[as] traiettorie
Una vita tra i protoni.
di Eleonora Cossi
Marta Rovituso è una giovane ricercatrice del Trento Institute for Fundamental Physics and Applications (Tifpa), si occupa di protonterapia, radiobiologia e radioprotezione per lo spazio. È arrivata in questa cittadina circondata dalle Dolomiti partendo dalla Sicilia, dove è nata e dove si è laureata a Catania con una tesi svolta ai Laboratori Nazionali del Sud dell’Infn, passando per Darmstadt in Germania, dove ha conseguito il dottorato al prestigioso Gsi Helmholtz Centre for Heavy Ion Research. La sua tesi di dottorato, una ricerca sulla frammentazione nucleare degli ioni di elio in acqua per applicazioni nell’adroterapia, è stata premiata con
il premio Christoph Schmelzer 2016 e con il premio della Sif intitolato a Ettore Pancini. Lei ha scelto Trento, perché è un posto speciale. Qui infatti, nel 2013, è stato inaugurato il Tifpa, nato dalla sinergia e dalla collaborazione tra realtà di alto profilo già attive sul territorio, quali l’Infn, l’università di Trento, la Fondazione Fbk e l’agenzia per la salute della provincia di Trento, che unendo le forze hanno immaginato e poi concretizzato un centro di ricerca unico in Italia, che porta avanti ricerche di frontiera con un’alta connotazione tecnologica. “Da sempre il mio motore è stata la passione per la fisica e sentivo il bisogno di lavorare più sulle applicazioni.
Ho presto capito che il mio obiettivo era specializzarmi come fisica nucleare che lavora nel campo delle applicazioni alla medicina in un contesto di ricerca e non di clinica. Così ho studiato per il mio dottorato al Gsi, dove c’era una unità di ricerca specializzata in fisica nucleare sperimentale per applicazioni nucleari”, ci racconta Marta.
[as]: Oggi lavori nella sala sperimentale del centro di protonterapia di Trento. Come si svolge il tuo lavoro?
[Marta]: Lavoro nella divisione di fisica medica e in particolare mi occupo di protonterapia e di radioprotezione nello spazio, svolgendo esperimenti nella facility sperimentale seguita dal Tifpa all’interno del centro di protonterapia di Trento. Parte del mio lavoro è occuparmi della sala sperimentale, renderla sempre pronta a diversi tipi di esperimenti sia di radiobiologia che di fisica nucleare e fare da supporto agli utenti esterni che vengono a effettuare le campagne di misura. Il resto del tempo lo dedico a progetti di ricerca del nostro gruppo. Il supporto agli utenti esterni è sia di carattere pratico (disponibilità del fascio di protoni, supporto nella costruzione del setup sperimentale), che scientifico quando necessario. I turni di misura si svolgono sempre dopo le 19, una volta finiti i trattamenti dei pazienti. Il fascio di protoni si può utilizzare per diversi scopi: da esperimenti di danneggiamento elettronico a causa della radiazione, a misure di sezioni d’urto di processi nucleari, a misure di radiobiologia dove cellule di vario tipo vengono esposte alla radiazione.
[as]: Quali sono i progetti di ricerca di cui ti occupi?
[M]: Al momento mi occupo di trovare le proprietà del campo di radiazione, dopo che il fascio primario di protoni ha interagito con certi bersagli (target). Nell’ambito della protonterapia tale target è di solito l’acqua (che emula i tessuti umani), mentre per esperimenti di radioprotezione nello spazio si tratta di materiali di schermatura di vario tipo. I rivelatori che utilizzo per questi esperimenti mi permettono di identificare il tipo di particelle prodotte dalle interazioni nucleari e la loro energia cinetica. Una misura particolarmente interessante per fare caratterizzazioni di tipo fisico con un collegamento diretto alla biologia è la “microdosimetria”. Lo strumento che utilizziamo è un rivelatore sferico con una parete in tessuto plastico, al cui interno è presente una miscela specifica di gas, la cui densità riproduce le dimensioni di una cellula di qualche micron. È uno strumento molto potente perché permette di capire quale sia la dose depositata in volumi della dimensione della cellula e quindi quanto venga danneggiata la cellula. Questo tipo di rivelatore può essere utilizzato anche per caratterizzare materiali schermanti da utilizzare nelle navicelle spaziali per proteggere gli astronauti dalla radiazione cosmica. Nella nostra sala sperimentale possiamo studiare il “potere” attenuante di schermi sia conosciuti che innovativi, caratterizzandone anche il campo di radiazione prodotto.
[as]: Progetti per il futuro?
[M]: Il dottorato è stato una grande motivazione. Poi cresci un po’ e le cose cambiano e tu cambi prospettiva. Cerchi un posto per avere un futuro, una casa, e invece la ricerca ti spinge sempre a cambiare. Sono fortunata, perché il gruppo di ricerca in cui lavoro è un po’ come una famiglia e la sala sperimentale è un grande stimolo e uno strumento per venire a contatto con diversi gruppi italiani e stranieri che portano avanti diversi progetti. Inoltre l’ambiente in cui si colloca la sala è multidisciplinare, a contatto con fisici medici, ingegneri biomedici e i medici stessi, che ti danno sempre una prospettiva più ampia del lavoro di ricerca che svolgiamo. Mi sta interessando moltissimo lo spazio, studiare gli effetti della radiazione e trovare nuovi materiali per proteggere gli astronauti durante le loro lunghe missioni spaziali, ad esempio per andare su Marte. Lavorare a un progetto che apporti una grande innovazione in questo settore mi stimolerebbe molto, perché la radiazione cosmica rappresenta un serio problema per le missioni spaziali. Mi piacerebbe riuscire a sviluppare un rivelatore che permetta di fare tante misure insieme e dare quante più informazioni possibili in modo semplice, così da poterlo sfruttare sia nell’adroterapia sia nelle applicazioni spaziali, magari portandolo addirittura sulla stazione spaziale internazionale!
