ottimo metodo di rivelazione indiretta della materia oscura. I più precisi esperimenti di questo tipo, limitati purtroppo dalle forti restrizioni di peso e di potenza elettrica, sono condotti nello Spazio per evitare le interazioni con l’atmosfera. Al contatto con l’atmosfera, infatti, che è molto più densa della materia interstellare, gli antiprotoni e i positroni si annichilano velocemente, mentre i raggi gamma e le altre particelle cariche danno origine a sciami di nuove particelle, facendo perdere le informazioni dirette sulla loro natura. Anche nello Spazio, tuttavia, l’interpretazione di questi segnali non è sempre immediata. Antiprotoni, positroni e raggi gamma, infatti, sono generati in gran parte nell’interazione dei raggi cosmici di alta energia con il materiale interstellare. Il contributo di queste particelle dovuto all’annichilazione di materia oscura si sovrappone, quindi, a quello della normale radiazione cosmica ed è riconoscibile solo come variazione nella distribuzione in energia di quest’ultima. Se individuata e misurata tuttavia, questa variazione, che dipende dalle caratteristiche delle particelle che si annichilano e dalla loro densità nello spazio, può fornire importanti informazioni sulla materia oscura che le ha prodotte. Tra i diversi “messaggeri”, i raggi gamma offrono il vantaggio di muoversi nello spazio senza subire deviazioni da parte del materiale interstellare e, pertanto, possono contribuire a disegnare una mappa precisa degli aloni di materia oscura. I prodotti di annichilazione elettricamente carichi, invece, come elettroni, protoni, deutoni e relative antiparticelle, risentono della presenza dei campi magnetici, che ne deviano le traiettorie rendendo impossibile individuare la sorgente che li ha prodotti. Tra i possibili, vi sono due eventi particolarmente fortunati per i ricercatori di materia oscura nello Spazio, entrambi però poco probabili. Il primo vede protagonisti due fotoni, o una particella e la corrispondente antiparticella, come unici prodotti dell’annichilazione di materia oscura. Nel caso questo si verificasse, si osserverebbe un picco nella distribuzione in energia dei raggi gamma e delle antiparticelle: un segnale molto chiaro dell’annichilazione di materia oscura che, tra l’altro, permetterebbe di determinarne con precisione la massa. Un secondo indizio distintivo sarebbe la presenza di antideutoni (antiparticella del nucleo di deuterio) che, se rivelati, sarebbero attribuiti all’interazione tra antiprotoni e antineutroni prodotti nel processo di annichilazione. Gli esperimenti Pamela e Ams-02, dedicati alla rivelazione di particelle cariche nello Spazio, rappresentano con Agile e Glast, per i raggi gamma, la nuova sfida della comunità scientifica per lo studio indiretto della materia oscura.

