Il Sole in Terra
Le prospettive della fusione nucleare controllata

di Marco Ripani

a.
Il Sole ripreso in falsi colori dal Solar Dynamics Observatory della Nasa nella banda dell’ultravioletto. Il Sole rimane “acceso” grazie alla fusione nucleare.
Nei primi 200 milioni di anni di evoluzione cosmica, stelle e galassie non esistevano. L’unica sorgente di energia era la radiazione di fondo cosmico, il calore residuo del Big Bang, che all’epoca aveva una temperatura media di circa 85 Kelvin, corrispondenti a -188 gradi Celsius. L’universo era quindi freddo, buio e relativamente noioso. Niente a che vedere con le immagini alle quali i moderni telescopi ci hanno abituati. Oggi vediamo stelle, pianeti, le suggestive regioni di formazione stellare nella nostra galassia e migliaia di galassie esterne alla nostra caratterizzate da una grande varietà di forme e colori. È stata proprio la comparsa delle prime stelle a segnare una transizione fondamentale nella storia dell’universo. Le prime stelle attivano al loro interno la fusione termonucleare, per la prima volta dopo il Big Bang. L’energia liberata dalla loro superficie ed emessa sotto forma di radiazione elettromagnetica illumina le regioni circostanti, riscaldando e ionizzando il gas. L'effetto di questa radiazione sugli atomi di idrogeno, che rappresentano il 75% della massa di gas nell'universo, potrebbe avere causato la leggera distorsione della radiazione di fondo cosmico recentemente misurata dall'esperimento Edges. Se confermata, questa sarebbe la prima prova osservativa, anche se indiretta, dell'esistenza delle prime stelle, datandola a 180 milioni di anni dopo il Big Bang. Attraverso i venti stellari e le esplosioni di supernova le prime stelle liberano nel gas circostante anche i prodotti della fusione termonucleare avvenuta al loro interno. L’universo inizia così ad arricchirsi degli elementi fondamentali per la vita, carbonio, ossigeno, azoto, fino ad arrivare a elementi più pesanti come il ferro. L’insieme di questi processi avvia l’evoluzione delle strutture cosmiche, trasformando l’universo dallo stato di relativa semplicità che precede la formazione delle prime stelle allo stato di grande complessità che oggi osserviamo intorno a noi. L’impatto delle stelle sull’evoluzione delle galassie dipende fortemente dalle loro proprietà fisiche e in particolare dalla loro “metallicità” e dalla loro “funzione di massa iniziale”. La metallicità di una stella è una grandezza che si indica con la lettera Z e che misura la concentrazione di elementi chimici più pesanti dell’idrogeno e dell’elio presenti nel gas dal quale la stella si è formata.
Solitamente non poniamo grande attenzione alle condizioni che rendono possibile la vita sul nostro pianeta. Una di queste è la disponibilità di energia. Ciò che rende possibile gustare della buona frutta o stendersi piacevolmente su una spiaggia, è l’energia che il Sole irradia continuamente nello spazio e che viene captata dalla Terra. La fonte di energia che tiene il Sole “acceso” e che ci inonda di calore ha origine nella “fusione di nuclei leggeri”. Alla base di questo processo nucleare vi è la formazione di un “plasma” a partire da atomi di idrogeno (formati da un nucleo composto da una sola particella, il protone, e da un “guscio” composto da un elettrone). In un gas di idrogeno riscaldato a temperature di 10- 20.000 gradi, gli atomi si muovono velocemente e si scontrano tra loro violentemente, tanto che gli elettroni vengono strappati via e quindi si hanno protoni ed elettroni liberi. Quindi basta prendere un po’ di idrogeno gassoso, costruire una specie di forno per scaldarlo a quelle temperature, e si può accendere un Sole in laboratorio? No, non basta. Nel nostro plasma i protoni si scontrano continuamente, ma essendo dotati di carica elettrica positiva, non possono avvicinarsi così tanto da fondersi. Se però aumentiamo la temperatura a una decina di milioni di gradi, ecco che due protoni che si scontrano, nonostante la forza elettrica che li respinge, possono avvicinarsi così tanto da sentire la forza nucleare forte, che tiene insieme protoni e neutroni nei nuclei. Questo però non è ancora sufficiente e soprattutto in questo avvicinamento non si produce energia, perché non esiste uno stato legato stabile formato solo da due protoni (2He, un nucleo di elio senza neutroni). Ma ogni tanto entra in gioco un altro elemento, la forza nucleare debole, che nel breve tempo in cui i due protoni sono così vicini, trasforma uno dei due protoni in un neutrone, con l’emissione contemporanea di un positrone e di un neutrino. Ecco che allora protone e neutrone possono stare insieme e formare un nuovo nucleo, il nucleo di deuterio. Inoltre, poiché la massa totale di deuterio, positrone e neutrino è inferiore alla massa dei due protoni, secondo la famosa equivalenza di Einstein una parte di massa si è trasformata in energia. Questo è il processo primario che avviene nel Sole (vd. Alchimie celesti, ndr), ma in modo estremamente lento, proprio perché necessita della forza debole, caratterizzata da bassa probabilità di interazione e quindi tempi di azione lunghi. Ma allora se volessimo riprodurre la fusione in laboratorio, che combustibile potremmo usare? Fortunatamente, abbiamo disponibili anche gli isotopi dell’idrogeno: il deuterio, presente in natura, e il trizio, “fratelli” chimicamente uguali (anche loro con un solo elettrone atomico) ma i cui nuclei sono composti da un protone e un neutrone nel caso del deuterio e da un protone e due neutroni nel caso del trizio. A temperature sufficientemente alte, anche deuterio e trizio possono fondere, dando origine a un nucleo di elio (due protoni e due neutroni) con emissione di un neutrone libero e un notevole rilascio di energia (vd. fig. b). Inoltre, questo avviene anche con tempi enormemente più brevi della fusione protone-protone, il che rende la reazione abbastanza frequente da pensare di utilizzarla in un impianto vero e proprio per la produzione di energia. Le reazioni di fusione, inoltre, producono una quantità minima di “scorie” nucleari, che invece vengono prodotte in modo significativo nei processi di fissione dei nuclei pesanti come l’uranio o il plutonio. Ci sono però tre problemi per realizzare una piccola copia del Sole sulla Terra. Il primo è che il plasma dev’essere sufficientemente denso per avere un numero utile di reazioni. Il secondo è che il plasma va mantenuto caldissimo (a decine o centinaia di milioni di gradi) e lontano dalle pareti del suo contenitore. Se esso venisse a contatto con i materiali delle pareti, li danneggerebbe, venendo pure inquinato da atomi estranei strappati ai materiali o venendo assorbito dalle pareti, privando così l’impianto di combustibile, e inoltre si raffredderebbe. Il terzo è che il plasma dev’essere intrappolato per un tempo sufficientemente lungo a produrre la fusione e raccoglierne l’energia prodotta. Perciò, dovremo adottare qualche trucco tecnologico per intrappolare il plasma e tenerlo lontano dalle pareti del forno, come per esempio mettere il tutto dentro un magnete, che costringe le particelle cariche del plasma a girare attorno alle linee di campo magnetico senza andare troppo in giro. Inoltre, le pareti dell’impianto dovranno essere protette da appositi materiali, per esempio utilizzando piastrelle di tungsteno, in grado di reggere il calore dovuto all’irraggiamento e alle particelle che comunque escono dall’interno del plasma caldo, oltre che a contatti accidentali plasma-parete dovuti a instabilità.
 
