a.
La dipendenza dalla distanza r (rapportata a una scala di lunghezza fissa r0)La dipendenza dalla distanza r (rapportata a una scala di lunghezza fissa r0) dei potenziali coulombiano (in rosso) e di Yukawa (in verde) rappresentati in unità arbitrarie.
Le interazioni gravitazionali sono entrate prepotentemente nella scienza, da quando Newton, nel 1687, formula la sua famosa legge che stabilisce che l’attrazione tra due masse è proporzionale al loro prodotto e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. Circa un secolo dopo, Coulomb introduce una legge analoga per l’interazione tra due cariche elettriche, di nuovo proporzionale al loro prodotto e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza, che costituisce un primo passo verso l’interpretazione di tutte le interazioni elettromagnetiche. Come mai si deve invece attendere il ’900 perché appaiano sulla scena della scienza anche le interazioni deboli e le interazioni forti, o nucleari? La ragione è chiara: il diverso raggio d’azione (o “
range”) delle rispettive forze. Si usa dire che le interazioni gravitazionali ed elettromagnetiche hanno
range infinito mentre le interazioni nucleari e deboli hanno
range finito, oltre il quale gli effetti corrispondenti svaniscono rapidamente. Le caratteristiche delle interazioni elettromagnetiche possono essere descritte mediante un potenziale cosiddetto “coulombiano” inversamente proporzionale alla distanza dalla sorgente (vd. fig. a). Alle interazioni nucleari e deboli si può attribuire un potenziale analogo, corretto però con un termine che decresce esponenzialmente con la distanza e dipende da una lunghezza caratteristica
r0 che determina il
range dell’interazione (vd. fig. a). Tale potenziale è detto “di Yukawa”, dal nome dell’autore che lo introdusse nel contesto delle interazioni nucleari, il cui
range è circa cinque ordini di grandezza più piccolo del raggio tipico dell’atomo di idrogeno. A loro volta le interazioni nucleari hanno un
range circa mille volte più grande di quello delle interazioni deboli. Come vedremo, il
range è inversamente proporzionale alla massa della particella che media l’interazione corrispondente. Tralasciando le (debolissime) interazioni gravitazionali, che meritano un discorso a parte e sono comunque irrilevanti nel mondo delle particelle elementari, questa differenza fra le interazioni elettromagnetiche da una parte e le interazioni nucleari e deboli dall’altra appare in contrasto con la descrizione corrente delle interazioni fra i costituenti della materia contenuta nel modello standard. Nelle equazioni del modello standard (vd.
Tutto in una, ndr), i mediatori delle interazioni forti, elettromagnetiche e deboli, rispettivamente i gluoni, il fotone e i “bosoni intermedi”, W e Z, hanno una natura comune. Si tratta in ogni caso di particelle di spin 1, ossia di bosoni, che intervengono per dare alle simmetrie della teoria un carattere locale, cioè indipendente dalla posizione nello spaziotempo. Parliamo in particolare di un apparente contrasto, perché nelle equazioni fondamentali tutti questi bosoni sono egualmente privi di massa, mentre la massa dei mediatori è il fattore chiave nel determinare il
range delle interazioni. In effetti la differenza sta tutta nella diversa reazione al “vuoto” quantistico dei campi corrispondenti. Va da sé che il vuoto della teoria quantistica dei campi, cioè lo stato di minima energia, è assai diverso dal “vuoto” secondo il senso comune. Il vuoto della teoria quantistica dei campi pullula di coppie di particelle “virtuali” prodotte dalle interazioni con il campo stesso: per esempio coppie elettrone-positrone nel caso dell’elettrodinamica quantistica (vd. fig. b) oppure coppie quark-antiquark o gluone-gluone nel caso della cromodinamica quantistica (vd. fig. c). Si tratta di uno degli effetti più sorprendenti resi possibili dal principio di indeterminazione di Heisenberg. Il caso del campo elettromagnetico è illustrato nella fig. b: le coppie + - create spontaneamente dal vuoto si orientano in modo tale da “polarizzare” il vuoto stesso, come in un materiale dielettrico, tendendo a schermare la particella carica posta al centro della figura. Come conseguenza, aumentando la distanza, la carica corrispondente è progressivamente diminuita. Il fatto eclatante, scoperto teoricamente nel 1973, è che il vuoto intorno al campo dei quark, portatori di carica “colorata”, si comporta in modo opposto: il “colore” dei quark, o degli stessi gluoni, risulta crescere con la distanza
r. Con ciò, mentre un elettrone e un positrone, pur attraendosi, possono essere allontanati esercitando una forza di intensità decrescente con la distanza, altrettanto non è possibile per una coppia di quark-antiquark “colorati”. Allontanandosi fra loro, l’attrazione reciproca diventa così forte che risulta energicamente più conveniente strappare dal “vuoto” un’altra coppia quark-antiquark e spezzare la catena del potenziale di attrazione. La scala caratteristica a cui questo fenomeno avviene è detta scala di “confinamento” dentro gli “adroni”, tutti di colore complessivo nullo.
Ecco perché non si sono mai osservati quark liberi. O neppure gluoni liberi. Fra gli altri, il protone e il neutrone sono adroni, le cui masse sono dovute alla energia di confinamento e, come tali, inversamente proporzionali alla scala di confinamento. In un nucleo l’interazione fra protoni e neutroni è mediata dallo scambio di altri adroni, il più leggero dei quali, il pione (anche detto “mesone π”), dà luogo all’interazione forte di più lungo range. La massa del pione è circa 8 volte più piccola di quella del protone e il range del potenziale di Yukawa prodotto dallo scambio del pione è di circa un Fermi, cioè come si è detto, centomila volte più piccolo del raggio tipico di un atomo di idrogeno. Ci si chiederà: i bosoni W e Z non producono anch’essi coppie virtuali di particelle? Naturalmente sì, ma l’effetto che determina il range delle interazioni deboli, pur provenendo anche in questo caso dal vuoto, è di natura diversa e relativamente molto più intensa. Si tratta in questo caso del “campo di Higgs”, il cui stato di minima energia permea tutto lo spaziotempo di un condensato di particelle di Higgs. Come conseguenza tutte le particelle che interagiscono con il campo di Higgs acquistano una massa direttamente proporzionale al rispettivo accoppiamento. Fra tutti i mediatori di cui abbiamo parlato, solo il W e lo Z si accoppiano al campo di Higgs e dunque solo loro ricevono da questo fenomeno una massa, quasi cento volte più grande di quella del protone. Ecco perché le interazioni “deboli” sono tali. Confrontandole con le interazioni elettromagnetiche mediate dal fotone, gli accoppiamenti relativi, indicati con g e g’ in fig. a, sono del tutto comparabili. Quello che fa la differenza è la massa del W e dello Z, che interviene nel potenziale di Yukawa corrispondente e taglia drasticamente le interazioni deboli oltre una scala di circa un millesimo di Fermi. Dunque per la fisica nucleare o, a maggior ragione, per la fisica atomica, gli effetti delle interazioni deboli si possono pensare come interazioni di contatto, cioè a distanza relativa nulla fra le particelle, per esempio fra il protone e l’elettrone nell’atomo di idrogeno. In questo limite le interazioni deboli sono ben approssimate dalla teoria formulata da Fermi già nel 1934. Al contrario è sperimentando a distanze inferiori al range delle interazioni deboli, come si fa abitualmente al Large Hadron Collider del Cern, che si constata direttamente l’intensità comparabile delle interazioni deboli ed elettromagnetiche.