Pamela
Installato a bordo del satellite russo Resurs Dk1, a un’altezza compresa tra 350 e 610 km sulla superficie terrestre, l’esperimento Pamela (Payload for AntiMatter Exploration and Light-nuclei Astrophysics) è stato messo in orbita il 15 giugno 2006 da un razzo Soyuz-U, lanciato dalla base di Bajkonour in Kazakistan. Il primo obiettivo di Pamela è rispondere ad alcune delle più affascinanti domande poste dall’astrofisica e dalla cosmologia: dalla natura della materia oscura che pervade l’Universo, all’apparente assenza di antimateria nel Cosmo, fino all’origine e l’evoluzione della materia nella Galassia. Pamela, però, ha anche obiettivi molto più “vicini”, legati all’attività del Sole e all’interazione dei raggi cosmici con la magnetosfera terrestre. La caratteristica peculiare di questo rivelatore satellitare è la capacità di determinare con grande precisione la composizione e l’energia dei raggi cosmici, in particolare degli elettroni, positroni, antiprotoni e nuclei leggeri che vi contribuiscono, e di rivelare eventuali antinuclei, in un intervallo di energia tanto ampio da coprire ben cinque ordini di grandezza: da alcune decine di MeV (milioni di elettronvolt) ad alcune centinaia di GeV (miliardi di elettronvolt). Per queste ragioni, Pamela è un apparato ideale per la ricerca di antimateria e di segnali di materia oscura. Frutto di una collaborazione tra Infn, Asi (Agenzia Spaziale Italiana), l’agenzia spaziale e quattro istituti di ricerca russi, un’università tedesca e un istituto politecnico in Svezia, Pamela è attualmente la missione spaziale più avanzata per l’esplorazione della radiazione cosmica. Il cuore di Pamela è costituito da uno spettrometro magnetico, uno strumento in grado di separare le cariche negative da quelle positive - e quindi la materia dall’antimateria - e di determinare il rapporto tra la quantità di moto (il prodotto della massa di un oggetto per la sua velocità) e la carica elettrica delle particelle e dei nuclei. Per separare gli elettroni dagli antiprotoni, che hanno entrambi carica elettrica negativa e quindi nello spettrometro sono indistinguibili, e i positroni dai protoni (che hanno invece carica positiva), Pamela è dotato di alcuni rivelatori complementari. Tra questi, il calorimetro al silicio permette di riconoscere gli sciami di particelle prodotti dagli elettroni e dai positroni, che interagiscono con esso, da quelli prodotti dai protoni e dagli antiprotoni; mentre un secondo strumento è dedicato al conteggio dei neutroni, che essendo neutri sono invisibili allo spettrometro. Il segnale di un insieme di scintillatori, inoltre, funziona da “consenso” all’acquisizione dei dati da parte dell’intero apparato. Questo sistema permette anche di determinare il valore della carica elettrica di particelle e nuclei e di separare, grazie a misure di tempo, le particelle che vengono dall’alto da quelle che entrano dal basso dello strumento. Un ulteriore insieme di scintillatori identifica poi le particelle che entrano nello strumento dai lati. Le diverse parti di Pamela sono state integrate presso l’Infn in un unico apparato che ha una sezione di 70x70 cm2, un’altezza di 130 cm e un peso di 470 kg. Lo strumento è stato quindi calibrato al Cern e, prima di essere installato sul satellite presso i laboratori della TsSKB-Progress a Samara in Russia, ha subito tutti i test di vibrazione previsti per gli strumenti spaziali.
b.
Immagine pittorica di Glast. Sullo sfondo la Terra ripresa dalla sonda Galileo nel 1992.

Glast

Glast (Gamma-ray Large Area Space Telescope) è uno strumento per la rivelazione di raggi gamma. Fornirà un’immagine molto dettagliata del cielo nella regione ad alta frequenza, proseguendo le ricerche già iniziate da Egret (Energetic Gamma Ray Experiment Telescope), a bordo del Compton Gamma Ray Observatory. Nel corso della sua missione, Glast permetterà di scoprire migliaia di nuclei galattici attivi e centinaia di gamma ray burst e rivelerà i raggi gamma provenienti da numerose pulsar. Inoltre, potrà fornire preziose informazioni sui periodi di formazione delle stelle e delle galassie, sui meccanismi di accelerazione dei raggi cosmici e, non ultimo tra i suoi obiettivi, cercherà tracce di materia oscura, rivelando possibili decadimenti di particelle esotiche e processi di annichilazione delle Wimps nell’alone della Via Lattea. In uno sforzo di sintesi e di interpretazione unitaria di tutte queste informazioni, Glast esplorerà le interconnessioni fra la gravità e la fisica quantistica osservando le emissioni originate da fenomeni violenti, come le esplosioni di supernova e i gamma ray burst, o da sorgenti esotiche come nuclei galattici e stelle di neutroni.

c.
Le 16 torri del Lat (Large Array Telescope) di Glast. Ogni torre contiene un tracciatore e un calorimetro per la determinazione, rispettivamente, della direzione di arrivo e dell’energia del raggio gamma incidente.

