Dagli abissi uno sguardo verso l'Universo misterioso
Arriva dalle profondità del Mar Mediterraneo e dei ghiacci antartici la sfida dei riceratori ai segreti della materia oscura.
di Teresa Montaruli
I neutrini che arrivano dal centro della nostra galassia attraversano tutta la Terra prima di essere rivelati dal telescopio Nemo, nel Mar Mediterraneo.
Questa materia oscura potrebbe essere costituita da nuove particelle, come le Wimp, previste dai modelli elaborati allo scopo di estendere il Modello Standard (cioè la teoria che oggi usiamo per descrivere i costituenti della materia e le loro interazioni) in modo da includere l’unificazione di tutte le forze: alcuni esempi di queste teorie sono la Supersimmetria o le teorie che prevedono dimensioni extra (oltre alle tre dimensioni spaziali e a quella temporale che oggi conosciamo). I telescopi per neutrini cercano un surplus di queste particelle, dovuto ai processi di annichilazione delle particelle Wimp, in direzione dei corpi celesti in cui si concentrerebbero, rispetto al fondo di neutrini prodotti nell’atmosfera dai raggi cosmici che la investono. Altre interessanti prospettive riguardano la rivelazione di neutrini dalla materia oscura che potrebbe accumularsi in corrispondenza di buchi neri dotati di una massa equivalente a circa 100.000 masse solari.
La regione di energia che ci interessa è determinata dal valore della massa delle particelle di materia oscura, e va da circa 50 GeV a qualche TeV. Questa ricerca indiretta di materia oscura è complementare rispetto a quella diretta (che prevede l’osservazione dell’interazione delle particelle con la materia che costituisce il rivelatore) ed è, per il caso del Sole, promettente in alcune condizioni e se la loro massa è maggiore di circa 100 GeV. Ancora più incoraggianti sono le previsioni delle teorie extra-dimensionali, secondo le quali l’annichilazione di particelle di materia oscura nel Sole produrrebbe tra 0,5 e 10 eventi l’anno in rivelatori delle dimensioni di un chilometro cubo. Poiché, come si è detto, i neutrini sono molto elusivi, è necessario dotare di strumenti idonei alla loro rivelazione spazi molto grandi, in modo da contrastare la loro bassa probabilità di interazione con la materia: per questa ragione le dimensioni dei telescopi di neutrini, già operativi o in fase di costruzione, variano da circa un decimo di chilometro cubo a un chilometro cubo. Di conseguenza è impossibile realizzarli in gallerie sotto le montagne come nel caso dei telescopi di neutrini di più bassa energia (per esempio, gli esperimenti Macro e Borexino collocati sotto il massiccio del Gran Sasso ai laboratori Nazionali dell’Infn, o l’esperimento Super-Kamiokande, in Giappone, che si trova all’interno di una ex miniera).
La ricerca di eventi rari (come gli eventi indotti da neutrini) va effettuata usufruendo dello schermo di grossi strati di materia che riducono il flusso superficiale dei muoni di natura atmosferica (cioè i muoni prodotti dall’interazione dei raggi cosmici con l’atmosfera terrestre), che maschererebbero il segnale dei muoni prodotti da neutrini astrofisici (cioè provenienti da sorgenti astrofisiche). Alle profondità di 2,5-3,5 km sotto il mare o i ghiacci polari, l’intensità di questo fondo è attenuata di un fattore tra 100.000 e un milione di volte. I neutrini, interagendo con la materia, producono muoni secondari che è possibile rivelare attraverso la luce Cherenkov che emettono (la produzione di luce per effetto Cherenkov è un fenomeno molto simile al tuono prodotto da un jet che supera la barriera del suono in aria). La natura ci offre dei mezzi trasparenti e allo stesso tempo bui adatti alla rivelazione di questo flebile segnale di luce: gli abissi e le profondità dei ghiacci polari. Queste condizioni fanno dei telescopi per neutrini i rivelatori localizzati nelle regioni più inesplorate e misteriose della Terra. Ad alta energia i muoni hanno la stessa direzione dei neutrini che li producono: grazie a ciò l’informazione sulla direzione di provenienza e quindi sulle sorgenti di neutrini è preservata. Se si guardano i muoni che viaggiano dal basso verso l’alto, è garantito che essi siano prodotti dai neutrini: da quella direzione, infatti, si è certi di identificare i neutrini perché lo spessore della Terra impedisce a qualunque altra particella di arrivare fino al rivelatore. Per osservare l’intero cielo sono perciò necessari due telescopi: uno nell’emisfero nord e uno nell’emisfero sud. La tecnologia impiegata, pur essendo estremamente sofisticata, è in principio molto semplice: un reticolo tridimensionale di rivelatori di luce, detti fotomoltiplicatori, che misurano il tempo di arrivo dei fotoni Cherenkov.
Costruzione di una stringa di IceCube: è visibile un modulo ottico mentre viene calato nell’abisso di ghiaccio.
La stazione di Amundsen-Scott durante la stagione estiva 2006-2007. È visibile in primo piano la torre nella quale viene effettuato il drilling e il cavo di supporto per i moduli ottici. In fondo si intravede la nuova stazione dove ci sono gli alloggi.
La junction-box di Nemo viene calata in mare lo scorso dicembre durante la prima fase dell’esperimento. All’interno del contenitore giallo in vetroresina, riempito di olio, si trovano i contenitori a pressione, dentro i quali sono stati installati l’elettronica e i cavi elettro-ottici di interconnessione.
La collaborazione Nemo propone, appunto, per l’installazione di questo rivelatore, il sito di Capo Passero, per le favorevoli caratteristiche dell’acqua e dell’ambiente marino. Qui presto sarà installata una torre prototipo, alta 750 metri, cioè delle stesse dimensioni del disegno proposto per il rivelatore finale, su cui saranno collocati 64 sensori ottici. Grandi sono le aspettative della comunità scientifica impegnata nei progetti di costruzione di questi enormi osservatori per neutrini nei nostri mari, perché, al contrario di quelli al Polo Sud, i rivelatori nel Mediterraneo avranno l’opportunità di osservare il centro della nostra Galassia, una regione di grande interesse anche per la rivelazione di materia oscura.
Biografia
Teresa Montaruli, ricercatrice universitaria a Bari dal 2000, ha ricevuto nel 2001 il premio Shakti per i suoi contributi alla fisica dei raggi cosmici. Dalla fine degli anni ’90, lavora all’esperimento Antares come coordinatore del gruppo di studio sulla neutrino-astronomia e nel progetto Nemo. Ora è in congedo all’Università del Wisconsin-Madison, dove partecipa ad Amanda e Ice Cube.
Link
http://icecube.wisc.edu/
http://antares.in2p3.fr/
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