Il seguito della storia
Uno sguardo sulle prossime sfide della fisica
di Fernando Ferroni
Un inizio di secolo più felice per la fisica non potevamo proprio chiederlo! In particolare per quella fisica che studia le interazioni fondamentali e cerca di trovare gli elementi unificanti dell’estremamente piccolo, governato dalle leggi della meccanica quantistica, e dell’infinito universo, dove domina la gravità descritta dalla relatività generale. Il 2012 ci ha regalato il bosone di Higgs, osservato nel potentissimo acceleratore Lhc al Cern, e il 2016 le onde gravitazionali, rivelate dagli interferometri Ligo (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory). Entrambe le scoperte sono state il frutto del lavoro di grandi collaborazioni internazionali (Atlas e Cms al Cern, Ligo-Virgo per le onde gravitazionali), nelle quali grande e importante è la presenza italiana attraverso l’Infn e tanti altri giovani ricercatori prestati a prestigiosi istituti di ricerca esteri. Queste scoperte, che completano da un lato il modello standard delle particelle elementari e dall’altro la relatività generale, sono figlie del duro lavoro che attraversa diverse generazioni di fisici, di un impegno che ha portato a progressi tecnologici straordinari, ma soprattutto di una intelligenza collettiva che ha permesso negli ultimi cinquant’anni di seguire il cammino giusto. La sete di scoperte, però, non si placa mai, la voglia di conoscere il seguito della storia è un motore potentissimo e, proprio esaminando queste due scoperte fondamentali, ci accorgiamo che esse pongono più domande di quante risposte ci abbiano dato. Il bosone di Higgs giustifica la massa di tutto quello che nell’universo possiamo osservare, dalle galassie lontane alla polvere interstellare, dai pianeti all’essere umano, ma lascia senza spiegazione l’universo oscuro, quel 95% che non solo non vediamo ma che non abbiamo idea di cosa sia composto, a parte per avergli dato due nomi evocativi (ma nulla di più) come “materia oscura” ed “energia oscura”. La prima onda gravitazionale, rivelata il 14 settembre 2015 da straordinari interferometri, capaci di mettere in evidenza un effetto che avvicina la Terra al Sole di una lunghezza pari alla dimensione di un atomo, ci ha lasciato stupefatti. Lo scenario è quello di due buchi neri che spiraleggiano uno intorno all’altro e alla fine si uniscono in un abbraccio fatale che scuote con la sua violenza il tessuto stesso dell’universo. E pochi mesi dopo, il 26 dicembre, ne è arrivata una seconda. Si è aperta così una finestra nuova sulle complesse meraviglie che ancora ci sfuggono e che sono nascoste nell’immensità del cosmo.
a.
Un momento della conferenza stampa dell’annuncio della scoperta delle onde gravitazionali a Virgo (Cascina, vicino Pisa). Da sinistra, Federico Ferrini (direttore del consorzio Ego), Fulvio Ricci (spokesperson della collaborazione Virgo), Albert Lazzarini (Ligo), Catherine-Nary Man (direttrice di Artemis, Cnrs) e Adalberto Giazotto (co-fondatore di Virgo).
Abbiamo a disposizione strumenti di una perfezione mirabile e vogliamo utilizzarli a lungo e al meglio per ampliare le nostre capacità di scoperta, ma sappiamo già che non saranno sufficienti per darci le complesse risposte alle semplici domande che abbiamo di fronte agli occhi. Il bosone di Higgs dà massa a tutte le particelle con le quali interagisce, ma il valore di ciascuna di queste masse da cosa è determinato? Qual è la natura, che ancora ci sfugge, del super celebrato neutrino? L’universo è tanto meraviglioso da averci offerto persino la possibilità di esistere e di porci la domanda del perché, ma l’antimateria, che all’inizio era uguale in quantità alla materia, come mai è scomparsa? Che cosa è la materia oscura, che probabilmente è responsabile della formazione delle galassie? E l’energia oscura che determinerà l’evoluzione dell’universo, come si è comportata nel passato e come si comporterà nel futuro? Quanti oggetti misteriosi che non abbiamo ancora osservato ci sono nell’universo e cosa sono le sorgenti lontane che producono tutti quei messaggeri (fotoni, neutrini, particelle cariche, onde gravitazionali) che stiamo imparando a osservare attraverso i nostri laboratori in orbita, sugli altopiani, al suolo, sotto terra e persino nelle profondità marine? E infine, la domanda principe: come nasce l’universo e cosa è l’inflazione, che ha creato le condizioni per rendere l’universo un luogo cosi bello e ospitale? Come forse si è capito dal percorso che ci ha portato alle recenti scoperte, solo una visione scientifica di lungo periodo, accompagnata da progressi tecnologici necessari, può aiutarci a tentare di rispondere alle domande che la natura ci pone. Ed è questo il significato di “next”: un cammino che dobbiamo iniziare oggi e che, seguendo miglioramenti di cammini già percorsi o intraprendendo strade totalmente nuove, speriamo ci porti al successo. La grande macchina del Cern, Lhc, è stata un grande investimento finanziario e di risorse umane. Nell’aprile 2015 ha ripreso a funzionare con un’energia maggiore di quella che ha permesso la scoperta del bosone di Higgs. È fondamentale sfruttarla in tutte le sue potenzialità, vedere se ci offre la possibilità di guardare oltre il modello standard (vd.