b.
A sinistra il processo di fusione nucleare di un nucleo di deuterio (2H) e uno di trizio (3H). Nei reattori che attualmente producono energia nucleare avviene il processo “inverso”, quello chiamato di “fissione nucleare” (a destra nella figura). Le reazioni di fissione utilizzano come combustibile elementi chimici molto pesanti, come l’uranio (U) o il plutonio (Pt), la cui massa atomica è superiore a 200. Questi nuclei, inizialmente bombardati con neutroni dall’esterno, si scindono (da cui il termine fissione) producendo elementi più leggeri, nel caso in figura il kripton (Kr) e il bario (Ba) e altri neutroni. I nuovi neutroni, a loro volta, danno origine ad altre fissioni del combustibile, permettendo alla reazione di “autosostenersi” e creare energia utilizzabile dall’uomo.

 

Queste sono quindi le sfide tecnologiche per realizzare la cosiddetta “fusione nucleare controllata”. Riuscire a intrappolare il plasma caldissimo dentro un impianto, scaldarlo fino al punto di innescare le reazioni di fusione, mantenerlo intrappolato e stabile abbastanza a lungo mentre i nuclei fondono e producono energia, convogliare la parte di plasma che sfugge all’intrappolamento in modo da concentrare il suo enorme calore in zone fortemente raffreddate, onde evitare di fondere la parete del contenitore, e raccogliere l’energia liberata dalla fusione per poi trasformarla in energia elettrica. Infine, per realizzare l’impianto servono materiali che possano resistere abbastanza a lungo al calore, alla radiazione del plasma e anche al bombardamento di neutroni, emessi dalla reazione di fusione, che non sono confinati dai magneti in quanto privi di carica elettrica e, possedendo una grande energia, possono degradare le prestazioni di metalli e plastiche. Sono passati quasi 60 anni dal primo progetto di un reattore nucleare a fusione: il Tokamak, acronimo russo che significa “camera toroidale a confinamento magnetico”. Da allora la competizione per realizzare il primo impianto in grado di produrre energia utilizzabile per scopi civili è stata serratissima (vd. fig. c). Da circa dieci anni l’Europa finanzia e supporta la costruzione dell’impianto Iter (International Thermonuclear Experimental Reactor), il più grande progetto al mondo dove testare la fusione nucleare controllata su tempi lunghi fino a un’ora. Il contenitore del plasma ha la forma di un’enorme camera a forma di anello, circondata da gigantesche bobine magnetiche per l’intrappolamento e dotata di una serie di impianti ausiliari per il suo riscaldamento. Uno di questi sistemi utilizza un fascio intenso e veloce di atomi di deuterio da iniettare nel plasma per riscaldarlo. Le prestazioni richieste sono superiori a quanto oggi ottenuto nei diversi laboratori e per questo si è reso necessario costruire un nuovo laboratorio, il Neutral Beam Test Facility a Padova. Infatti per produrre questi potenti fasci è necessario realizzare delle sorgenti particolarmente intense di ioni negativi (ovvero atomi o molecole caricate elettricamente per poterle accelerare), una tecnologia di punta portata avanti dall’Infn in diversi contesti.

