Sul tetto del mondo
La collaborazione italo-cinese di Argo studia sull'altipiano del Tibet i raggi cosmici di alta energia.
di Benedetto D'Ettorre Piazzoli e Giuseppe Di Sciascio
La parola Argo riporta alla memoria storia e miti dell'antica Grecia. Argo era il nome del cane di Ulisse, di varie città greche e il nome della nave di Giasone che trasportò gli Argonauti alla conquista del Vello d'Oro nella misteriosa Colchide. E Argo era anche il nome di un mostro dai cento (o mille, a seconda delle tradizioni) occhi, mai tutti contemporaneamente dormienti.
È a questo antico mito che si ispira il rivelatore di radiazione cosmica Argo, installato sull'altopiano tibetano, vicino al villaggio di YangBaJing a 4.300 m di altitudine. È infatti costituito da 18.500 "occhi" (tanti sono i suoi elementi sensibili), i quali consentono di rivelare gli sciami di particelle che si sviluppano nell'atmosfera terrestre quando una particella della radiazione cosmica primaria colpisce la Terra. A seguito dell'urto con un atomo dell'atmosfera si sviluppa, in un processo moltiplicativo a cascata, un cosiddetto sciame atmosferico esteso le cui particelle (essenzialmente elettroni, positroni, muoni e fotoni) vanno a costituire una sorta di disco parabolico, spesso qualche metro e con un diametro di circa 100-150 metri, che viene "fotografato" dagli occhi di Argo.
In virtù della rotazione terrestre il rivelatore può esplorare con continuità quasi tutta la volta celeste dell'emisfero Nord.
L’edificio che ospita i moduli dei rivelatori di Argo, a oltre 4.000 metri di altitudine sull’altopiano del Tibet. Qui, dove le condizioni ambientali sono estreme, ricercatori italiani dell’Infn collaborano con i colleghi cinesi all’esperimento dedicato allo studio dei raggi cosmici.
A quasi un secolo dalla loro scoperta, i raggi cosmici continuano a sorprendere i ricercatori mostrando caratteristiche inattese. Nonostante gli enormi progressi nella costruzione di sempre più sofisticati rivelatori e nello sviluppo di complesse tecniche di analisi, le domande cruciali sulla loro origine restano senza una sicura risposta. In particolare, non sono stati ancora identificati con certezza gli oggetti astrofisici che li producono, né ben compresi i loro meccanismi di accelerazione e propagazione nella nostra galassia. Uno dei motivi principali di questa difficoltà è dovuta al fatto che i raggi cosmici carichi vengono deviati dai campi magnetici galattici perdendo ogni memoria della direzione di provenienza. Quindi, come è stato sperimentalmente verificato, ci si aspetta che il flusso di raggi cosmici anche di altissima energia (cioè dell'ordine di centinaia di TeV) osservato a terra sia altamente isotropo, non consentendo l'identificazione di alcuna sorgente della radiazione.
Un modo per individuare i siti di produzione della radiazione cosmica è pertanto quello di rivelare l'emissione di fotoni di alta energia (astronomia gamma). Queste particelle, prodotte assieme ai raggi cosmici carichi nelle complesse interazioni che avvengono in prossimità delle sorgenti non vengono deviate dai campi magnetici, poiché elettricamente neutre, e conservano così intatte fino a noi le informazioni sulla direzione di provenienza. Quindi, uno dei principali obiettivi dell'astronomia gamma di alta energia è proprio l'individuazione dei siti di produzione dei raggi cosmici.
Argo è un rivelatore multiruolo con l'ambizione di affrontare il problema nei suoi molteplici aspetti, sia studiando la radiazione cosmica, sia monitorando con continuità quasi tutto il cielo dell'emisfero Nord alla ricerca di emissioni di fotoni di alta energia.
b.
Ricostruzione di uno sciame di raggi cosmici di alta energia così come visto da Argo: la struttura dello sciame mette in evidenza i diversi tempi di arrivo delle particelle sulla superficie del rivelatore.
c.
L’ombra della Luna. Nell’immagine è rappresentato il deficit di raggi cosmici in corrispondenza del nostro satellite, che scherma la superficie terrestre dalle particelle in arrivo.
