[as] intersezioni
Passato presente futuro.
di Mauro Dorato
filosofo della scienza
La riflessione sul tempo è un capitolo fondamentale della filosofia e della scienza contemporanee. Non è esagerato ritenere che tutti i problemi filosofici e scientifici più importanti si intreccino oggi con il problema del tempo. Quest’ultimo non solo gioca un ruolo centrale nella descrizione del mondo esterno, ma è anche qualcosa di cui siamo direttamente coscienti, e ha quindi a che fare con la nostra identità personale. I due più grandi problemi aperti della scienza contemporanea, ovvero l’unificazione della meccanica quantistica e della relatività generale da una parte (vd. Time out, ndr) e la comprensione dell’origine del pensiero cosciente a partire dal cervello dall’altra, infatti, chiamano in causa, sebbene in modo assai diverso, proprio il tempo. Nella sua Nuova Confutazione del Tempo Borges scrive
Il fatto che Borges insista sulla natura personale del tempo (“noi” siamo il tempo) allude forse al fatto che il tempo (insieme allo spazio) è una forma soggettiva innata con la quale gli esseri umani esperiscono il mondo esterno e interno, come sostenuto da Kant nella sua Critica della Ragion Pura. Infatti, per Kant, il tempo ha una realtà empirica, perché è la condizione necessaria affinché si abbia percezione di alcunché di esterno o interno, ma non esiste in sé, ovvero indipendentemente da noi. Ovvero, non esiste nel mondo considerato in sé (è “ideale” da un punto di vista trascendentale). In più, come afferma la citazione di Borges, il tempo dal punto di vista dell’esperienza è la sostanza di cui siamo fatti, ma una “sostanza” che sembra consumarsi costantemente proprio come una fiamma, che vive grazie alla sua distruzione. Questa metafora poetica introduce in modo naturale uno dei problemi principali della filosofia del tempo, che coinvolge la natura del momento presente e il suo continuo passaggio. Il momento presente è fondamentale nella nostra esperienza, ma dal punto di vista della fisica, newtoniana o einsteiniana che sia, non esiste. Scrive Carnap nella sua autobiografia, nella quale racconta del suo incontro con Einstein a Princeton: “Il problema del presente lo preoccupava seriamente. Una volta Einstein disse che l’esperienza del presente significa qualcosa di speciale per l’uomo, qualcosa di essenzialmente diverso dal passato e dal futuro, ma che questa importante differenza non ha luogo e non può averne nella fisica”. Non c’è dubbio che con la relatività della simultaneità sia diventato ancor più difficile attribuire una qualche oggettività al divenire temporale e all’esistenza di una differenza radicale tra passato cosmico, presente cosmico e futuro cosmico. Le differenze in questione, come accade con la relazione di successione temporale, diventano puramente locali, nel senso che hanno oggettività solo per eventi relativi a singole linee di universo, legati tra loro da rapporti causali invarianti, perché collegabili da segnali che viaggiano a velocità inferiori a quella della luce. Risulta quindi difficile sostenere che l’“esser presente” sia una proprietà intrinseca degli eventi (e quindi sia del tutto indipendente dalla nostra coscienza) e che sia acquisita via via da eventi temporalmente successivi. Invece sembra assai più plausibile sostenere che tale proprietà dipenda − come la fisica relativistica integrata da alcuni dati neurocognitivi e da importanti teorie filosofiche contemporanee suggeriscono – dalla prospettiva di agenti dotati di strutture percettive e cognitive simili alle nostre.
Il tempo è la sostanza di cui sono fatto.
Il tempo è un fiume che mi trascina, ma io sono il fiume;
è una tigre che mi divora, ma io sono la tigre;
è un fuoco che mi consuma, ma io sono il fuoco.
Il tempo è un fiume che mi trascina, ma io sono il fiume;
è una tigre che mi divora, ma io sono la tigre;
è un fuoco che mi consuma, ma io sono il fuoco.