 
c.
Un reattore a fusione è caratterizzato dal prodotto tra densità atomica, tempo di confinamento e temperatura (prodotto triplo). Un obiettivo di riferimento è il cosiddetto punto di pareggio (break-even), cioè quando l’energia utilizzata per scaldare il plasma è uguale all’energia prodotta dalla fusione. La figura mostra l’evoluzione nel tempo del prodotto triplo per alcuni impianti realizzati in vari Paesi. Si nota una crescita delle prestazioni simile p. es. a come si sono evoluti i microprocessori. I reattori a fusione sono di due tipi principali: i reattori “a confinamento magnetico” (i cerchi rossi in fig. c) e i reattori a fusione “inerziale” (cerchi blu). Nei primi il plasma viene riscaldato fino a decine o centinaia di milioni di gradi e confinato mediante campi magnetici. Nei secondi si utilizzano potentissimi laser o fasci di particelle per comprimere e riscaldare piccole sfere di combustibile in cui innescare la fusione. Il confronto qui riportato tra le due famiglie di impianti, che hanno caratteristiche molto diverse, è puramente indicativo. Inoltre, per il passaggio a impianti commerciali non basta il prodotto triplo, ma è richiesto un guadagno netto di energia per tempi sufficientemente lunghi.

 

Iter è una macchina sperimentale che punta innanzitutto a essere un “amplificatore” di energia, cioè a produrre più energia di quella che viene utilizzata per riscaldare e mantenere la fusione nel plasma. Inoltre, mentre il deuterio è abbondantemente presente nell’acqua, il trizio non è disponibile in natura e quindi deve venire prodotto artificialmente. L’ipotesi è quella di usare una reazione nucleare in cui i neutroni energetici prodotti dalla fusione stessa interagirebbero con del litio (relativamente abbondante in natura e presente in molte delle batterie che utilizziamo per computer, tablet e cellulari), producendo elio e trizio. Iter punta quindi anche a dimostrare che utilizzando questa tecnica l’impianto è in grado di autoprodurre il trizio necessario al suo funzionamento. Il primo plasma è atteso nel 2025, mentre il raggiungimento di condizioni di fusione con miscela di deuterio-trizio è previsto nel 2035. Oltre alla dimostrazione della capacità di produrre energia da fusione in grandi quantità vi è la necessità di sviluppare materiali in grado si sostenere l’elevato flusso neutronico. Ciò richiede ulteriori prove sui materiali. Per questo è in corso di realizzazione Ifmif (International Fusion Material Irradiation Facility), un laboratorio dove si riproducono le condizioni gravose determinate dalla fusione. A tale progetto l’Infn dà un importante contributo tecnico-scientifico con la realizzazione di una sorgente di neutroni molto intensa, basata su un potente acceleratore di nuclei di deuterio. Il passo successivo sarà la costruzione della prima centrale a fusione: Demo (Demonstrating fusion power reactor), in grado di produrre energia elettrica, prevista attorno alla metà di questo secolo. Si tratta certamente di una delle più grandi imprese dell’umanità, paragonabile per ambizione e complessità alla conquista dello spazio, con l’obiettivo di rendere disponibile una nuova fonte di energia pulita, sicura, praticamente inesauribile e libera da CO2.

 
d.
In figura è mostrato uno schema del futuro reattore sperimentale a fusione Iter all’interno del suo edificio in cemento. Al centro si intravede la struttura toroidale della camera a vuoto in cui viene confinato il plasma (illustrato con un colore violetto). Intorno e al centro del Tokamak sono situate le bobine che producono i campi magnetici necessari al funzionamento della macchina. Tutto intorno sono illustrate le strutture che costituiscono l’impianto nel suo insieme (sistemi di raffreddamento, alimentazioni elettriche, controlli, ecc.).

 

Biografia
Marco Ripani è ricercatore presso la sezione Infn di Genova e lavora da circa 25 anni nel campo della fisica nucleare con sonde elettromagnetiche. Dal 2012 dirige il progetto strategico “Infn Energia”, finalizzato a sviluppare applicazioni di tecnologie nucleari per la gestione dei rifiuti nucleari, la sicurezza e i futuri reattori a fissione e fusione. È membro di comitati internazionali di esperti all’interno dell’organizzazione europea Euratom.

 

Link
https://www.iter.org
https://www.euro-fusion.org/
https://www.euro-fusion.org/wpcms/wp-content/uploads/2013/01/JG12.356-web.pdf


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DOI: 10.23801/asimmetrie.2018.24.6
 

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