Asimmetrie n. 18, ndr), poi prevedere un suo ulteriore miglioramento da mettere in opera nei primi anni del prossimo decennio e, infine, capire se sia possibile, grazie a magneti superconduttori di nuova generazione, aumentarne ancora l’energia (vd.
Una buona spinta, ndr). È un programma di venti anni di lavoro e … poi?
b.
L’esperimento Cms del Cern, che insieme all’esperimento Atlas il 4 luglio 2012 ha annunciato la scoperta del bosone di Higgs.
c.
Il fisico austriaco Bruno Touschek (il primo da sinistra), uno dei pionieri delle ricerche sugli acceleratori di particelle, nell’of cina “Magneti” dei Laboratori Infn di Frascati alla fine degli anni ’50. Touschek propose e poi diresse la costruzione dell’Anello di Accumulazione (Ada), nel quale per la prima volta circolarono insieme, per poi collidere frontalmente, un fascio di elettroni e uno delle loro antiparticelle, i positroni.
Per attaccare la frontiera di energia al di là di quello che si può realizzare in un tunnel di 27 km equipaggiato da magneti con un campo elevatissimo, la via da seguire potrebbe non essere quella di scavare tunnel più lunghi, né quella di cercare di produrre magneti più potenti. Serve un cambio di paradigma, come tra l’altro ci insegna la storia degli acceleratori. Poco prima della sua morte, all’inizio degli anni ’50 del secolo scorso, Enrico Fermi provocatoriamente disegnò un acceleratore che per raggiungere delle energie comparabili a quelle di Lhc avrebbe dovuto essere messo in orbita intorno all’equatore terrestre! Ma negli anni ’60, poi, Bruno Touschek rivoluzionò il modo di far scontrare le particelle con l’anello di accumulazione Ada, nei Laboratori di Frascati dell’Infn: invece di treno contro muro, treno contro treno! Ada è diventato così il nonno dei moderni acceleratori come Lhc (vd.
A tutta velocità, ndr). Oggi è arrivato il tempo di una nuova rivoluzione. L’accelerazione attraverso le onde di scia del plasma può imprimere spinte inimmaginabili con le tecniche ora impiegate. Si possono far guadagnare miliardi di elettronvolt (GeV) di energia in pochi millimetri, laddove con tecniche convenzionali servono cavità acceleranti di vari km! Lunga è la strada e non è neanche diritta, ma la dobbiamo percorrere se vogliamo gli acceleratori del futuro (vd.
Elettroni in scia, ndr). Nel mondo dei neutrini, poi, abbondano le domande che aspettano una risposta. Sappiamo che sono tre e che ciascuno di essi ha una massa minuscola ma non ne conosciamo l’ordinamento. Un gigantesco esperimento, che sfrutterà i neutrini prodotti da un insieme impressionante di reattori nucleari vicino a Hong Kong (di nome Juno, vd.
Gerarchie nascoste, ndr ), cercherà nei prossimi dieci anni di fare questa misura. Nel contempo, per capire se, come i quark, anche i neutrini violano la simmetria combinata di carica e parità (vd.
Specchi imperfetti, ndr), un gigantesco rivelatore verrà posto nelle profondità di una miniera in South Dakota e illuminato da un fascio proveniente dal Fermilab di Chicago (l’esperimento Dune).
La sfida estrema, però, è quella che cerca di risolvere il dilemma di Dirac-Majorana (vd.