Il fatto che Borges insista sulla natura personale del tempo (“noi” siamo il tempo) allude forse al fatto che il tempo (insieme allo spazio) è una forma soggettiva innata con la quale gli esseri umani esperiscono il mondo esterno e interno, come sostenuto da Kant nella sua Critica della Ragion Pura. Infatti, per Kant, il tempo ha una realtà empirica, perché è la condizione necessaria affinché si abbia percezione di alcunché di esterno o interno, ma non esiste in sé, ovvero indipendentemente da noi. Ovvero, non esiste nel mondo considerato in sé (è “ideale” da un punto di vista trascendentale). In più, come afferma la citazione di Borges, il tempo dal punto di vista dell’esperienza è la sostanza di cui siamo fatti, ma una “sostanza” che sembra consumarsi costantemente proprio come una fiamma, che vive grazie alla sua distruzione. Questa metafora poetica introduce in modo naturale uno dei problemi principali della filosofia del tempo, che coinvolge la natura del momento presente e il suo continuo passaggio. Il momento presente è fondamentale nella nostra esperienza, ma dal punto di vista della fisica, newtoniana o einsteiniana che sia, non esiste. Scrive Carnap nella sua autobiografia, nella quale racconta del suo incontro con Einstein a Princeton: “Il problema del presente lo preoccupava seriamente. Una volta Einstein disse che l’esperienza del presente significa qualcosa di speciale per l’uomo, qualcosa di essenzialmente diverso dal passato e dal futuro, ma che questa importante differenza non ha luogo e non può averne nella fisica”. Non c’è dubbio che con la relatività della simultaneità sia diventato ancor più difficile attribuire una qualche oggettività al divenire temporale e all’esistenza di una differenza radicale tra passato cosmico, presente cosmico e futuro cosmico. Le differenze in questione, come accade con la relazione di successione temporale, diventano puramente locali, nel senso che hanno oggettività solo per eventi relativi a singole linee di universo, legati tra loro da rapporti causali invarianti, perché collegabili da segnali che viaggiano a velocità inferiori a quella della luce. Risulta quindi difficile sostenere che l’“esser presente” sia una proprietà intrinseca degli eventi (e quindi sia del tutto indipendente dalla nostra coscienza) e che sia acquisita via via da eventi temporalmente successivi. Invece sembra assai più plausibile sostenere che tale proprietà dipenda − come la fisica relativistica integrata da alcuni dati neurocognitivi e da importanti teorie filosofiche contemporanee suggeriscono – dalla prospettiva di agenti dotati di strutture percettive e cognitive simili alle nostre.
Questa conclusione è di importanza non solo teorica, ma anche pratica: noi viviamo e facciamo esperienza del mondo solo nel momento presente ed è solo con la memoria e con l’anticipazione (che sono tuttavia atti psicologici che avvengono nel momento presente) che ci spingiamo mentalmente al di là di quel che, momento per momento, facciamo. Queste capacità di “viaggiare nel tempo” sono tipiche degli esseri umani. Non è un caso che le grandi filosofie ellenistiche e le religioni orientali ci hanno sempre esortato a concentrarci esclusivamente sul momento presente, perché le nostre vite si dispiegano solo nel presente: perché tormentarci per un passato che non esiste più e consumarci con l’ansia per un futuro che non esiste ancora, se solo il presente esiste? I metafisici contemporanei hanno tradotto questo atteggiamento pratico elaborando la cosiddetta metafisica presentista, una posizione teorica che ritiene che esista solo ciò che esiste nel presente, posizione che essi hanno difeso con ragioni del tutto indipendenti dalle loro conseguenze pratiche. Ma se la fisica relativistica ci insegna che, come sosteneva Einstein, passato, presente e futuro esistono tutti allo stesso modo, diviene necessario non solo concentrare la nostra attenzione sul momento presente, ma anche comprendere che quest’ultimo è solo un minuscolo anello inserito in una catena cosmica di cui facciamo par te. Dobbiamo allora accogliere nella nostra mente in modo equanime tutte e tre le determinazioni del tempo: passato, presente e futuro e cercare di guardare all’universo, come suggeriva Spinoza, sub specie aeternitatis (“sotto l’aspetto dell’eternità”, ndr). La filosofia è un sapere insieme teorico e pratico, ed è forse proprio questa inscindibile unione l’eredità più preziosa che il pensiero greco ci ha lasciato.
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