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Fritz Zwicky, astronomo svizzero, propose per primo l’esistenza della materia oscura.
Nonostante la fisica moderna, e in particolare la teoria che ne descrive il comportamento a livello microscopico, il modello standard delle interazioni, sia riuscita a spiegare con sorprendente precisione tutti i risultati sperimentali ottenuti in laboratorio fino ad oggi, la nostra conoscenza dell’universo che ci circonda è in realtà estremamente limitata. Il primo ad accorgersene fu l’astronomo F. Zwicky, che nel 1933, osservando l’ammasso della Chioma di Berenice, notò che le sue velocità di movimento interne non erano compatibili con la massa visibile nell’ammasso. Concluse che doveva esistere una grandissima quantità di massa che non poteva essere vista dal suo telescopio (perché non emetteva radiazione) ma che teneva insieme l’ammasso, che chiamò materia oscura (in inglese, “
dark matter”). Da allora abbiamo accumulato moltissime osservazioni e prove a supporto dell’esistenza della materia oscura (vd. ad esempio
Asimmetrie n. 4, ndr) e ci siamo convinti che essa costituisca circa il 27% del contenuto dell’universo. Sembra poco, vero? Il problema è che la materia che costituisce tutte le galassie e le stelle che osserviamo costituisce soltanto il 5% dell’universo. E che cos’è tutto il resto? Energia, una quantità enorme di energia, la “
dark energy”, energia oscura, di cui sappiamo ancora meno, che però “serve” alle teorie per spiegare l’evoluzione dell’universo. Ma non tutti la pensano allo stesso modo e ci sono quelli che non credono all’esistenza della materia oscura. Il fisico M. Milgrom propose negli anni ’80 che l’effetto osservato da Zwicky fosse dovuto soltanto al fatto che la teoria della gravitazione di Newton ed Einstein andasse “corretta”. Nascevano così le cosiddette “teorie Mond” (
Modified Newtonian Dynamics), capaci di spiegare la rotazione delle galassie. Ma proprio quest’anno un’osservazione ha messo in seria crisi le basi di Mond. Un gruppo di astrofisici dell’Università di Yale ha osservato una galassia (la NGC 1052-DF2) che sembrerebbe formata esclusivamente da materia ordinaria. Curiosamente, l’osservazione della possibile assenza di materia oscura in questa galassia è la prova più importante della sua esistenza. Infatti, se l’ “effetto materia oscura” fosse dovuto a una modifica della teoria della gravitazione, non sarebbe possibile osservare galassie con una dinamica puramente newtoniana, come sembra essere la NGC 1052-DF2. Ora ci siamo convinti che esiste: ma allora com’è fatta? Come interagisce? E come possiamo trovarla? A tutte queste domande i fisici hanno cercato una risposta per decenni. Si convinsero subito che non poteva avere interazione elettromagnetica, altrimenti, interagendo con i fotoni, sarebbe stata visibile e non oscura. L’interazione forte era troppo “forte” e le particelle di materia oscura sarebbero state facilmente osservate tramite i loro urti con la materia ordinaria. Ma certo, i neutrini! No, purtroppo erano troppo leggeri. Ma particelle pesanti con un’interazione molto debole (come quella di Fermi, vd.
Il potere della mediazione, ndr), quelle sì che avrebbero potuto risolvere il problema senza sconvolgere la nostra comprensione del mondo microscopico. Se la nostra galassia è così piena di materia oscura, queste particelle debbono arrivare anche sulla terra, e allora possiamo provare a rivelarle. La caccia alle cosiddette Wimp (
weakly interacting massive particles) ha coinvolto negli ultimi 30 anni molti laboratori nel mondo, tra i quali i Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Infn hanno avuto un ruolo di primo piano. Numerosissimi esperimenti hanno dato la caccia a questo sfuggente candidato di materia oscura crescendo in dimensioni e sensibilità, senza fino ad oggi produrre nessuna solida evidenza della sua esistenza e spingendo le Wimp verso sempre più piccoli accoppiamenti con la materia ordinaria. Le Wimp sono anche naturali prodotti di una delle più floride estensioni del modello standard, nota come teoria supersimmetrica (vd.
