Dagli abissi uno sguardo verso l'Universo misterioso
Arriva dalle profondità del Mar Mediterraneo e dei ghiacci antartici la sfida dei riceratori ai segreti della materia oscura.
di Teresa Montaruli

a.
Il cuore della galassia Whirpool
Arriva dalle profondità del Mar Mediterraneo e dei ghiacci antartici la sfida dei ricercatori ai segreti della materia oscura. Con l’idea di rivolgere il cannocchiale verso il cielo, Galileo inaugurò l’astronomia moderna che, grazie al progresso degli strumenti utilizzati per le osservazioni, ci ha insegnato come essi possono essere fonte di imprevedibili scoperte. Il concetto di telescopio si è enormemente evoluto nel corso del tempo e oggi non comprende più solamente gli apparati sensibili alla regione visibile dello spettro elettromagnetico, alle onde radio, o ai raggi X. Ma, al fine di aprire nuovi orizzonti osservativi, stiamo costruendo enormi infrastrutture (alcune delle quali sono già operative) per rivelare altri messaggeri dell’Universo, diversi dai fotoni: i neutrini. I neutrini sono particelle neutre molto elusive perché risentono solamente della forza debole, al contrario dei fotoni che interagiscono elettromagneticamente con la materia. Questa loro caratteristica fa sì che essi non siano né assorbiti dalla materia, né deflessi dai campi magnetici, portando così precise informazioni per localizzare le sorgenti che li generano: essi si rivelano così i più interessanti messaggeri provenienti dalle regioni interne delle sorgenti più misteriose dell’Universo, come i buchi neri circondati da dischi di accrescimento nei nuclei galattici attivi. A parte i neutrini emessi dal Sole e una manciata di neutrini dalla supernova SN1987A non sono stati mai osservati neutrini dal cosmo. I nuovi strumenti per rivelarli nella regione di energia maggiore di un centinaio di GeV (1 GeV = 1,6 x 10-10 Joule) sono detti telescopi di neutrini. Se le sorgenti accelerassero non solo elettroni ma anche protoni, allora la produzione dei neutrini insieme ai fotoni sarebbe garantita. Tuttavia fino ad oggi ciò rimane ancora da dimostrare e si ritiene che la rivelazione dei primi neutrini di alta energia dal cosmo rivoluzionerà la nostra visione dei meccanismi di accelerazione e produzione di energia in sorgenti astrofisiche. I neutrini potrebbero essere anche prodotti dall’annichilazione di materia oscura che si accumulerebbe per effetto della forza gravitazionale nel centro di corpi celesti come il Sole o la Terra stessa, o anche al centro della galassia.
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I neutrini che arrivano dal centro della nostra galassia attraversano tutta la Terra prima di essere rivelati dal telescopio Nemo, nel Mar Mediterraneo.