La missione Glast è il frutto di una collaborazione internazionale in cui convergono comunità di astrofisici e di fisici delle particelle elementari di Italia, Stati Uniti, Francia, Germania, Giappone e Svezia. La sua struttura, dal peso totale di circa tre tonnellate, posa su due elementi basilari: il Lat (Large Array Telescope), per la determinazione dell’energia e della direzione di arrivo dei raggi gamma nell’intervallo fra 20 milioni e oltre 300 miliardi di elettronvolt, e il Gbm (Gamma ray Burst Monitor) per l’osservazione di segnali con energie variabili, fra 5 mila e 30 milioni di elettronvolt, correlati con i raggi gamma rivelati dal Lat. Il Lat ha una struttura a moduli basata su 16 elementi identici, chiamati “torri”. Ogni torre è costituita da un tracciatore e un calorimetro elettromagnetico. Il tracciatore, formato da rivelatori al silicio alternati a piani di tungsteno, ha la funzione di trasformare i raggi gamma in coppie positrone-elettrone, la cui traiettoria viene registrata nel silicio al fine di determinare la direzione di arrivo del fotone. Il calorimetro invece misura l’energia della coppia e da essa è poi possibile risalire all’energia del raggio gamma incidente. L’apparato è stato completato e testato e sarà messo in un’orbita circolare a 665 km di altezza nei primi mesi del 2008 con un razzo Delta 2 Heavy, dalla base americana Kennedy Space Flight Center di Cape Canaveral, in Florida.

d.
Agile pronto al lancio, il 23 aprile scorso dalla base Sriharikota di Chennai-Madras, in India.

Agile

Dal 23 aprile scorso, Agile (Astro-rivelatore Gamma a Immagini Leggero) orbita a un’altezza di 550 km sulla superficie terrestre, dopo essere stato portato sul satellite italiano Mita da un razzo indiano partito dalla base Sriharikota di Chennai-Madras, in India. Prima tra le piccole missioni scientifiche programmate alcuni anni fa dall’Asi e realizzata in stretta collaborazione con Infn, Inaf (Istituto Nazionale di Astrofisica) e alcune università italiane, Agile è destinato a esplorare campi importantissimi dell’astrofisica delle alte energie. Il vasto programma scientifico comprende la rivelazione di nuclei galattici attivi e di gamma-ray burst, lo studio dell’emissione gamma di pulsar, fino all’identificazione di nuove sorgenti galattiche. Di particolare importanza saranno anche gli studi sull’emissione diffusa di raggi gamma galattici ed extragalattici, che porteranno un fondamentale contributo alle nostre conoscenze sui raggi cosmici e le ricerche sulle emissioni violente del Sole, le solar flares. Il rivelatore, nel suo complesso, ha la caratteristica esclusiva e originale di combinare, in un unico strumento - un cubo di 40 cm di lato dal peso di 120 kg - rivelatori di raggi gamma di energie tra 30 milioni e 50 miliardi di elettronvolt e di raggi X fra 15 e 60 mila elettronvolt. Questa particolarità gli consentirà di studiare sorgenti e fenomeni in evoluzione, che si manifestano contemporaneamente con l’emissione di radiazioni di energie molto diverse tra loro. Un elemento centrale di Agile è il silicon tracker, il tracciatore al silicio. È dedicato in particolare alla rivelazione dei raggi gamma ed è composto da 28 piani a microstrip di silicio intervallati da uno strato di tungsteno. Qui i fotoni gamma incidenti si possono trasformare in una coppia elettrone-positrone e sono rivelati grazie al segnale emesso dal passaggio nel silicio di queste particelle; la traiettoria di queste ultime, poi, permette di capire da quale direzione è arrivato il fotone. Per misurare l’energia delle coppie prodotte, sotto il tracciatore è posizionato un piccolo calorimetro formato da sedici barre di cristallo, che ha anche la capacità di rivelare rapidamente eventuali gamma ray burst. Sopra al tracciatore è posto lo strumento Super-Agile, dotato di un rivelatore al silicio per i raggi X e di un sistema per determinare la loro direzione di arrivo.

Biografia
Piergiorgio Picozza è professore ordinario di Istituzioni di Fisica Nucleare e Subnucleare e direttore della sezione Infn dell’Università di Roma Tor Vergata. È responsabile internazionale dell’esperimento Pamela, membro del consiglio scientifico della missione Agile e collabora alla missione Glast.

 

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