[as] radici
Muoni sotto le bombe.
di Giovanni Battimelli
storico della fisica
Marcello Conversi e Oreste Piccioni nello scantinato del liceo Virgilio. Il luogo fu scelto anche per la sua vicinanza al Vaticano, che gli alleati non avrebbero mai osato bombardare.
Nell’ipotesi che il mesotrone fosse la particella di Yukawa la teoria sviluppata da Sin-Itiro Tomonaga e Gentaro Araki prevedeva un ben definito comportamento dei mesoni dei raggi cosmici in presenza di un materiale assorbente. In particolare, si sarebbe dovuta registrare una netta differenza tra mesoni positivi e negativi: i primi non avrebbero potuto interagire con i nuclei a causa della repulsione elettrostatica, e avrebbero quindi dovuto decadere nell’assorbitore, mentre i secondi avrebbero dovuto subire il processo di cattura nucleare senza avere il tempo di decadere spontaneamente. Ma i risultati ottenuti dai fisici di Roma mostravano che i mesoni a fine percorso non si comportavano affatto secondo queste previsioni. La collaborazione tra i tre fisici era cominciata nei primi anni della guerra, con la messa a punto della strumentazione necessaria per lo studio della vita media del mesotrone, in particolare l’elettronica veloce e i circuiti di coincidenza. Dopo il bombardamento di San Lorenzo del luglio 1943, che aveva coinvolto gli edifici della nuova città universitaria, tutta l’apparecchiatura fu trasportata negli scantinati del liceo Virgilio nei pressi del Vaticano. Qui la misura della vita media fu effettuata da Conversi e Piccioni (Pancini si era spostato al nord dopo l’8 settembre, combattendo come comandante di una formazione partigiana in Veneto), durante i mesi dell’occupazione tedesca di Roma, nell’inverno 1943-1944, ottenendo un risultato comparabile con quello che negli stessi mesi avevano ottenuto Rossi e Nereson negli Stati Uniti. I due passarono quindi allo studio del comportamento dei mesoni arrestati in un assorbitore di ferro, e i risultati ottenuti in questo secondo esperimento sembravano in pieno accordo con le previsioni teoriche: la metà circa dei mesoni in arrivo dava segno di prodotti di decadimento. Una prova più convincente di questo effetto fu ottenuta in un terzo esperimento, condotto nel 1945 dopo la liberazione, in rinnovata collaborazione con Pancini, in cui furono utilizzate delle lenti magnetiche per selezionare i mesoni in funzione della carica e studiare separatamente il comportamento delle particelle positive e negative. L’evidenza confermava nettamente le previsioni di Tomonaga e Araki: i mesoni positivi decadevano, i negativi erano “mangiati” dai nuclei.
Per studiare il meccanismo di cattura nucleare dei mesoni negativi, che secondo le incerte previsioni dei teorici avrebbe potuto dare luogo all’emissione di radiazione gamma, i tre decisero di ripetere l’esperimento usando come assorbitore, anziché il ferro, un materiale più leggero, come il carbonio, trasparente a questa radiazione. E qui registrarono il dato completamente inatteso: nel carbonio non si evidenziava alcuna differenza tra mesoni di diversa carica, tutti decadevano allo stesso modo senza che i negativi mostrassero sensibili tracce di cattura nucleare. Il risultato fu comunicato per lettera ad Edoardo Amaldi, in visita negli Stati Uniti nella seconda metà del 1946. Per suo tramite raggiunse i fisici americani ancora prima della pubblicazione sulla Physical Review, e ne seguì un’immediata reazione di nuove ipotesi teoriche e ricerche sperimentali. Fermi, Teller e Weisskopf provarono che l’anomalo comportamento dei mesoni negativi nel carbonio non poteva essere spiegato in alcun modo se si manteneva l’ipotesi che si trattasse della particella di Yukawa, perché il calcolo del tempo di cattura nucleare mostrava che questo avrebbe dovuto essere più breve della vita media del mesone di qualcosa come dodici ordini di grandezza. Bethe e Marshak formularono la teoria a due componenti del mesone, secondo cui i mesotroni osservati a livello del mare, quelli dell’esperimento di Roma, sarebbero i prodotti secondari, non soggetti all’interazione forte, del decadimento di un altro tipo di mesoni primari, da rintracciare negli strati alti dell’atmosfera. Queste sarebbero state le “vere” particelle previste da Yukawa, chiamate poi mesoni-π o pioni. E, puntualmente, le tracce di queste particelle furono subito individuate in emulsioni nucleari esposte in quota da Perkins, e da Occhialini e Powell. Ma l’interrogativo aperto era soprattutto quello relativo alla natura del mesone secondario (denominato in seguito mesone-µ, o muone), e alla sua collocazione nella gerarchia dei costituenti elementari, in cui non sembrava esserci più posto né giustificazione per un oggetto simile. L’esperimento di Conversi, Pancini e Piccioni dava inizio in tal modo a una fase completamente nuova della ricerca in fisica fondamentale, aprendo la strada allo studio delle proprietà delle particelle come il muone che oggi chiamiamo leptoni e alla comprensione dell’universalità delle interazioni deboli.
Le lastre magnetiche originali utilizzate da Conversi, Pancini e Piccioni per il loro esperimento, conservate al Museo del Dipartimento di Fisica della Sapienza, a Roma.
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