Questa materia oscura potrebbe essere costituita da nuove particelle, come le Wimp, previste dai modelli elaborati allo scopo di estendere il Modello Standard (cioè la teoria che oggi usiamo per descrivere i costituenti della materia e le loro interazioni) in modo da includere l’unificazione di tutte le forze: alcuni esempi di queste teorie sono la Supersimmetria o le teorie che prevedono dimensioni extra (oltre alle tre dimensioni spaziali e a quella temporale che oggi conosciamo). I telescopi per neutrini cercano un surplus di queste particelle, dovuto ai processi di annichilazione delle particelle Wimp, in direzione dei corpi celesti in cui si concentrerebbero, rispetto al fondo di neutrini prodotti nell’atmosfera dai raggi cosmici che la investono. Altre interessanti prospettive riguardano la rivelazione di neutrini dalla materia oscura che potrebbe accumularsi in corrispondenza di buchi neri dotati di una massa equivalente a circa 100.000 masse solari.
La regione di energia che ci interessa è determinata dal valore della massa delle particelle di materia oscura, e va da circa 50 GeV a qualche TeV. Questa ricerca indiretta di materia oscura è complementare rispetto a quella diretta (che prevede l’osservazione dell’interazione delle particelle con la materia che costituisce il rivelatore) ed è, per il caso del Sole, promettente in alcune condizioni e se la loro massa è maggiore di circa 100 GeV. Ancora più incoraggianti sono le previsioni delle teorie extra-dimensionali, secondo le quali l’annichilazione di particelle di materia oscura nel Sole produrrebbe tra 0,5 e 10 eventi l’anno in rivelatori delle dimensioni di un chilometro cubo. Poiché, come si è detto, i neutrini sono molto elusivi, è necessario dotare di strumenti idonei alla loro rivelazione spazi molto grandi, in modo da contrastare la loro bassa probabilità di interazione con la materia: per questa ragione le dimensioni dei telescopi di neutrini, già operativi o in fase di costruzione, variano da circa un decimo di chilometro cubo a un chilometro cubo. Di conseguenza è impossibile realizzarli in gallerie sotto le montagne come nel caso dei telescopi di neutrini di più bassa energia (per esempio, gli esperimenti Macro e Borexino collocati sotto il massiccio del Gran Sasso ai laboratori Nazionali dell’Infn, o l’esperimento Super-Kamiokande, in Giappone, che si trova all’interno di una ex miniera).
La ricerca di eventi rari (come gli eventi indotti da neutrini) va effettuata usufruendo dello schermo di grossi strati di materia che riducono il flusso superficiale dei muoni di natura atmosferica (cioè i muoni prodotti dall’interazione dei raggi cosmici con l’atmosfera terrestre), che maschererebbero il segnale dei muoni prodotti da neutrini astrofisici (cioè provenienti da sorgenti astrofisiche). Alle profondità di 2,5-3,5 km sotto il mare o i ghiacci polari, l’intensità di questo fondo è attenuata di un fattore tra 100.000 e un milione di volte. I neutrini, interagendo con la materia, producono muoni secondari che è possibile rivelare attraverso la luce Cherenkov che emettono (la produzione di luce per effetto Cherenkov è un fenomeno molto simile al tuono prodotto da un jet che supera la barriera del suono in aria). La natura ci offre dei mezzi trasparenti e allo stesso tempo bui adatti alla rivelazione di questo flebile segnale di luce: gli abissi e le profondità dei ghiacci polari. Queste condizioni fanno dei telescopi per neutrini i rivelatori localizzati nelle regioni più inesplorate e misteriose della Terra. Ad alta energia i muoni hanno la stessa direzione dei neutrini che li producono: grazie a ciò l’informazione sulla direzione di provenienza e quindi sulle sorgenti di neutrini è preservata. Se si guardano i muoni che viaggiano dal basso verso l’alto, è garantito che essi siano prodotti dai neutrini: da quella direzione, infatti, si è certi di identificare i neutrini perché lo spessore della Terra impedisce a qualunque altra particella di arrivare fino al rivelatore. Per osservare l’intero cielo sono perciò necessari due telescopi: uno nell’emisfero nord e uno nell’emisfero sud. La tecnologia impiegata, pur essendo estremamente sofisticata, è in principio molto semplice: un reticolo tridimensionale di rivelatori di luce, detti fotomoltiplicatori, che misurano il tempo di arrivo dei fotoni Cherenkov.