Misteri sfuggenti, ndr). Dietro la sua soluzione si cela la possibile violazione di una quantità inviolata nella storia di questa scienza: il cosiddetto “numero leptonico”. Gli esperimenti di punta che cercano di osservare il decadimento doppio beta sono nei Laboratori del Gran Sasso e c’è un’intensa attività di ricerca e sviluppo per capire come aumentarne la sensibilità. I neutrini sono portatori di un’altra potenziale informazione cruciale per capire l’evoluzione dell’universo. Mentre i fotoni della radiazione cosmica di fondo delle microonde (Cmb) ci danno una foto presa 380.000 anni dopo il Big Bang, i neutrini ci fornirebbero quella presa dopo un secondo (vd. anche
Un secondo dopo, ndr)! Ma qui siamo veramente nel mondo dei sogni. Dovremmo sviluppare una quantità di tecnologia impressionante per arrivarci. Ma la difficoltà è il motore che ci motiva a superarla. In un altro campo, la ricerca della materia oscura, le risposte che cerchiamo prevedono un assalto concentrico a qualcosa di molto elusivo. Dal cielo, attraverso i satelliti che, misurando la radiazione cosmica di fondo, ci danno una mappa possibile della distribuzione di materia oscura che ha influenzato l’evoluzione delle galassie o dai satelliti che cercano gli eventuali prodotti di annichilazione di queste ipotetiche particelle; da Lhc, sperando che la temperatura ivi prodotta, quella che l’universo aveva frazioni di miliardesimo di secondo dopo il Big Bang, sia sufficiente a produrre questi oggetti; e, infine, dal silenzio cosmico dei laboratori sotterranei come il Gran Sasso. Se queste particelle sono così restie a interagire con la materia ordinaria, le loro rare manifestazioni richiedono grandissimi rivelatori capaci di separare con assoluta certezza quello che cerchiamo dagli effetti della radioattività naturale. Un grande progetto per equipaggiare un rivelatore di 20 tonnellate (e poi forse di molte di più) è in fase di studio. Si chiama Dark Side e coinvolge processi tecnologici mai affrontati sulla scala richiesta dalla fisica delle alte energie, come l’estrazione di argon da miniere profonde e la distillazione in torri alte come la torre Eiffel a temperature criogeniche in pozzi di miniere nel Sulcis, per eliminare il fatale isotopo argon-39 (vd.
Occhio alle Wimp!, ndr). Produzione su larga scala di occhi elettronici basati sul silicio in collaborazione pubblico-privato … materiali ultrapuri e poi vedremo!
d.
Un dettaglio dell’esperimento Dark Side nei Laboratori del Gran Sasso.
e.
Immagine artistica di Lisa Pathfinder nello spazio.
Ma allo stesso tempo bisogna seguire vie alternative che ci permettano di andare oltre. Per esempio, nel caso venisse identificata una particella di materia oscura, capire la direzione da cui proveniva. Facile a dirsi, ma il cammino sarà lungo e tortuoso. Per fortuna i fisici sono ostinati e molto pazienti. Lo studio dell’inflazione primordiale richiede un insieme di strumenti su palloni sonda (come il Large Scale Polarization Explorer) che orbitino al buio intorno a un polo terrestre, telescopi terrestri (ad esempio il Q&U Bolometric Interferometer for Cosmology) e nel futuro un satellite più potente di Planck. Difatti, i fotoni della radiazione cosmica di fondo delle microonde, quelli che ci danno la foto dell’universo quando aveva 380.000 anni di età, durante l’inflazione hanno subito un processo di polarizzazione di cui conservano la memoria. Proprio studiando questa polarizzazione fossile, un effetto sottilissimo, potremmo capire forse che tipo di inflazione c’è stata. Qui più che “next” per l’Infn si può anche dire “else”. Fino a ieri non lo facevamo, ora lo vogliamo fare, perché si tratta di questioni troppo importanti per essere evitate. E anche l’energia oscura è un nuovo campo di interesse dei ricercatori dell’ente. E per finire, il futuro delle onde gravitazionali. Ora che le abbiamo scoperte, vogliamo vedere tante sorgenti possibilmente diverse qualitativamente tra loro. Non solo buchi neri! Dovremo pensare a interferometri molto più sensibili a terra, per migliorare la sensibilità nella banda di frequenza dove essi già operano (sopra i 30 hertz), ma anche prevedere lo studio di fenomeni che siano molto più lenti. E per questo dovremo andare nello spazio, con interferometri che sfruttino satelliti in caduta libera posti a milioni di chilometri di distanza. Lisa Pathfinder, un orgoglio molto italiano, sta aprendo la strada a questo futuro. E poi ancora, se i neutrini in un esperimento di un qualche futuro ci offriranno la foto dell'universo all’età di un secondo e se potremo rivelare le onde gravitazionali emesse al tempo dell’inflazione, allora sì che penetreremo il mistero dell’inizio e dell’inflazione primordiale. Insomma, il futuro della ricerca in questo campo è in una combinazione appropriata di “next” ed “else”, guidata da una visione di lungo periodo e capace di sviluppare tecnologie adeguate alle necessità degli esperimenti. Poi, se ci fosse un nuovo Einstein che ci aiutasse a capire meglio cosa cercare, i tempi forse si accorcerebbero!
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