Tra i risultati più interessanti finora ottenuti, dopo soli due anni di raccolta dati, possiamo considerare la ricerca di antimateria (essenzialmente antiprotoni) nei raggi cosmici e la scoperta di direzioni privilegiate di provenienza della radiazione cosmica.
Per quanto riguarda la ricerca di antiprotoni di alta energia (dell'ordine di qualche TeV) la tecnica usata è lo studio dell'"ombra della Luna".
Infatti, la distribuzione isotropa della radiazione cosmica mostra un deficit in direzione della Luna poiché essa ne ostacola la propagazione verso la Terra facendo loro ombra. Se l'energia dei raggi cosmici è sufficientemente bassa, il campo magnetico terrestre deflette la loro traiettoria, producendo come risultato un deficit spostato rispetto alla posizione reale della Luna. Se l'ombra causata dai protoni appare spostata verso ovest, quella dovuta agli antiprotoni risulta deflessa in direzione opposta, quindi verso est: in linea di principio sarebbe quindi possibile vedere due distinte ombre. Dallo studio degli eventi in prossimità della Luna si possono quindi cercare tracce di antimateria nei raggi cosmici. L'analisi dei dati finora raccolti non mostra alcuna evidenza di antiprotoni all'energia dei TeV (energie sinora inaccessibili agli esperimenti su satellite). Raccogliendo dati per altri 2-3 anni, il risultato di Argo potrà confermare o confutare i modelli di accelerazione dell'antimateria in antigalassie e di produzione di antiprotoni da materia oscura di massa elevata.
d.
Mappa del cielo in coordinate equatoriali, che è uno dei sistemi di riferimento più usati in astronomia. Questa mappa è stata ottenuta dopo 584 giorni di misura contiene circa 90 miliardi di eventi di energia maggiore di 1 TeV. La scala di colori misura la significatività statistica dell’eccesso. Si osservano chiaramente due regioni con eccessi estesi (in rosso) di radiazione cosmica.
Quella che si misura in prossimità della Luna non è l'unica disomogeneità nella distribuzione della radiazione cosmica. Sono state individuate, infatti, due aree con un eccesso di radiazione di alta energia. Questo eccesso è pari a circa lo 0,1% rispetto al fondo uniforme della radiazione cosmica, con circa 13 deviazioni standard (la deviazione standard misura lo scostamento dal valore medio). La probabilità che questo eccesso pari a circa 13 deviazioni standard sia dovuto al caso è estremamente bassa. È stato possibile misurare questo piccolo eccesso grazie all'enorme quantità di dati raccolti. I ricercatori di Argo, infatti, hanno analizzato i dati sperimentali di oltre un anno di attività in modo da assicurare l'omogeneità dell'osservazione e li hanno "filtrati" per la ricerca di anisotropie su piccola-media scala (ovvero quasi locali). Questo risultato è molto enigmatico proprio perché, come ricordato, i campi magnetici presenti nella nostra galassia deviano le particelle cariche che compongono la radiazione cosmica rendendo uniforme la loro distribuzione sulla volta celeste. Tra le ipotesi formulate vi è la possibilità che queste regioni siano correlate alla presenza della supernova che ha prodotto la pulsar denominata "Geminga". Poiché questa supernova è relativamente giovane (300 mila anni) le regioni potrebbero essere testimonianza transiente dell'esplosione: sarebbe come se fossimo colpiti dai proiettili stessi, convogliati verso di noi da una particolare struttura del campo magnetico locale. L'analisi dettagliata di questi dati è in corso. Questo studio è molto importante perché potrebbe aiutarci a comprendere meglio l'origine e i meccanismi di propagazione della radiazione cosmica nella Galassia, fornendo un'importante prova che i raggi cosmici sono prodotti e accelerati dalle supernovae. E potrebbe anche spiegare le recenti osservazioni del flusso di positroni e di elettroni da parte di esperimenti su satellite, come Pamela e Fermi, e su pallone, come Atic.
Biografia
Benedetto D'Ettorre Piazzoli insegna fisica astroparticellare all'Università di Napoli Federico II. Ha svolto attività scientifica in fisica dei raggi cosmici al Cern. È il responsabile italiano dell'esperimento Argo-Ybj in Tibet.
Giuseppe Di Sciascio è ricercatore dell'Infn presso la Sezione di Roma Tor Vergata. Svolge la sua attività di ricerca nell'esperimento Argo-Ybj fin dalle prime fasi di progettazione.
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