il premio Christoph Schmelzer 2016 e con il premio della Sif intitolato a Ettore Pancini. Lei ha scelto Trento, perché è un posto speciale. Qui infatti, nel 2013, è stato inaugurato il Tifpa, nato dalla sinergia e dalla collaborazione tra realtà di alto profilo già attive sul territorio, quali l’Infn, l’università di Trento, la Fondazione Fbk e l’agenzia per la salute della provincia di Trento, che unendo le forze hanno immaginato e poi concretizzato un centro di ricerca unico in Italia, che porta avanti ricerche di frontiera con un’alta connotazione tecnologica. “Da sempre il mio motore è stata la passione per la fisica e sentivo il bisogno di lavorare più sulle applicazioni.
Ho presto capito che il mio obiettivo era specializzarmi come fisica nucleare che lavora nel campo delle applicazioni alla medicina in un contesto di ricerca e non di clinica. Così ho studiato per il mio dottorato al Gsi, dove c’era una unità di ricerca specializzata in fisica nucleare sperimentale per applicazioni nucleari”, ci racconta Marta.
[as]: Oggi lavori nella sala sperimentale del centro di protonterapia di Trento. Come si svolge il tuo lavoro?
[Marta]: Lavoro nella divisione di fisica medica e in particolare mi occupo di protonterapia e di radioprotezione nello spazio, svolgendo esperimenti nella facility sperimentale seguita dal Tifpa all’interno del centro di protonterapia di Trento. Parte del mio lavoro è occuparmi della sala sperimentale, renderla sempre pronta a diversi tipi di esperimenti sia di radiobiologia che di fisica nucleare e fare da supporto agli utenti esterni che vengono a effettuare le campagne di misura. Il resto del tempo lo dedico a progetti di ricerca del nostro gruppo. Il supporto agli utenti esterni è sia di carattere pratico (disponibilità del fascio di protoni, supporto nella costruzione del setup sperimentale), che scientifico quando necessario. I turni di misura si svolgono sempre dopo le 19, una volta finiti i trattamenti dei pazienti. Il fascio di protoni si può utilizzare per diversi scopi: da esperimenti di danneggiamento elettronico a causa della radiazione, a misure di sezioni d’urto di processi nucleari, a misure di radiobiologia dove cellule di vario tipo vengono esposte alla radiazione.
[as]: Quali sono i progetti di ricerca di cui ti occupi?
[M]: Al momento mi occupo di trovare le proprietà del campo di radiazione, dopo che il fascio primario di protoni ha interagito con certi bersagli (target). Nell’ambito della protonterapia tale target è di solito l’acqua (che emula i tessuti umani), mentre per esperimenti di radioprotezione nello spazio si tratta di materiali di schermatura di vario tipo. I rivelatori che utilizzo per questi esperimenti mi permettono di identificare il tipo di particelle prodotte dalle interazioni nucleari e la loro energia cinetica. Una misura particolarmente interessante per fare caratterizzazioni di tipo fisico con un collegamento diretto alla biologia è la “microdosimetria”. Lo strumento che utilizziamo è un rivelatore sferico con una parete in tessuto plastico, al cui interno è presente una miscela specifica di gas, la cui densità riproduce le dimensioni di una cellula di qualche micron. È uno strumento molto potente perché permette di capire quale sia la dose depositata in volumi della dimensione della cellula e quindi quanto venga danneggiata la cellula. Questo tipo di rivelatore può essere utilizzato anche per caratterizzare materiali schermanti da utilizzare nelle navicelle spaziali per proteggere gli astronauti dalla radiazione cosmica. Nella nostra sala sperimentale possiamo studiare il “potere” attenuante di schermi sia conosciuti che innovativi, caratterizzandone anche il campo di radiazione prodotto.
[as]: Progetti per il futuro?
[M]: Il dottorato è stato una grande motivazione. Poi cresci un po’ e le cose cambiano e tu cambi prospettiva. Cerchi un posto per avere un futuro, una casa, e invece la ricerca ti spinge sempre a cambiare. Sono fortunata, perché il gruppo di ricerca in cui lavoro è un po’ come una famiglia e la sala sperimentale è un grande stimolo e uno strumento per venire a contatto con diversi gruppi italiani e stranieri che portano avanti diversi progetti. Inoltre l’ambiente in cui si colloca la sala è multidisciplinare, a contatto con fisici medici, ingegneri biomedici e i medici stessi, che ti danno sempre una prospettiva più ampia del lavoro di ricerca che svolgiamo. Mi sta interessando moltissimo lo spazio, studiare gli effetti della radiazione e trovare nuovi materiali per proteggere gli astronauti durante le loro lunghe missioni spaziali, ad esempio per andare su Marte. Lavorare a un progetto che apporti una grande innovazione in questo settore mi stimolerebbe molto, perché la radiazione cosmica rappresenta un serio problema per le missioni spaziali. Mi piacerebbe riuscire a sviluppare un rivelatore che permetta di fare tante misure insieme e dare quante più informazioni possibili in modo semplice, così da poterlo sfruttare sia nell’adroterapia sia nelle applicazioni spaziali, magari portandolo addirittura sulla stazione spaziale internazionale!
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