Il mondo con la esse davanti, ndr). Tale teoria prevede la possibilità di produrle utilizzando acceleratori, ma la loro alta massa ci costringe a costruirne di altissima energia. Una delle missioni primarie dell’acceleratore Lhc e dei suoi quattro esperimenti è proprio quella di cercare di produrre delle Wimp dalle collisioni dei suoi protoni ad altissima energia. Purtroppo nella prima fase della sua presa dati, Lhc non ha osservato delle Wimp, ma grandi speranze sono ancora riposte nello studio dei dati che saranno raccolti nei prossimi anni. Il momentaneo insuccesso di questi tentativi ha spinto i ricercatori verso nuove linee di pensiero che superassero il paradigma delle Wimp. Negli ultimi anni un crescente interesse si è addensato attorno alle teorie dette di “settori oscuri” (
dark o
secluded sectors). In questa classe di modelli si ipotizza che la materia oscura sia totalmente disaccoppiata dal modello standard e che esista in un settore nascosto, la cui complessità è ignota e oggetto di speculazioni. Il settore oscuro potrebbe possedere una o più nuove forze, e una o molte nuove particelle, ma nessuna di esse sarebbe capace di interagire con quelle della materia ordinaria. Nella versione più semplice di tali modelli, esisterebbe una sola particella, detta “mediatore” anche in questo caso, capace di interagire sia con le particelle del settore oscuro che con quelle della materia ordinaria tramite un’interazione detta “portale”. Le interazioni portale possono essere di diverso tipo: “vettoriale”, “scalare”, “pseudo-scalare”, e da esse derivano diversi mediatori, il “fotone oscuro” (
dark photon), il “
dark Higgs” e l’assione.
Il fotone oscuro è divenuto particolarmente popolare a causa della sua particolare affinità con la materia ordinaria. Infatti, possiederebbe un’interazione (“quinta forza” o “forza oscura”) del tutto simile all’interazione elettromagnetica, soltanto debole abbastanza da nasconderlo alla nostra vista, cioè a renderlo oscuro, e a differenza del fotone ordinario avrebbe una piccola massa. Il fotone oscuro allora si potrebbe nascondere tra i fotoni ordinari (i fisici lo chiamano il fenomeno di “mixing cinetico”) e solo uno sguardo molto attento ne potrebbe scorgere l’esistenza, il che spiegherebbe perché ci è sfuggito fino ad oggi. Ma come ci apparirebbe questo “messaggero oscuro”? Non lo sappiamo per certo, dipende da cosa contiene il settore oscuro. Se, come pensano i fisici ispirati dal modello delle Wimp, fosse la più leggera delle particelle del settore oscuro, allora dovremmo vederlo apparire dai suoi decadimenti in particelle di materia ordinaria, per esempio coppie elettrone-positrone, i cosiddetti decadimenti visibili. Più intrigante è l’opinione secondo cui il settore oscuro contenga numerose nuove particelle tra cui almeno una più leggera del fotone oscuro. In questo scenario il fotone oscuro decadrebbe in materia oscura, rimanendo invisibile, e allora sì che sarebbe una sfida trovarlo! Per non sbagliare i fisici si sono mossi in entrambe le direzioni, preparando esperimenti per stanarlo ovunque si nasconda. Gli americani sono in prima linea in questa ricerca, ma anche l’Italia ha un ruolo importante con partecipazioni agli esperimenti al Jefferson Laboratory (a Hps e Bdx) e con l’impegno in prima linea dei Laboratori Nazionali di Frascati, prima con Kloe, che ha concluso la sua campagna di presa dati a fine aprile, e ora con Padme, un nuovo esperimento per la ricerca in decadimenti invisibili. Ma potrebbe già essere troppo tardi! In un piccolo laboratorio di fisica nucleare ungherese, infatti, potrebbe essere stato osservato il primo “barlume oscuro”. I fisici di Debrecen hanno osservato un’anomala abbondanza di decadimenti in elettrone-positrone nei nuclei di berillio 8, che hanno proprio le caratteristiche necessarie per derivare da un fotone oscuro leggero. Padme e gli altri esperimenti sono già sulle sue tracce.