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Costruzione di una stringa di IceCube: è visibile un modulo ottico mentre viene calato nell’abisso di ghiaccio.
d.
La stazione di Amundsen-Scott durante la stagione estiva 2006-2007. È visibile in primo piano la torre nella quale viene effettuato il drilling e il cavo di supporto per i moduli ottici. In fondo si intravede la nuova stazione dove ci sono gli alloggi.
I fotomoltiplicatori, protetti da sfere di vetro resistenti alle alte pressioni degli abissi o che si sviluppano durante l’installazione nel ghiaccio, costituiscono gli “occhi” del telescopio, chiamati moduli ottici. Questi ultimi sono sostenuti da stringhe lungo le quali vengono trasmessi i dati e l’alta tensione che alimenta i moduli ottici. In pratica, la costruzione di questi giganteschi rivelatori, realizzati in siti estremamente ostili, rappresenta una notevole sfida tecnologica. Il primo telescopio “abissale”, chiamato NT200+, è stato collocato alla profondità di circa un chilometro nel lago Baikal, in Siberia. Frutto di una collaborazione russo-tedesca, l’esperimento, che prende dati con circa 200 moduli ottici, ha posto limiti stringenti nei parametri per la rivelazione di materia oscura. L’esperimento che ha posto il limite più basso alla produzione di neutrini da materia oscura dal Sole e dalla Terra è Amanda, che oggi raccoglie dati al Polo Sud con 677 moduli ottici, installati tra 1,5 e 2 km di profondità nei ghiacci. La procedura per installare questi moduli, chiamata drilling, utilizza getti ad alta pressione di acqua bollente per scavare dei buchi lunghi chilometri e di circa mezzo metro di diametro. Amanda è il precursore di IceCube, il telescopio di neutrini attualmente più grande al mondo, la cui terza stagione di costruzione (terminata da poco perché al Polo Sud è possibile costruire il rivelatore tra novembre e febbraio, per via delle migliori condizioni climatiche durante la stagione estiva) ha portato il volume attuale pari a circa il 30% di quello finale, che sarà di un chilometro cubo. Altrettanto straordinaria è la sfida agli abissi intrapresa dalla comunità scientifica nel Mediterraneo, dove diverse collaborazioni internazionali sono impegnate nella progettazione e costruzione di rivelatori a profondità ancora più elevate: Antares e Nemo. Il primo è un telescopio delle dimensioni di un decimo di chilometro cubo, a cui l’Infn partecipa, che è in costruzione alla profondità di 2.500 metri di fronte alla costa di Marsiglia. Nemo, invece, è l’esperimento dell’Infn impegnato nella realizzazione degli elementi base per il rivelatore da un chilometro cubo nel Mediterraneo, che saranno installati in una stazione sottomarina a circa 3.500 metri sotto la superficie del mare a 80 km al largo di Capo Passero, in Sicilia.
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La junction-box di Nemo viene calata in mare lo scorso dicembre durante la prima fase dell’esperimento. All’interno del contenitore giallo in vetroresina, riempito di olio, si trovano i contenitori a pressione, dentro i quali sono stati installati l’elettronica e i cavi elettro-ottici di interconnessione.
Il progetto finale del rivelatore Antares (che dovrebbe essere ultimato nel 2008) prevede la costruzione e l’installazione di dodici stringhe: attualmente ne sono operative cinque (la prima delle quali è stata installata nel marzo del 2005), che stanno raccogliendo dati e che hanno già misurato i primi neutrini, mentre due ulteriori stringhe sono pronte sotto il mare per la connessione a terra, che avverrà in settembre. Nemo, invece, ha concluso con successo le operazioni di posa del prototipo di una delle unità base che comporranno l’apparato, nel sito prescelto per il test, alla profondità di oltre 2.000 metri al largo di Catania. Il prototipo è costituito da una torre alta circa 200 m su cui sono collocati i sensori ottici, e dalla cosiddetta junction box che ha lo scopo di contenere l’alimentazione del rivelatore e la strumentazione necessaria alla trasmissione dei dati dalla torre a terra e viceversa. Il progetto Nemo prevede, nella sua versione finale, l’installazione di 80 torri, distanti 140 metri l’una dall’altra, che occuperanno così un volume di circa un chilometro cubo. Nei prossimi anni la comunità scientifica europea, che ora opera su tre esperimenti (oltre ad Antares e Nemo, è in corso anche il progetto Nestor che mira alla costruzione di un rivelatore vicino alle coste del Peloponneso e che nel 2003 ha rivelato, con un apparato test di 12 fotomoltiplicatori, alcune centinaia di muoni atmosferici), dovrebbe concentrare tutte le forze per costruire un rivelatore delle dimensioni di un chilometro cubo, controparte di IceCube nel nostro emisfero.
La collaborazione Nemo propone, appunto, per l’installazione di questo rivelatore, il sito di Capo Passero, per le favorevoli caratteristiche dell’acqua e dell’ambiente marino. Qui presto sarà installata una torre prototipo, alta 750 metri, cioè delle stesse dimensioni del disegno proposto per il rivelatore finale, su cui saranno collocati 64 sensori ottici. Grandi sono le aspettative della comunità scientifica impegnata nei progetti di costruzione di questi enormi osservatori per neutrini nei nostri mari, perché, al contrario di quelli al Polo Sud, i rivelatori nel Mediterraneo avranno l’opportunità di osservare il centro della nostra Galassia, una regione di grande interesse anche per la rivelazione di materia oscura.

Biografia
Teresa Montaruli, ricercatrice universitaria a Bari dal 2000, ha ricevuto nel 2001 il premio Shakti per i suoi contributi alla fisica dei raggi cosmici. Dalla fine degli anni ’90, lavora all’esperimento Antares come coordinatore del gruppo di studio sulla neutrino-astronomia e nel progetto Nemo. Ora è in congedo all’Università del Wisconsin-Madison, dove partecipa ad Amanda e Ice Cube.


Link

http://icecube.wisc.edu/
http://antares.in2p3.fr/



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